CAPITOLO 1
La presentazione di Maria santissima al tempio al suo terzo anno di età.
412. Tra le ombre che furono figura di Maria santissima, nessuna fu più espressiva dell’arca dell’alleanza, per la materia di cui era fabbricata, per ciò che conteneva dentro di sé, per l’uso a cui serviva nel popolo di Dio e per quello che mediante la stessa, con essa e per essa, il Signore operava. Tutto ciò non era che un abbozzo di questa Signora e di ciò che per mezzo di lei e con lei lo stesso Signore avrebbe operato nella Chiesa. La materia, ossia il cedro incorruttibile di cui, non a caso ma per divina disposizione, fu fabbricata, significa Maria nostra mistica arca, libera dalla corruzione della colpa personale come dalla tignola occulta del peccato originale con il suo inseparabile fomite delle passioni. L’oro finissimo e puro di cui l’arca era rivestita dentro e fuori, indica la sublime perfezione della grazia e dei doni di cui Maria risplendeva nei pensieri, nelle facoltà, nelle virtù, nelle opere e nei costumi; non si poteva infatti trovare parte, né tempo, né momento, in cui quest’Arca non fosse tutta piena e vestita di grazia di squisito valore, tanto all’interno che all’esterno.
413. Le tavole di pietra su cui era scritta la legge, l’urna piena di manna e la verga dei prodigi, contenute e custodite nell’antica arca, non potevano meglio significare il Verbo che si sarebbe incarnato in Maria santissima, arca viva. Egli è la pietra viva, il fondamento dell’edificio della Chiesa. Egli è la pietra angolare che si staccò dal monte dell’eterna generazione per unire due popoli, giudei e gentili, prima tanto divisi. Egli è la pietra su cui fu scritta, dal dito di Dio, la nuova legge di grazia e che fu depositata nell’arca verginale di Maria, per far intendere che questa grande regina era depositaria di tutto ciò che Dio era ed operava con le creature. L’arca racchiudeva anche la manna della divinità e della grazia, nonché il potere, ossia la verga dei prodigi e dei miracoli. Dio volle che solamente in quest’Arca mistica e divina trovassimo la sorgente delle grazie, che è Dio stesso, e che da lei queste traboccassero sugli altri uomini; perciò volle che in lei e per lei si operassero i miracoli e i prodigi del suo braccio, perché riconoscessimo che tutto quello che il Signore vuole, è ed opera, si trova racchiuso e depositato in Maria.
414. Da tutto ciò conseguiva che l’arca dell’antico testamento – non per la figura e l’ombra, ma per la verità che significava – servisse da piedistallo e base al propiziatorio, sede del Signore e tribunale delle sue misericordie, dove udire il suo popolo, rispondere e dare corso alle domande e ai favori che voleva loro fare. Per il fatto che Dio rese solamente Maria santissima suo trono di grazia e non rinunciò a sovrapporre il propiziatorio a questa mistica e vera arca, avendola fabbricata per racchiudersi in essa, il tribunale della giustizia rimase in Dio solo, quello della misericordia fu posto in Maria. A lei, come a trono di grazia, noi possiamo andare a presentare con sicura confidenza le domande che, fuori di questo propiziatorio, non sarebbero ascoltate; a chiedere cioè i benefici, le grazie e le misericordie a favore del genere umano che, altrove, non avrebbero corso.
415. Un’Arca così misteriosa e sacra, fabbricata dalla mano dello stesso Signore per essere sua abitazione e propiziatorio per il popolo, non stava bene fuori del tempio, dove fu custodita l’arca materiale che era solo figura di questa, vera e spirituale, del nuovo testamento. Perciò l’Autore di questa meraviglia ordinò che Maria santissima fosse collocata nella sua casa, nel tempio, compiuti tre anni dalla sua nascita. È’ vero che con grande stupore trovò una differenza assai notevole in ciò che avvenne alle due arche. Quando il re Davide trasferì l’arca in diversi luoghi e, in seguito, suo figlio Salomone la collocò nel tempio come sede sua propria – quantunque quell’arca non avesse altra grandezza se non quella di significare Maria purissima e i suoi misteri – le sue traslazioni furono celebrate con grande festa e giubilo da parte di quell’antico popolo. Questo provano le solenni processioni che Davide fece dalla casa di Abinadàb a quella di Obed-Èdom, nonché da questa al tabernacolo di Sion, città di Davide, e quando da Sion Salomone la traslò al nuovo tempio, che per ordine del Signore aveva edificato come casa di Dio e casa di preghiera.
416. In tutte queste traslazioni l’arca dell’antica alleanza fu portata con pubblica venerazione, con culto solenne di musiche, danze, sacrifici, con il giubilo dei re e di tutto il popolo d’Israele, come riferiscono i libri dei Re, di Samuele e delle Cronache. Invece la nostra arca mistica e vera, Maria santissima, benché fosse la più ricca, stimabile e degna di venerazione tra le creature, non fu portata al tempio con tanto solenne apparato, né con si pubblica ostentazione. In questa misteriosa traslazione non intervennero né sacrifici di animali, né pompa reale, né maestà di regina; fu trasportata dalla casa di suo padre Gioacchino sulle umili braccia di sua madre Anna, la quale, sebbene non fosse molto povera, tuttavia in quella occasione portò la sua diletta figlia al tempio, per presentarla e depositarla, con umili vesti, povera e sola. Dio volle che tutta la gloria e la maestà di questa processione fosse invisibile e divina, poiché i misteri di Maria santissima furono così sublimi e nascosti che ancora oggi molti di essi continuano ad essere tali secondo gli imperscrutabili giudizi del Signore, il quale ha stabilito il tempo opportuno per ogni cosa.
417. Poiché mi meravigliavo di ciò alla presenza dell’Altissimo lodando i suoi giudizi, sua Maestà si degnò di rispondermi in questo modo: «Ascolta, o anima: io volli che fosse venerata l’arca dell’antica alleanza con tanto festeggiamento ed apparato, perché era figura di colei che doveva essere Madre del Verbo incarnato. Quell’arca era irrazionale e materiale e senza difficoltà si poteva usare una tale solennità; ma con l’Arca vera e viva, non lo permisi, finché visse su questa terra, per insegnare, con tale esempio, ciò che tu e gli altri dovete osservare finché siete viatori. Per i miei eletti, che da sempre sono scritti nella mia mente, non voglio che l’onore e il plauso pubblico e smodato degli uomini sia, già nella vita mortale, premio per ciò che operano per servirmi e rendermi gloria. Né è conveniente per loro trovarsi nel pericolo di dividere l’amore tra colui che li giustifica e li fa santi e coloro che già li celebrano per tali. Uno è il Creatore che li fece e li sostenta, li difende e illumina ed uno deve essere l’amore, una la loro attenzione, che non si deve dividere in parti, anche se fosse per ricambiare e gradire gli onori che si fanno ai giusti con pio zelo. L’amore divino è delicato, la volontà umana fragilissima e limitata; dividendola, ciò che fa diviene assai poco e molto imperfetto, e facilmente ne perde tutto il merito. Fu per dare al mondo questo insegnamento e per lasciare un esempio vivo in colei che era santissima – né poteva peccare data la mia protezione – che io volli non fosse conosciuta, né onorata durante la sua vita, né portata al tempio con visibile ostentazione ed onore».
418. «Inoltre, io inviai dal cielo il mio Unigenito e creai colei che doveva essere sua Madre, perché togliessero il mondo dal suo errore e disingannassero gli uomini, mostrando loro l’iniquità della legge stabilita dal peccato, per cui il povero è disprezzato e il ricco stimato, l’umile è abbassato e il superbo innalzato, il virtuoso vituperato e il peccatore onorato, il timorato è ritenuto insensato e l’arrogante valoroso; la povertà è fuggita dagli uomini stolti e carnali come cosa ignominiosa e sgraziata e sono invece ricercate come cose stimabili la ricchezza, il fasto, l’ostentazione, gli onori e i piaceri transitori. Tutto ciò il Verbo incarnato e sua Madre vennero a riprovare e condannare come cose ingannevoli, affinché i mortali conoscessero il terribile pericolo in cui vivono amandole e abbandonandosi ciecamente in braccio al fallace inganno di quanto è sensibile e dilettevole. Per questo insano amore essi fuggono la santa umiltà, la mansuetudine, la povertà ed allontanano da sé tutto ciò che è virtù vera, penitenza, negazione delle loro passioni. Eppure è questo che obbliga la mia giustizia e che è gradito ai miei occhi, perché soltanto questo è cosa santa, onesta, giusta e degna di essere premiata d’eterna gloria, come il contrario merita di venir punito con pena eterna».
419. «Tale verità non vedono gli occhi di coloro che non vogliono orientarsi verso la luce che gliela insegnerebbe, ma tu, o anima, ascoltala e scrivila nel tuo cuore mediante l’esempio del Verbo incarnato e di colei che fu sua Madre e lo imitò in tutto; fu santa e, dopo Cristo, fu la prima nel mio giudizio e gradimento, per cui si meritava ogni venerazione ed onore da parte degli uomini, benché non potessero dargliene quanta ne meritava. Tuttavia io disposi e volli che allora non fosse onorata né conosciuta, per mettere in lei quanto c’è di più santo, perfetto, stimabile e sicuro, affinché i miei eletti potessero imitarlo imparando dalla Maestra della verità: l’umiltà, il silenzio, il nascondimento, il disprezzo della vanità mondana, fallace e da temersi sommamente, l’amore alle sofferenze, alle tribolazioni, alle ingiurie e alle afflizioni da parte delle creature. Ora, siccome tutto questo non può stare insieme con il plauso, gli onori e la stima degli uomini del mondo, stabilii che Maria purissima non avesse tali cose, né voglio che i miei amici le ricevano e le accettino. E se qualche volta io, per la mia gloria, li faccio conoscere al mondo, non è perché essi lo desiderano o lo cercano, ma perché nell’umiltà, senza uscire dai loro limiti, si conformino alla mia volontà; in realtà, essi desiderano soltanto quanto il mondo disprezza e quanto operarono e insegnarono il Verbo incarnato e la sua santissima Madre». Fu questa la risposta del Signore alla mia riflessione e meraviglia e ciò mi lasciò soddisfatta e ammaestrata intorno a quello che debbo e desidero praticare.
420. Compiuti i tre anni stabiliti dal Signore, Gioacchino ed Anna partirono da Nazaret, accompagnati da alcuni congiunti; sulle braccia di sua madre portarono l’arca vera e viva, Maria santissima, per depositarla nel tempio santo di Gerusalemme. La bella bambina correva con i suoi fervorosi affetti dietro la fragranza degli unguenti del suo Diletto, per trovare nel tempio colui che già portava nel cuore. Questo piccolo e umile seguito di creature terrene procedeva senza alcuna ostentazione visibile, ma accompagnato da numerosi angeli discesi dal cielo a celebrare questa festa, oltre ai custodi della Regina bambina. Cantando con armonia celestiale nuovi inni di gloria e di lode all’Altissimo, proseguivano il loro viaggio da Nazaret a Gerusalemme. La Principessa dei cieli, che udiva e vedeva tutto, camminava a grandi passi alla vista del supremo e vero Salomone e i suoi fortunati genitori sentivano grande consolazione e giubilo nel loro spirito.
421. Arrivati al tempio, sant’Anna, felice di entrarvi con la sua figlia e Signora, la prese per mano, mentre san Gioacchino assisteva entrambe; entrati, tutti e tre fecero fervorosa e devota orazione al Signore: i genitori donandogli la figlia e lei offrendo se stessa con profonda umiltà, adorazione e riverenza. Soltanto Maria conobbe come l’Altissimo la accettava e riceveva; nello splendore divino che riempì il tempio, udì una voce che diceva: «Vieni, mia sposa, mia eletta, vieni al mio tempio, dove voglio che tu mi renda lode e mi benedica». Fatta la loro orazione si alzarono e si recarono dal sacerdote; i genitori gli consegnarono la loro bambina Maria e il sacerdote la benedì. Quindi tutti insieme la portarono all’abitazione dove si trovava il collegio delle fanciulle, che venivano solitamente educate nel raccoglimento e nei costumi, fino al raggiungimento dell’età del matrimonio; in particolare si ritiravano là le primogenite della tribù reale di Giuda e di quella sacerdotale di Levi.
422. La salita al collegio aveva quindici gradini da dove uscirono altri sacerdoti a ricevere Maria, la bambina benedetta. Quello che la portava – uno degli ordinari che per primo l’aveva ricevuta – la pose sul primo gradino, Maria gli chiese licenza e quindi, rivolta ai genitori Gioacchino e Anna, piegando le ginocchia, domandò loro la benedizione, baciò la mano all’uno e all’altra e li pregò di raccomandarla a Dio. I santi genitori le diedero la benedizione con grande tenerezza e commozione e lei salì da sola i quindici gradini con incomparabile fervore e gioia, senza volgersi indietro, né versare lacrime, senza fare alcuna azione da fanciulla, né mostrare pena per il commiato dai genitori, cosicché tutti, vedendola in così tenera età fornita di tale rara fortezza e regalità, rimasero grandemente meravigliati. I sacerdoti l’accolsero e la condussero al collegio delle altre vergini ed il sommo sacerdote Simeone la consegnò alle maestre, una delle quali era Anna, la profetessa. Questa santa donna era stata favorita da una speciale grazia e luce dell’Altissimo perché si prendesse cura della bambina di Gioacchino ed Anna e così fece per divina disposizione, meritando, per la sua santità e le sue virtù, di avere come discepola colei che doveva essere Madre di Dio e maestra di tutte le creature.
423. Gioacchino ed Anna tornarono a Nazaret afflitti e poveri, poiché erano rimasti privi del tesoro più ricco della loro casa, ma l’Altissimo li confortò e li consolò. Il santo sacerdote Simeone, benché allora non conoscesse il mistero racchiuso in Maria, fu grandemente illuminato per riconoscerla santa ed eletta dal Signore ed anche gli altri sacerdoti ebbero di lei alta stima e riverenza. Nella scala ascesa dalla bambina s’adempi ciò che Giacobbe vide nella sua, cioè gli angeli che salivano e scendevano, gli uni accompagnando, gli altri uscendo a ricevere la loro Regina; alla sommità stava Dio per accoglierla come figlia e sposa. Maria conobbe che quella era veramente la casa di Dio e la porta del cielo.
424. La bambina Maria, consegnata ed affidata alla sua maestra, chiese in ginocchio, con profonda umiltà, la benedizione e la pregò di accoglieria sotto la sua obbedienza perché le fosse maestra e consigliera, avendo pazienza per tutto quello che avrebbe avuto da patire per causa sua. Anna, la profetessa, l’accolse amabilmente dicendole: «Figlia mia, voglio che voi troviate in me una madre e una protettrice, ed io mi occuperò della vostra educazione con tutta la sollecitudine possibile». Con la stessa umiltà Maria passò subito da tutte le altre fanciulle che ivi abitavano, salutando e abbracciando ognuna e offrendosi come loro serva. Chiese poi a tutte, essendo più grandi e più istruite di lei su ciò che in quel luogo dovevano fare, che le insegnassero e le comandassero, ringraziandole perché, senza suo merito, l’avevano accettata come loro compagna.
Insegnamento della santissima vergine Maria
425. Figlia mia, la maggior fortuna che possa capitare in questa vita mortale ad un’anima è che l’Altissimo la conduca alla sua casa per consacrarla totalmente al suo servizio, poiché con tale beneficio la riscatta da una pericolosa schiavitù e la libera dalla vile servitù del mondo, dove le toccherebbe mangiare il pane col sudore della sua fronte, senza godere di libertà perfetta. Chi è così ignorante e stolto da non vedere il pericolo della vita mondana, impigliata in tante leggi ed usanze pessime, introdotte dall’astuzia diabolica e dall’umana perversità? La parte migliore è la vita religiosa e appartata: qui si trova il porto sicuro, mentre altrove è dovunque tempesta, fremere d’onde spumeggianti, piene di dolori e disgrazie. Il fatto che gli uomini non vogliano riconoscere questa verità, né gradire questo singolare beneficio, è dovuto a un’indegna durezza di cuore e alla noncuranza di loro stessi. Tu però, o figlia mia, non renderti sorda alla voce dell’Altissimo, ma fai attenzione e coopera con essa. Ti avverto: una delle maggiori cure del demonio è quella d’impedire la chiamata del Signore che dispone le anime perché si dedichino al suo servizio.
426. Il solo atto pubblico e sacro di ricevere l’abito ed entrare nella vita religiosa, sebbene non sempre si faccia col dovuto fervore e con tanta purezza d’intenzione, fa montare in ira e furore il drago infernale e i suoi demoni, sia per la gloria che ne risulta al Signore e l’allegrezza dei santi angeli, sia perché il mortale nemico sa che la vita religiosa santifica le anime e le perfeziona. Infatti, molte volte avviene che, pur avendo qualche anima abbracciata questa vita per motivi meramente umani e terreni, in seguito vi s’introduce ad operare la grazia divina che tutto migliora e riordina. Se tanto può la grazia, anche quando in principio non ci fu l’intenzione retta che conveniva, quanto più potente ed efficace sarà la luce e la virtù del Signore, unita alla disciplina religiosa, nel momento in cui l’anima entra mossa dall’amore divino e con l’intimo, sincero desiderio di trovare Dio, servirlo e amarlo?
427. Tuttavia, affinché l’Altissimo riformi o innalzi a maggiore perfezione colui che entra nella vita religiosa, da qualunque motivo vi sia attratto, bisogna che chi ha volto al mondo le spalle, non vi rivolga più gli occhi e che anzi cancelli ogni immagine dalla memoria, dimenticando tutto ciò che ha lodevolmente lasciato nel mondo. Coloro che non badano a questo avvertimento, mostrandosi ingrati e sleali con Dio, sono senza dubbio puniti col castigo della moglie di Lot. Tale castigo non è certamente, per divina pietà, pubblico e visibile agli occhi esteriori, come lo fu il primo, ma allo stesso modo è interiormente ricevuto e fa restare freddi, aridi, senza fervore né virtù. Per siffatto abbandono della grazia essi non conseguono il fine della loro vocazione, non progrediscono nella vita religiosa, non vi trovano consolazione spirituale e non meritano neppure che il Signore li guardi e li visiti come figli; anzi, egli li rifiuta, come schiavi infedeli e disertori. Considera, o Maria, che per te tutto il mondo dev’essere morto e crocifisso e tu devi essere senza memoria per tutto ciò che lo riguarda, senza ricordi, senza attenzioni, né affetto a cose terrene. Se talora sarà necessario esercitare la carità col prossimo, fa’ in modo di ordinare le cose ponendo sempre al primo posto il bene della tua anima, la tua sicurezza, quiete, pace e tranquillità interiore. Se vuoi essere mia discepola ti ammonisco e ti comando di essere estremamente attenta in questo, senza porti nessun limite, se non l’eccesso che fa cadere nel vizio.
CAPITOLO 2
Un singolare favore che l’Altissimo fece a Maria santissima appena si trovò nel tempio.
428. Quando Maria, accomiatati i genitori, restò sola nel tempio, la maestra le assegnò la cella che le toccava tra le altre vergini, ciascuna delle quali aveva una piccola stanza. Pensando che quello era suolo e locale del tempio, subito la Principessa del cielo lo baciò adorando il Signore e ringraziandolo di quel nuovo beneficio. Ringraziò la stessa terra d’averla accolta e sorretta, riconoscendosi indegna di un tale bene, perfino di calpestarla e stare su di essa. Si rivolse poi ai suoi angeli dicendo: «Principi celesti, messaggeri dell’Altissimo, miei amici e compagni fedeli, vi supplico con tutto l’affetto della mia anima: custoditemi in questo santo tempio del mio Dio, come vigilanti sentinelle, avvisandomi di tutto ciò che devo fare, istruendomi ed orientandomi come maestri e guide. Così io riuscirò a compiere in modo perfetto la volontà dell’Altissimo, darò soddisfazione ai santi sacerdoti, ubbidirò alla mia maestra e anche alle mie compagne». Rivolgendosi poi in particolare ai dodici angeli, i dodici dell’Apocalisse di cui ho già parlato precedentemente, disse: «Ed a voi, miei messaggeri, chiedo, se l’Altissimo vi darà il suo permesso, di andare a consolare i miei santi genitori nella loro afflizione e solitudine».
429. I dodici angeli ubbidirono alla loro Regina ed ella, rimasta con gli altri in divini colloqui, sentì subito una virtù superiore che fortemente e soavemente la muoveva, innalzandola ad un’ardente estasi; in quello stesso momento l’Altissimo ordinò ai suoi serafini di illuminare quest’anima santissima e prepararla al nuovo favore che stava per farle. All’istante le fu data una luce ed una qualità divina che perfezionò e proporzionò le sue facoltà all’oggetto che Dio voleva manifestarle. Così disposta, accompagnata da tutti i suoi santi angeli e da molti altri ancora, avvolta da una piccola nuvola splendente, la bambina fu sollevata corpo ed anima fino all’empireo, dove fu accolta dalla santissima Trinità con benevolenza e compiacimento. Giunta alla presenza dell’altissimo e onnipotente Signore si prostrò, come era solita fare nelle altre visioni, adorandolo con profonda umiltà e riverenza. Tornarono allora ad illuminarla una seconda volta con un’altra luce, mediante la quale vide la Divinità intuitivamente e chiaramente; fu questa, all’età di tre anni, la seconda volta che l’Altissimo le si manifestò in modo intuitivo.
430. Non vi è sentimento né linguaggio che possa manifestare gli effetti di questa visione e partecipazione della natura divina. La persona dell’eterno Padre parlò allora alla futura Madre del suo Figlio dicendole: «Colomba, diletta mia, voglio che tu veda i tesori del mio essere immutabile e delle mie infinite perfezioni, nonché gli occulti doni destinati alle anime da me elette eredi della mia gloria, che saranno riscattate col sangue dell’Agnello che deve dar la vita per loro. Conosci, figlia mia, quanto sono magnanimo verso le creature che mi conoscono e mi amano, quanto sono veritiero nelle parole, fedele nelle promesse, potente ed ammirabile nelle opere. Osserva, mia sposa, questa verità infallibile: chi mi seguirà non vivrà nelle tenebre. Tu, dunque, come mia eletta, sii testimone visibile dei tesori preparati per esaltare gli umili, rimunerare i poveri, far grandi i piccoli, premiare quanto faranno o patiranno i mortali per il mio nome».
431. Altri grandi misteri conobbe la santissima Bambina in questa visione di Dio, poiché l’oggetto è infinito. E sebbene avesse già avuto un’altra chiara manifestazione, resta ancora infinitamente da comunicare, suscitando sempre maggiore meraviglia e più ardente amore in chi riceve tale favore. Maria santissima rispose al Signore dicendo: «Altissimo, supremo, eterno Dio! Voi siete incomprensibile nella vostra grandezza, ricco nelle misericordie, abbondante nei tesori, ineffabile nei misteri, fedele nelle promesse, veritiero nelle parole e perfetto in tutte le vostre opere, perché siete Signore infinito ed eterno nell’essere e nella perfezione. La mia piccolezza che potrà mai fare, o altissimo Signore, alla vista della vostra grandezza? Mi riconosco indegna di guardare la vostra altezza, ma allo stesso tempo mi riconosco bisognosa di essere da voi guardata. Alla vostra presenza, o Signore, ogni creatura resta annientata: che farà allora questa vostra serva che è polvere? Adempite in me ogni vostro volere e beneplacito e, se ai vostri occhi sono tanto stimabili i patimenti, il disprezzo, l’umiltà, la pazienza e la mansuetudine dei mortali, non permettete, o mio Diletto, che io sia privata di un così ricco tesoro e di tali pegni del vostro amore; quanto al premio che ne consegue, datelo ai vostri servi ed amici che assai meglio di me lo meriteranno, poiché io non ho fatto né patito niente per servirvi e darvi soddisfazione».
432. L’Altissimo gradì molto la domanda della Bambina e le fece conoscere il suo consenso concedendole nel corso della sua vita travagli e patimenti per amor suo. Maria non intese, per il momento, né il tempo né il modo in cui tutto questo sarebbe accaduto; tuttavia, per il beneficio e favore d’essere stata eletta a soffrire per il nome e per la gloria del Signore, gli rese grazie e, tutta accesa dal desiderio di conseguire ciò, chiese il permesso di fare in sua presenza i voti di castità, povertà, obbedienza e perpetua clausura nel tempio, dove l’aveva chiamata. A tale richiesta il Signore rispose: «Mia sposa, i miei pensieri sovrastano quelli di tutte le creature; tu, mia eletta, ignori al presente ciò che nel corso della vita ti potrà accadere e come non sarà possibile dare in tutto compimento ai tuoi desideri nel modo che tu ora pensi. Quanto al voto di castità permetto e voglio che tu lo faccia e quanto alle ricchezze terrene che vi rinunci fin da ora; ma quanto agli altri voti voglio soltanto che tu agisca, in ciò che sarà possibile, come se li avessi fatti. Il tuo desiderio si adempirà, nel tempo futuro della legge di grazia, in molte altre giovani che ti seguiranno e, per servirmi, faranno gli stessi voti, vivendo in comunità, cosicché tu sarai madre di molte figlie».
433. Subito, la santissima Bambina fece il voto di castità alla presenza del Signore; per il resto, senza obbligarsi, rinunciò ad ogni cosa terrena e creata, proponendo inoltre di ubbidire per Dio a tutte le creature. In seguito adempì questi propositi con maggior puntualità, fervore e fedeltà di chiunque altro abbia promesso o prometterà in futuro, con voto, le stesse cose. Cessò allora la visione intuitiva e chiara di Dio, ma la bambina non fu restituita alla terra, perché subito, in un altro stato più basso, ebbe un’altra visione immaginaria dello stesso Signore, stando ancora nell’empireo; nello stesso modo seguirono altre visioni immaginarie alla presenza della Divinità.
434. In questa seconda visione vennero alcuni dei serafini più vicini al Signore, che per suo comando la adornarono e rivestirono nella seguente maniera. Dapprima tutti i suoi sentimenti furono come illuminati con una luce che li riempiva di grazia e di bellezza; quindi le fecero immediatamente indossare una veste, una tonaca splendente e preziosissima, la cinsero d’una cintura di pietre di vario tipo e di diversi colori trasparenti, brillanti e risplendenti che la rendeva bella al di sopra d’ogni umano pensiero; era segno del candore della sua purezza unito alle virtù molteplici ed eroiche della sua anima. Le misero anche un monile, una collana di inestimabile bellezza e valore: aveva tre grandi perle – simbolo delle tre maggiori e più eccellenti virtù, fede, speranza e carità – che pendevano sul petto, a indicare il loro proprio luogo, la sede di così ricche virtù. Le diedero poi sette anelli di rara bellezza e le sue mani furono inanellate dallo Spirito Santo in segno dei sette doni con cui l’adornava in modo eminentissimo. Per completare un tale abbigliamento, la santissima Trinità mise sopra il suo capo una corona imperiale di materiale prezioso con gemme inestimabili e la costituì sua sposa e imperatrice del cielo. A conferma di tutto ciò la sua veste, candida come la neve e risplendentissima, era raffinatamente ricamata di alcune cifre d’oro finissimo e brillante che dicevano: Maria, figlia dell’eterno Padre, sposa dello Spirito Santo e madre della vera luce. Quest’ultima espressione non fu intesa dall’eccelsa Signora, ma solo dagli angeli che, tutti assorti nelle lodi dell’Autore, assistevano ad un’opera così nuova e singolare. Stando già per compiersi tutto ciò, l’Altissimo infuse negli stessi spiriti angelici nuova attenzione, ed ecco che dal trono della santissima Trinità usci una voce, che parlando a Maria santissima disse: «Tu sarai nostra sposa, nostra diletta, scelta fra tutte le creature per l’eternità; gli angeli ti serviranno, tutte le nazioni e le generazioni ti chiameranno beata».
435. Quando la Bambina fu adornata con i divini ornamenti, subito si celebrò lo sposalizio più solenne e mirabile che mai avrebbero potuto immaginare gli stessi cherubini e serafini, poiché l’Altissimo l’accettò per sposa unica e singolare e la costituì nella dignità più alta possibile a una semplice creatura, per depositare in lei la sua stessa divinità nella persona del Verbo, e con lui tutti i tesori della grazia che a tale grandezza convenivano. L’umilissima tra gli umili, tutta assorta nell’abisso d’amore e di stupore che tali favori e benefici le avevano suscitato, alla presenza del Signore disse: «Altissimo re, Dio incomprensibile, chi siete voi e chi sono io, perché la degnazione vostra si volga a questa polvere, indegna delle vostre misericordie? In voi, o mio Signore, come in un chiaro specchio, conoscendo il vostro essere immutabile, vedo e conosco senz’inganno la bassezza e la viltà del mio. Contemplo la vostra immensità e il mio niente e in questa visione resto annientata, meravigliandomi che la vostra infinita Maestà si pieghi ad un vermiciattolo così vile, degno solo di rifiuto e di disprezzo fra tutte le creature. O Signore, mio bene, quanto sarete magnificato ed esaltato in quest’opera! Quale ammirazione susciterete a causa mia negli spiriti angelici, che conoscono la vostra infinita bontà, grandezza e misericordia, nel sollevare la polvere, per collocare colei che è povera tra i principi! Io, mio re e mio Signore, vi accetto come mio sposo e mi offro come vostra schiava. Il mio intelletto non avrà altro oggetto, né la mia memoria altra immagine, né la mia volontà altro fine e desiderio fuorché voi, sommo, vero, unico bene e amore mio. I miei occhi non si alzeranno per vedere creatura umana, né le mie facoltà e i miei sensi attenderanno a nient’altro all’infuori di voi e di ciò a cui la vostra Maestà mi vorrà indirizzare; solo voi, mio diletto, sarete per la vostra sposa ed ella sarà per voi solo, Bene insostituibile ed eterno».
436. L’Altissimo si compiacque grandemente per come la sovrana Principessa aveva accolto lo sposalizio celebrato con la sua anima santissima. Pose nelle mani di lei, come sua vera sposa e signora di tutto il creato, tutti i tesori della sua potenza e grazia, comandandole di chiedere qualunque cosa desiderasse, poiché niente le sarebbe stato negato. Così fece l’umilissima colomba e chiese al Signore, con ardentissima carità, di inviare il suo Unigenito al mondo per la salvezza dei mortali, di chiamare tutti alla vera conoscenza della sua Divinità, di far crescere i suoi genitori Gioacchino ed Anna nell’amore e nei doni della sua divina destra, di consolare e confortare nelle loro sofferenze i poveri e gli afflitti; infine, per se stessa domandò l’adempimento e il beneplacito della divina volontà. Furono queste le domande più particolari che in quest’occasione la nuova sposa Maria fece alla beatissima Trinità. In seguito, tutti gli spiriti angelici a lode dell’Altissimo intonarono nuovi inni d’ammirazione e quelli incaricati da sua Maestà, con musica celestiale, riportarono la santissima bambina dall’empireo al tempio, dove l’avevano presa.
437. Appena giunse al tempio, per mettere subito in pratica ciò che aveva promesso in presenza del Signore, la Bambina andò dalla sua maestra e le consegnò tutto quanto sua madre sant’Anna le aveva lasciato, perfino certi libri ed il vestiario, pregandola di volerne fare dono ai poveri, o di disporne altrimenti come le sembrava meglio; per il resto chiese che le comandasse ed ordinasse tutto ciò che doveva fare. Piena di discernimento, la maestra che, come ho già detto, era Anna la profetessa, per divino impulso accetto quanto Maria le presentava, lasciandola povera di tutto fuorché del vestito, ma nello stesso tempo si propose di aver cura di lei in modo particolare, come di colei che più d’ogni altra era povera e abbandonata, visto che tutte le altre fanciulle avevano del denaro e disponevano liberamente anche di altre cose, oltre quelle loro assegnate.
438. Inoltre la maestra diede alla dolcissima Bambina una regola di vita, che intelligentemente aveva stabilito in precedenza con il sommo sacerdote. Così, mediante tale nudità e sottomissione, la Regina e signora delle creature ottenne di restare sola, spogliata di tutto e perfino di se stessa, senza riservarsi altro affetto o possesso, fuorché il solo ardentissimo amore del Signore e il proprio abbassamento e disprezzo. Veramente io confesso la mia somma ignoranza, viltà, incapacità e indegnità di spiegare misteri così alti ed occulti. Che cosa potrà mai dire una donna inutile e vile laddove sarebbero insufficienti gli stessi sapienti e perfino la scienza e l’amore dei cherubini e dei serafini? So bene che col solo parlarne offenderei la grandezza di misteri così venerabili, se non mi scusasse l’obbedienza; ma, pur accompagnata da essa, temo e credo d’ignorare e tacere il più, di conoscere e palesare il meno, riguardo a ciascuno dei misteri di questa città di Dio, Maria santissima.
Insegnamento della santissima vergine Maria
439. Figlia mia, tra i favori grandi e ineffabili che ho ricevuto dalla destra dell’Onnipotente nel corso della mia vita, uno è stato appunto quello che hai ora finito di scrivere. Quando vidi chiaramente la divinità e l’essere incomprensibile dell’Altissimo, conobbi arcani misteri e in quell’ornamento e sposalizio ricevetti incomparabili benefici, avvertendo nello spirito sentimenti dolcissimi e divini. Il desiderio che poi ebbi di fare i quattro voti di povertà, obbedienza, castità e clausura, riuscì molto gradito al Signore, cosicché egli stabilì che nella Chiesa le religiose facessero gli stessi voti, come avviene oggi. Di là ebbe origine ciò che fate voi religiose, secondo il detto di Davide nel salmo 44: Con lei le vergini compagne a te sono condotte, poiché l’Altissimo ordinò che i miei desideri fossero il fondamento delle istituzioni religiose nella legge evangelica. Io poi adempii interamente e perfettamente tutto quanto avevo promesso al cospetto del Signore; secondo quanto fu possibile al mio stato non guardai mai in viso nessun uomo, neppure il mio sposo Giuseppe, anzi neppure gli stessi angeli quando mi apparivano in forma umana, anche se li vedevo e li conoscevo tutti in Dio. Non mi attaccai a nessuna cosa creata o razionale, né ad alcuna attività o inclinazione umana, né ebbi volontà mia propria, né mai si udì dalle mie labbra: «Voglio, non voglio… farò, non farò», poiché in tutto mi dirigeva l’Altissimo, direttamente o per mezzo dell’ubbidienza alle creature, cui mi assoggettavo di mia spontanea volontà.
440. Devi sapere, o carissima, che lo stato religioso è sacro e ordinato dall’Altissimo perché in esso si conservi la dottrina della perfezione cristiana e l’imitazione della vita santissima di mio Figlio. Per questo motivo egli è molto sdegnato contro quelle anime religiose che dormono dimentiche di un così grande beneficio e vivono trascurate e rilassate più di molti altri; così le aspetta un giudizio e un castigo ben più severo. Anche il demonio, serpente antico ed astuto, mette più diligenza e sagacità nel tentare i religiosi e le religiose di quanta ne usi con gli altri; quando riesce a far cadere una persona religiosa, cresce la sollecitudine di tutto l’inferno per impedire che si rialzi mediante i rimedi che a tale scopo tiene pronti la religione: l’ubbidienza, i santi esercizi, l’uso frequente dei sacramenti. Ora, affinché tutto ciò si perda e non giovi al religioso caduto, il nemico mette in opera tanti stratagemmi che il solo conoscerli farebbe inorridire. Molto però se ne può rilevare riflettendo sugli sforzi che i religiosi fanno per difendere le loro rilassatezze, scusandole se possibile con qualche pretesto o mettendosi a disobbedire e abbandonandosi a sempre maggiori disordini e peccati.
441. Sta’ dunque attenta, figlia mia, e temi assai un così grande pericolo. Procura sempre con le forze della grazia divina di sollevarti al di sopra di te stessa, senza permettere ad alcun affetto o moto disordinato di introdursi nella tua volontà. Voglio che tu faccia ogni sforzo per morire alle tue passioni e spiritualizzarti, affinché, estinto in te tutto ciò che è terreno, passi ad un genere di vita più angelico che umano. Per corrispondere al nome di sposa di Cristo, devi uscire dai confini di ciò che è umano per sollevarti allo stato divino; quantunque tu sia terra, devi essere terra benedetta, senza spine di passioni e il cui frutto copioso sia tutto per il Signore, che ne è il padrone. Se dunque hai per sposo il potente e supremo Signore, il Re dei re e Signore dei signori, non volgere gli occhi e tantomeno il cuore ai vili schiavi, le creature umane; per la dignità di cui sei stata insignita come sposa dell’Altissimo, gli angeli stessi ti amano e ti rispettano. Se tra i mortali si considera temeraria audacia quella d’un uomo vile che metta gli occhi sulla sposa del principe, qual delitto sarà porli sulla sposa del Re celeste e onnipotente? Né sarà certo minore la colpa di lei, se ciò permette e consente. Rifletti sul terribile castigo riservato a tale colpa; non te lo faccio vedere perché per la tua debolezza verresti meno. Basti il mio insegnamento a farti eseguire quanto ti ordino e a far sì che come discepola tu mi imiti fin dove arrivano le tue forze. Sii sollecita di inculcare questa dottrina alle tue monache e procura che la mettano in pratica.
442. Dopo che l’eccelsa Signora ebbe parlato, io dissi:
«Signora mia, regina pietosa, gioisce la mia anima all’udire le vostre dolcissime parole, piene di spirito e di vita. Quanto bramerei scriverle nell’intimo del mio cuore mediante la grazia del vostro Figlio; vi supplico di ottenermela! Se mi permettete, parlerò in vostra presenza come discepola ignorante con la sua Signora e maestra. Bramo, o Madre, mio rifugio, che per adempiere ai quattro voti della mia professione, come mi comanda vostra Maestà e come è mio dovere eseguire, sebbene lo desideri troppo tiepidamente, vi degniate di darmi un insegnamento più ampio, che mi serva da guida nell’adempimento dei voti promessi, secondo il desiderio che avete infuso nel mio cuore».
CAPITOLO 3
Insegnamento datomi dalla Regina del cielo sui quattro voti della mia professione.
443. Figlia ed amica mia, non voglio negarti l’insegnamento che mi chiedi con tanto desiderio di tradurlo in pratica; ricevilo con stima, con animo devoto e pronto a metterlo in atto. Il libro dei Proverbi dice: Figlio mio, se hai garantito per il tuo prossimo, se hai dato la tua mano per un estraneo, se ti sei legato con le parole delle tue labbra e ti sei lasciato prendere dalle parole della tua bocca… Conforme a questa verità chi ha fatto voto a Dio ha dato la mano della propria volontà, per non restare libero di scegliere altre opere fuorché quelle per cui si è obbligato, secondo la volontà di colui a cui si è legato con la sua stessa bocca, mediante le parole della professione religiosa. Prima di fare i voti, poteva scegliere la strada da seguire, ma dopo essersi vincolata, l’anima religiosa deve sapere che ha perso totalmente la sua libertà, consegnandola a Dio nella persona del proprio superiore. La rovina o la salvezza delle anime dipende da come usano la loro libertà. Ora, siccome i più la usano male e si perdono, l’Altissimo ha disposto lo stato religioso e l’ha reso stabile mediante i voti. La creatura, usando una sola volta della sua libertà, quando sceglie definitivamente quello stato con prudente determinazione, consegna con quel solo atto alla Maestà divina ciò che perderebbe con molti, se rimanesse libera di volere o non volere.
444. Con questi voti si perde felicemente la libertà per il male e si assicura per il bene, mediante il freno che svia dal pericolo e addestra a un cammino piano e sicuro. L’anima perde servitù e soggezione alle proprie passioni ed acquista su di esse un nuovo potere, divenendo regina e padrona di se stessa. Resta così soltanto subordinata alla grazia dello Spirito Santo, che la guida in tutte le sue azioni, dal momento che ella impiega tutta la sua volontà nell’operare soltanto quello che ha promesso a Dio. Con ciò la creatura passa dallo stato di schiava all’eccellente dignità di figlia dell’Altissimo, dalla condizione terrena a quella angelica, cosicché i difetti, castigo del peccato, non la toccano affatto. Nella vita mortale non è possibile che tu possa giungere a comprendere quali e quanti beni e tesori spirituali acquista l’anima, disponendosi con tutte le sue forze e tutti i suoi affetti ad adempiere perfettamente i voti della sua professione; perciò ti assicuro, o carissima, che le religiose perfette e austere possono giungere al merito dei martiri ed anche superarli.
445. Figlia mia, tu hai conseguito il felice principio di tanti beni il giorno in cui hai scelto la parte migliore; fai attenzione però, perché ti sei legata a un Dio eterno e potente, a cui ogni segreto del cuore è manifesto. Se mentire con gli uomini e mancare con loro alle giuste promesse è cosa tanto brutta e disprezzabile per chi ragiona, quanto più sarà grave mancare di fedeltà a Dio nei santi voti a lui fatti? A lui come tuo Creatore, custode e benefattore, devi gratitudine; come padre, riverenza; come sposo, lealtà; come amico, cordiale corrispondenza; come colui che è fedele per sempre, fede e speranza; come sommo ed eterno bene, amore; come Dio onnipotente, sottomissione e come giudice giusto, timore santo e umile. Ora, se tu venissi meno alle promesse fatte nella tua professione, commetteresti il più sleale tradimento contro tutti questi titoli e molti altri ancora. E se per tutte le religiose, che vivono con l’obbligo di condurre una vita spirituale, è abominevole cosa chiamarsi spose di Cristo ed essere membra e schiave del diavolo, ciò sarebbe molto più brutto per te, che hai ricevuto più di ogni altra e che per questo sei tenuta a superare tutte nell’amore, nella sofferenza, nella riconoscenza per tanti incomparabili benefici e favori.
446. Considera, dunque, o anima, quanto tale colpa ti renderebbe disprezzabile di fronte al Signore, nonché a me, agli angeli ed ai santi, dal momento che tutti siamo testimoni dell’amore e della fedeltà che egli ha mostrato con te, come sposo ricco, benigno e generoso. Adoperati per non offenderlo nel molto e neppure nel poco; non costringerlo ad abbandonarti lasciandoti in potere delle passioni peccaminose. Non sarebbe forse questa peggiore sventura dell’essere abbandonati al furore degli elementi, a quello degli animali selvaggi o degli stessi demoni? Infatti, anche se tutte queste cose esercitassero contro di te la loro ira e il mondo ti assoggettasse ad ogni pena e disonore, tutto sarebbe per te meno dannoso del commettere una sola colpa veniale contro Dio, che devi servire ed amare in tutto e per tutto. Qualunque tribolazione di questa vita è male minore della colpa, perché finisce con la morte; invece, la colpa può essere eterna, e con essa sarebbe tale la pena.
447. Nella vita attuale qualsiasi sofferenza intimorisce molto i mortali e li spaventa, perché essendo presente li ferisce nella loro sensibilità; invece la colpa non li turba né li intimorisce perché, distratti e abbagliati dalle cose visibili, non riflettono su ciò che la segue, cioè la pena eterna dell’inferno. E quantunque questa sia inclusa nello stesso peccato e non possa esserne separata, il cuore umano è così greve e tardo da lasciarsi ingannare dalla colpa senza vedere il castigo, perché i suoi sensi non l’avvertono ancora. E’ vero che i mortali potrebbero vederlo e sentirlo con la fede, ma la lasciano inoperosa e morta come se neanche l’avessero! O disgraziata cecità, o negligenza e stupidità, che tieni ingannevolmente oppresse tante anime capaci di ragione e di gloria! Non vi sono parole adeguate a descrivere questo tremendo pericolo! Figlia mia, fuggi e liberati, mediante un santo timore, da uno stato così infelice e, anziché cadere in esso, sopporta tutti i tormenti della vita che passa presto, poiché niente ti mancherà se non perderai Dio. Un mezzo molto efficace sarà considerare che per te e per coloro che sono nel tuo stato non esiste una colpa di scarsa importanza. Il poco devi temerlo molto, poiché non è tale agli occhi dell’Altissimo che conosce come, disprezzando le piccole cose, il cuore si apre per introdurne delle maggiori; inoltre non è lodevole un amore che non si cura del dispiacere della persona amata, fosse anche in cose piccole.
448. Le anime religiose devono osservare un certo ordine nei loro desideri. Prima di tutto devono mostrarsi sollecite e puntuali nell’adempiere gli obblighi dei voti e di tutte le virtù che in essi sono contenute. In secondo luogo vengono le altre opere volontarie, che eccedono il dovuto. Quest’ordine viene di solito invertito da certe anime che, ingannate dal demonio con uno zelo di perfezione eccessivo, mancano gravemente agli obblighi che derivano dal loro stato e cercano di aggiungere altre azioni cui si impegnano di propria volontà; generalmente sono cose piccole ed inutili e sono causate da spirito di presunzione, per la brama di rendersi singolari, di essere osservate, di distinguersi fra tutte come molto zelanti e perfette, mentre in realtà sono molto lontane dall’esserlo. Io non voglio vederti cadere in questa mancanza troppo biasimevole e perciò ti chiedo in primo luogo di adempiere all’obbligo dei voti e della vita comune; solo dopo aggiungerai ciò che, con la grazia divina e secondo le tue forze, ti sarà possibile; tutto ciò, se è ben ordinato e congiunto, abbellisce l’anima rendendola perfetta e ben accetta agli occhi di Dio.
449. Il voto principale e più importante della vita religiosa è quello dell’obbedienza, perché contiene la rinuncia totale alla propria volontà, in modo tale che alla religiosa non resta giurisdizione né diritto alcuno su se stessa per dire: «Voglio o non voglio, voglio fare o non voglio fare». A questo ha rinunciato con l’obbedienza, lasciando tutto nelle mani del superiore. Per adempiere bene questo voto, fa’ in modo di non ritenerti sapiente, né padrona del tuo volere o intendere, poiché l’ubbidienza vera dev’essere come la fede, stimando, riverendo e credendo ciò che comanda il superiore, senza pretendere di esaminarlo o di comprenderlo. Tu, quindi, per ubbidire ti devi considerare senza ragione, senza vita e senza giudizio; come corpo morto che si lascia muovere e governare a piacere, vivi unicamente per eseguire con la più grande prontezza la volontà del superiore. Non fermarti mai a ragionare su ciò che hai da fare, pensa solo a come eseguire bene ciò che ti comanderanno, sacrifica il tuo volere e mortifica tutti i desideri delle tue passioni; con questa efficace determinazione, moriranno in te tutti i tuoi moti e solo l’obbedienza sarà la vita e l’anima delle tue opere. Nella volontà del tuo superiore deve stare racchiusa la tua con tutti i tuoi movimenti, le tue parole, le tue opere; in tutto devi cercare che ti venga tolto il tuo modo di essere e te ne venga dato uno nuovo, che non sia per niente tuo, ma tutto dell’obbedienza, senza alcuna resistenza.
450. Considera bene che il modo più perfetto di obbedire è questo: il superiore non incontri dissonanza alcuna che lo disgusti, ma anzi trovi un’obbedienza che lo compiaccia pienamente al vedere che quanto comanda viene fatto con prontezza, senza replicare, né mormorare, né avere altre reazioni scomposte. Il superiore fa le veci di Dio, chi ubbidisce ai superiori ubbidisce a Dio stesso, che li dirige e illumina su quanto ordinano ai loro sudditi per il bene e la salvezza delle loro anime. Perciò il disprezzo che si mostra verso i superiori va a colpire Dio stesso, che, per mezzo di loro ed in loro, manifesta la sua volontà. Devi pensare che è lo stesso Signore a muovere la loro lingua, ossia che essi sono la lingua di Dio onnipotente. Figlia mia, adoperati per essere obbediente al fine di cantar vittoria; non temere mai di sbagliare quando obbedisci, perché questa è la via sicura, e lo è a tal punto che per il giorno del giudizio Dio non tiene conto degli errori di chi ubbidisce ed anzi cancella gli altri peccati per il solo sacrificio dell’obbedienza. Mio Figlio santissimo offrì all’eterno Padre la sua preziosissima passione e morte con particolare amore per gli obbedienti, affinché per questa virtù fossero avvantaggiati nel perdono e nella grazia e perché quanto avrebbero operato per ubbidienza fosse opera sicura e perfetta. Molte volte, per placare il Padre sdegnato con gli uomini, gli mostra ch’egli morì per loro, obbedendo fino alla morte di croce. Anche l’obbedienza di Abramo e di suo figlio Isacco fu così gradita al Padre che egli si ritenne obbligato non solo a salvare dalla morte un figlio che si mostrava tanto obbediente, ma anche a farlo padre del suo Unigenito, distinguendolo fra tutti gli altri e stabilendolo come capo e fondamento di tante benedizioni.
451. Il voto di povertà è un generoso liberarsi del pesante carico delle cose temporali. Esso alleggerisce lo spirito, solleva la debolezza umana e libera il cuore, capace per la sua nobiltà di beni eterni e spirituali. Esso lascia lo spirito soddisfatto e sazio, fermando il desiderio dei tesori terreni e dando un certo dominio su tutte le ricchezze, di cui consente di fare un nobile uso. La povertà liberamente scelta contiene, o figlia, questi ed altri beni maggiori, sconosciuti ai figli del secolo; essi sono privi di tutti questi beni, perché amano le ricchezze e sono nemici della santa e veramente ricca povertà. Costoro non si rendono conto, benché ne siano vittima, di quanto sia opprimente il peso delle ricchezze che li abbassa fino a terra, anzi fin dentro le viscere della terra, a cercarvi l’oro e l’argento con inquietudini, veglie, fatiche degne non d’uomini ragionevoli, ma di irragionevoli bruti, che non sanno né ciò che fanno, né quel che patiscono. Se le ricchezze sono tanto pesanti prima di essere acquistate, quanto più lo saranno dopo il loro conseguimento? Lo dicano quanti con questo carico sono caduti fino all’inferno, lo dicano gli smisurati affanni nel conservarle, e molto più le leggi intollerabili che hanno introdotto nel mondo le ricchezze ed i loro facoltosi possessori.
452. Se tutto ciò aggrava lo spirito, se opprime tirannicamente la sua debolezza, se avvilisce la nobile capacità che l’anima ha dei beni eterni e dello stesso Dio, è certo che la povertà, liberamente scelta, ristabilisce la creatura nella sua generosa condizione, la solleva dalla vile servitù e la pone nuovamente nella nobile libertà in cui fu creata come signora di tutte le cose. La creatura mai ne è così padrona come quando le disprezza, mai ha un possesso maggiore o fa un uso migliore delle ricchezze di quando le distribuisce o le lascia volontariamente; niente sazia maggiormente l’appetito che il gusto di non averne. Ma quello che è più importante è che la povertà, lasciando libero il cuore, lo rende capace di essere riempito da Dio dei tesori della sua divinità.
453. Figlia mia, io desidero che tu approfondisca molto questa filosofia e scienza divina così dimenticata dal mondo e non solo dal mondo, ma anche da molte anime religiose che ne hanno fatto promessa a Dio. L’indignazione di Dio è grande contro questa colpa e i trasgressori, senza neanche avvertirlo, ricevono subito un grave castigo; scacciando da sé la povertà, allontanano al tempo stesso lo spirito di Cristo, mio figlio santissimo, e quel che lui ed io siamo venuti ad insegnare agli uomini con la pratica della più stretta povertà. Al presente non si accorgono di un tale castigo, perché il giusto giudice dissimula, ed essi sguazzano nell’abbondanza che desiderano; ma nel rendiconto che li attende si troveranno confusi e disingannati di fronte al rigore che li aspetta e a cui prima non pensavano, non immaginandosi neppure che la giustizia di-vina fosse così dura.
454. I beni temporali furono creati dall’Altissimo perché servissero ai mortali soltanto per sostentare la vita; ottenuto questo fine, cessano di essere necessari. La vita, essendo limitata, con poco si può soddisfare, poiché in breve finisce, mentre l’anima sopravvive; non è cosa ragionevole che il pensiero di questa, che è eterna, sia solo temporaneo e passeggero, e che invece la bramosia di acquistare le ricchezze per la vita, che è passeggera, sia perpetua ed eterna negli uomini. È una grandissima perversità aver scambiato i fini ed i mezzi in cose tanto importanti e disparate; abbiamo dato ignorantemente alla breve e mal sicura vita del corpo tutto il tempo, tutta la sollecitudine e tutte le forze, nonché tutta la vigilanza dell’intelletto, mentre alla povera anima non vogliamo concedere in molti anni più di qualche ora e molte volte alla fine della vita!
455. Approfitta dunque, o figlia mia carissima, della vera luce che ti ha dato l’Altissimo per liberarti da un errore così pericoloso. Rinunzia ad ogni attaccamento ed amore per qualunque cosa terrena, non essere disordinatamente sollecita per il sostentamento della vita con il pretesto che ne hai bisogno e che il convento è povero. Quando poi ti occuperai di questo per quanto è necessario, fallo in modo tale che, quando ti venisse meno quello che desideri, tu non ti turbi, né lo brami con afflizione, quantunque ti sembri di farlo per il servizio di Dio, poiché tanto meno lo ami, quanto più pretendi di amare con lui altre cose. Al molto devi rinunziare come superfluo di cui non hai bisogno e che sarebbe delitto trattenere inutilmente. Il poco poi devi stimarlo poco, essendo stoltezza maggiore lasciarsi occupare il cuore da ciò che non vale niente e disturba molto. Se poi ottieni tutto ciò di cui a tuo giudizio credi aver bisogno, non sei veramente povera, poiché la povertà in senso proprio e rigoroso sta nell’aver meno di quello che è necessario e colui al quale niente manca si chiama ricco; ma l’aver di più, anziché ricchezza, è piuttosto inquietudine ed afflizione di spirito, come il bramarlo e custodirlo, senza farne uso, viene ad essere una specie di povertà che priva per di più di quiete e di riposo.
456. Voglio che tu abbia una libertà di spirito tale da non attaccarti a cosa alcuna, piccola o grande che sia, necessaria o superflua. Quanto a ciò che ti occorrerà per la vita corporale, devi accettare soltanto quanto è indispensabile per non morire, o per non vestire indecentemente; però il tuo abito sia il più povero e rattoppato e nel mangiare scegli il cibo più grossolano, senza ricerca di gusto particolare. Domanda piuttosto quello a cui senti maggiore avversione e che meno ti sollecita il gusto, cosicché ti venga dato ciò che non desideri e ti manchi ciò che più appetisci; in tal modo riuscirai ad operare in tutto la più grande perfezione.
457. Il voto di castità abbraccia la purezza dell’anima e quella del corpo, cosa facile a perdersi; a seconda del modo in cui si perde è difficile, o anche impossibile, riacquistarla. Questo gran tesoro è depositato in un castello con molte porte e finestre: se non sono ben custodite e difese non lo rendono sicuro. Figlia mia, per osservare questo voto con perfezione, è indispensabile che tu faccia un patto inviolabile con i tuoi sensi: essi devono muoversi soltanto per ciò che sarà loro ordinato dalla ragione e a gloria del Creatore. Morti i sentimenti, è cosa agevole sconfiggere i nemici, che solamente per mezzo di essi potrebbero vincerti, poiché i pensieri non si risvegliano, se per mezzo dei sensi non entrano nell’anima immagini che li fomentino. Tu non devi toccare, né guardare nessuno, non devi parlare a persona umana di qualsiasi condizione, tanto uomo che donna, né devi lasciar entrare nella tua fantasia le loro immagini. In questa cura vigilante, che molto ti raccomando, consiste la custodia della purezza che voglio da te; se ti occorrerà di dover parlare per carità o per obbedienza – solo per queste due ragioni devi trattare con le creature – fallo con severità, modestia e riservatezza.
458. Per ciò che riguarda la tua persona, vivi come pellegrina e forestiera nel mondo: povera, mortificata, tribolata, amando l’asprezza di ogni cosa temporale, senza desiderare riposo né comodità, come persona assente dalla sua casa, dalla propria patria, che viene condotta in campo contro forti nemici soltanto per faticare e combattere. Siccome tra questi nemici il più grave e pericoloso è la carne, ti conviene resistere alacremente alle tue passioni e, in esse, alle tentazioni del diavolo. Innalzati sopra te stessa e cerca un abitazione molto elevata, distante da ogni cosa terrena. Qui potrai vivere all’ombra di colui che desideri e nella sua protezione godere tranquillità e riposo vero. Abbandonati con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze al suo casto e santo amore; immaginati che per te più non esistano creature, se non in quanto ti aiutano ed obbligano ad amare e servire il Signore.
459. A colei che si chiama sposa di Cristo e lo è per professione, nessuna virtù deve mancare, specialmente la castità, perché è quella che più l’avvicina e rende simile al suo sposo. Essa la spiritualizza, l’alleggerisce della corruzione terrena, la solleva alla natura angelica rendendola in qualche modo perfino partecipe della natura divina. È’ una virtù che abbellisce ed adorna tutte le altre, innalza il corpo ad uno stato più elevato, illumina la mente e conserva le anime nella loro nobiltà, superiore a tutto ciò che è corruttibile. Siccome questa virtù è un frutto speciale della redenzione, meritato dal mio santissimo Figlio sulla croce, dove tolse i peccati del mondo, viene perciò singolarmente detto che le vergini accompagnano e seguono l’Agnello.
460. Muro che difende la castità e tutte le altre virtù è il voto di clausura; è come l’incastonatura in cui esse si conservano e risplendono; è un privilegio del cielo per esimere le religiose, spose di Cristo, dai gravi e pericolosi tributi che la libertà del mondo paga al principe delle sue vanità. Mediante questo voto le religiose vivono in un sicuro porto, mentre le altre anime, nella tempesta dei pericoli, sono sbattute e minacciate di naufragio ad ogni passo. Godendo di tanti vantaggi la clausura non si deve reputare come un luogo angusto; ivi si aprono dinanzi alla religiosa i vasti campi della virtù e della conoscenza di Dio, delle sue infinite perfezioni, dei suoi misteri, nonché delle ammirabili opere che fece e fa per gli uomini. In questi campi estesi e spaziosi, l’anima può e deve espandersi e ricrearsi; solo quando non lo fa, la clausura, che è la maggiore delle libertà, le pare uno stretto carcere. Per te, figlia mia, non vi è altra estensione, né io voglio che tu ti restringa tanto da contentarti dei brevi limiti del mondo intero. Poggia in alto sulla sublime cima della conoscenza di Dio e del suo amore, dove solo puoi vivere in libertà senza confini né limiti che ti angustino; li conoscerai quanto stretto, vile e disprezzabile è tutto il creato.
461. A questa clausura obbligatoria del corpo, tu fa’ di aggiungere quella dei tuoi sensi. Essi, così rafforzati, conserveranno la tua purezza interiore e con essa il fuoco del santuario, che sempre devi alimentare e custodire affinché non si estingua. Per lucrare il merito della clausura e custodire bene i tuoi sensi, non andar mai alla porta, né alla grata, né alla finestra; anzi, non ricordarti neppure che il convento ne abbia, se non per adempiere gli stretti doveri del tuo ufficio, o per ubbidienza. Non desiderare cosa alcuna, poiché non devi ottenerla, e non ti affaticare per ciò che non devi desiderare. Insomma, dalla tua riservatezza, circospezione e cautela, dipenderanno il tuo bene e la tua pace, il dar soddisfazione a me e il meritare per te l’abbondante frutto d’amore e di grazia, che desideri come premio.
CAPITOLO 4
La perfezione con cui Maria santissima osservava i riti del tempio e ciò che qui le ordinarono.
462. Proseguendo la nostra storia, dopo che la santissima Bambina ebbe consacrato il tempio con la sua presenza e dimora, crebbe realmente in sapienza e grazia dinanzi a Dio e agli uomini. Le rivelazioni datemi, riguardo a ciò che la mano potente di Dio operava nella Principessa del cielo in quegli anni, mi pongono come sul margine di un mare vastissimo e interminabile, che mi stupisce; rimango dubbiosa perché non so da dove entrare in questo pelago così immenso per uscirne con sicurezza, essendo necessario tralasciare molte cose e arduo dire bene le poche. Dirò, dunque, ciò che mi dichiarò l’Altissimo in una particolare occasione:
463. «Le opere che nel tempio fece colei che doveva essere Madre del Verbo, furono in tutto e per tutto perfettissime; penetrarle eccede la capacità d’ogni creatura umana ed angelica. Gli atti delle sue virtù interiori furono tanti e di così alto merito e fervore che superarono quelli dei serafini; e tu, o anima, conoscerai riguardo ad essi molto più di quello che potrai spiegare con le parole. È’ però mia volontà che, nel tempo della tua peregrinazione nel corpo mortale, ti proponga Maria santissima come principio della tua gioia e la segua per il deserto della rinunzia e del rinnegamento di ogni cosa umana e visibile. Seguila mediante una perfetta imitazione, conforme alle tue forze ed alla luce che stai ricevendo. Ella sarà la tua stella polare, la tua maestra e ti renderà palese la mia volontà. In lei troverai la mia legge santissima, scritta con la potenza del mio braccio, e potrai meditarla notte e giorno. Ella sarà per te colei che percuoterà la pietra dell’umanità di Cristo, affinché in questo deserto della vita scaturiscano e si riversino in te le acque della divina grazia e della luce, con le quali sarà saziata la tua sete, illuminato il tuo intelletto e infiammata la tua volontà. Sarà la colonna di fuoco che ti darà luce, la nube che ti farà ombra proteggendoti dagli ardori delle passioni e dalle ire dei tuoi nemici. In lei avrai l’angelo che ti guiderà e ti allontanerà dai pericoli di Babilonia e di Sodoma, perché non ti colga il mio castigo. In lei avrai una madre che ti amerà, un’amica che ti consolerà, una signora che ti comanderà, una protettrice che ti difenderà e una regina che servirai e alla quale ubbidirai in felice schiavitù. Nelle virtù che praticò la Madre del mio Unigenito nel tempio, troverai una regola universale di somma perfezione, su cui potrai ordinare la tua vita, uno specchio senza macchia che riflette l’immagine del Verbo incarnato, un ritratto preciso di tutta la santità di lui. Vi troverai la bellezza della verginità, le attrattive dell’umiltà, la prontezza della devozione e dell’ubbidienza, la fermezza della fede, la sicurezza della speranza, il fuoco della carità e un quadro preciso di tutte le meraviglie della mia destra. Questo è l’esempio con cui devi regolare la tua vita, questo lo specchio dinanzi al quale devi aggiustarti e adornarti per accrescere la tua bellezza e grazia, come sposa che brama apparire al cospetto del suo sposo e Signore».
464. «Se la nobiltà ed il merito del maestro servono da stimolo al discepolo, rendendogli più amabile la sua dottrina, chi mai potrà attirarti con maggior forza di una maestra che è la Madre stessa del Signore? Chi più di colei che fu da me scelta come la più pura e santa tra le creature, senza macchia di colpa, affinché fosse al tempo stesso vergine e Madre del mio Unigenito, che è lo splendore della mia divinità nella mia stessa sostanza? Ascolta, dunque, una così sovrana maestra; seguila imitandola in tutto e medita sempre senza interruzione le sue ammirabili qualità e virtù. A tale scopo devi riflettere sulla sua vita nel tempio; essa fu come un originale che devono ricopiare tutte le anime le quali, sul suo esempio, si consacrano per essere spose di Cristo». Questo è l’insegnamento che mi fu dato dall’Altissimo riguardo a ciò che Maria fece durante gli anni vissuti nel tempio.
465. Discendo ora nei particolari circa le sue occupazioni, dopo quella visione della Divinità di cui ho già detto. Dopo aver offerto tutta se stessa al Signore e tutte le sue cose alla maestra, restando assolutamente povera e abbandonata nelle mani dell’ubbidienza, coprendo sotto il velo di queste virtù i tesori di sapienza e grazia in cui superava i più alti serafini, chiese umilmente ai sacerdoti ed alla maestra che le indicassero la norma di vita che doveva osservare e le occupazioni in cui doveva esercitarsi. Il sacerdote ed Anna, la maestra, guidati dalla luce divina loro data, parlarono insieme e, desiderosi di assegnare all’eccelsa Bambina compiti proporzionati all’età di tre anni, la chiamarono alla loro presenza. La Principessa del cielo per udirli si mise in ginocchio dinanzi a loro; essi le dissero di alzarsi, ma la bambina, con tutta modestia, li pregò che le permettessero di stare in quella posizione, dal momento che si trovava alla presenza del ministro e sacerdote dell’Altissimo e della sua maestra, dei quali voleva rispettare l’ufficio e la dignità.
466. Il sacerdote allora le parlò dicendo: «Figlia, ancora piccola il Signore vi ha condotto a questa casa, suo santo tempio; mostratevi dunque a lui grata per tale favore e procurate di approfittarne adoperandovi molto nel servirlo con sincerità e cuore perfetto, studiandovi d’apprendere e di rivestirvi in ogni modo di virtù. Così da questo sacro luogo potrete poi ritornare nel mondo pronta per sopportare i suoi travagli e ben armata per difendervi dai suoi pericoli. Obbedite alla vostra maestra Anna e cominciate per tempo a portare il giogo soave della virtù, affinché vi sia meno pesante per il resto della vita». La bambina rispose: «Vi prego, o signor mio, come sacerdote e ministro dell’Altissimo di cui fate le veci, e allo stesso tempo prego la mia maestra di volermi comandare e insegnare ciò che io devo fare per non sbagliare; ve ne supplico, desiderosa in tutto di ubbidire alla vostra volontà».
467. Il sacerdote ed Anna, la maestra, avvertivano una grande illuminazione interiore ed una certa forza divina che li spingeva a dedicarsi in modo particolare alla Bambina e ad aver cura di lei più che delle altre; perciò, comunicandòsi il grande concetto che ciascuno di loro si era fatto, senza però conoscere da dove venisse loro quel misterioso impulso, decisero di assisterla e di occuparsi di lei e della sua direzione con una sollecitudine tutta speciale. Non potendo però questo estendersi soltanto alle azioni esteriori e visibili, non le potevano dare delle norme per gli atti interiori e per gli affetti del cuore, che solo l’Altissimo regolava con singolare protezione e grazia; così quel candido cuore restò pienamente libero per crescere ed avanzare nelle virtù interiori, senza cessare un solo istante di praticarle tutte nel sommo grado della loro perfezione.
468. Il sacerdote le diede delle indicazioni dicendole: «Figlia mia, ecco come dovrete regolare le vostre azioni. Alle lodi, ai cantici del Signore, voi assisterete con devozione e non tralascerete mai nelle vostre orazioni di pregare l’Altissimo per i bisogni del tempio e del suo popolo e per la venuta del Messia. Alle ore otto della sera vi ritirerete a dormire e all’aurora vi leverete a pregare e benedire il Signore fino all’ora terza. Da terza fino a mezzogiorno sarete occupata in qualche lavoro manuale, perché possiate essere istruita in tutto. Nella refezione che prenderete dopo il lavoro, osserverete la temperanza che conviene. Quindi subito ve ne andrete ad ascoltare ciò che v’in segnerà la vostra maestra; il resto del giorno lo occuperete nella lettura delle sacre Scritture. In tutto poi mostratevi umile, affabile ed ubbidiente a quanto la maestra vi comanderà».
469. La santa Bambina, ascoltando il sacerdote, rimase sempre in ginocchio, quindi gli chiese la benedizione e la mano per baciarla; così fece anche con la maestra. Nel suo cuore, intanto, si propose di vivere osservando quanto le avevano indicato per tutto il tempo che fosse rimasta in quel luogo, se non le avessero comandato altrimenti. Quanto si era proposto, poi, lo adempì come se fosse stata l’ultima delle discepole, benché in realtà lei fosse la maestra d’ogni santità e virtù. Veramente i suoi affetti e il suo ardente amore si estendevano a molte più opere esteriori di quelle che le ordinavano, ma sempre le sottopose al giudizio del ministro del Signore, anteponendo il sacrificio della santa e perfetta ubbidienza al proprio parere e a tutti i suoi fervori; come maestra d’ogni perfezione, conosceva che si compie meglio la volontà divina abbandonandosi umilmente ad ubbidire che non con le più sublimi aspirazioni ad altre virtù. Questo raro esempio insegna a noi religiose a non seguire i nostri entusiasmi, né i nostri giudizi contro quelli dei superiori e contro l’ubbidienza impostaci dalla loro volontà; è Dio stesso che in loro ci indica qual è il suo beneplacito, mentre noi nei nostri desideri cerchiamo di soddisfare il nostro capriccio. Se nei superiori opera Dio, in noi, invece, quando ci opponiamo a loro, operano la tentazione, la passione cieca e l’inganno.
470. La Regina e signora nostra si distinse maggiormente, oltre quanto le ordinarono, nel chiedere il permesso alla sua maestra di servire tutte le sue compagne, d’esercitare i più umili servizi della casa, come spazzare, pulire, lavare le stoviglie. E quantunque questo potesse sembrare una novità, poiché si era soliti trattare con particolare riguardo le primogenite, l’umiltà incomparabile della divina Principessa non poteva frenarsi, né contenersi nei limiti della maestà, senza abbassarsi alle occupazioni più vili, che faceva con umiltà così vigilante da prevenire tutte le altre. Con la scienza infusa che aveva, conosceva già tutti i misteri e i riti del tempio; eppure, come se non li conoscesse per nulla, li volle apprendere con la disciplina e l’esperienza, senza mancare mai ad alcuna celebrazione. Era poi molto attenta a vivere nel sincero disprezzo di sé, a ricercare la propria umiliazione ed ogni mattina e sera chiedeva la benedizione alla sua maestra e le baciava la mano; faceva così anche quando la maestra le ordinava qualche atto di umiltà e le dava il permesso di farne. Alcune volte, se glielo concedeva, le baciava anche i piedi con profondissima umiltà.
471. L’eccelsa Principessa era così docile, così premurosa, sottomessa e diligente nell’umiliarsi, nel servire e nel rispettare tutte le giovani che vivevano nel tempio, che a tutte rapiva il cuore e a tutte ubbidiva come se ciascuna fosse la sua maestra. E, per l’ineffabile e celestiale prudenza che aveva, sapeva ordinare le sue azioni in modo da non perdere alcuna occasione per prevenire tutte le altre nelle opere manuali, umili e che fossero allo stesso tempo di servizio alle sue compagne e di gradimento alla divina volontà.
472. Ora, che dovrò dire io, vilissima creatura, o che dovremo dire tutti noi cristiani, figli della santa Chiesa, giunti a questo punto a scrivere e meditare questo esempio vivo di umiltà? Ci pare una gran virtù che l’inferiore ubbidisca al superiore ed il minore al maggiore, ancor più grande che l’uguale s’adatti ad ubbidire in ciò che gli comanda un altro suo uguale; ma chi non resterà stupito e chi non si vergognerà della sua vana superbia, vedendo che la Regina si umilia alla schiava, la santissima e perfettissima fra tutte le creature ad un verme, la signora del cielo e della terra ad un’infima donna e tutto ciò sinceramente e di vero cuore? Chi è che si guarda in questo lucido specchio e non vede la propria infelice presunzione? Chi potrà immaginare di avere conosciuto la vera umiltà e tanto meno di saperla praticare, quando la ravvisa e la contempla in Maria santissima? Noi, che viviamo sotto l’ubbidienza promessa, ricorriamo a questa luce per conoscere e correggere i nostri disordini, quando l’ubbidienza dei superiori, rappresentanti di Dio, ci è molesta e dura opponendosi alle nostre voglie. Venga meno la nostra durezza, si umilii la nostra superbia, svanisca anche la presunzione di chi si crede ubbidiente ed umile solo per essersi talvolta sottomesso ai superiori, mentre non è ancora giunto a persuadersi d’essere inferiore a tutti, come si giudicò colei che è a tutti superiore.
473. La bellezza, la gentilezza e l’affabilità della nostra Regina erano incomparabili; in lei si trovavano in grado perfetto tutti i doni naturali di anima e corpo e questi, fatti risaltare dalla luce della grazia sovrannaturale e divina che riverberava in essi, presentavano un ammirabile composto di bellezza e di grazia nell’essere e nell’operare, che attirava l’ammirazione e rapiva il cuore di tutti. Tuttavia la divina Provvidenza moderava le dimostrazioni che avrebbero fatto quanti trattavano con lei, se si fossero abbandonati alla forza dell’amore che li accendeva a suo riguardo. Nel mangiare e nel dormire era, come nelle altre virtù, perfettissima; si regolava con grande temperanza, senza mai eccedere, moderandosi anche in ciò che era necessario. Benché il breve sonno che prendeva non le impedisse l’altissima e usuale contemplazione, se ciò fosse dipeso dalla sua volontà, ne avrebbe fatto a meno; ma per ubbidire, nel tempo assegnato si ritirava e così nel suo umile e povero letto pieno di virtù e attorniato dagli angeli e dai serafini, che la custodivano e assistevano, godeva delle visioni più alte, esclusa quella beatifica, e dell’amore più infiammato.
474. Distribuiva le sue occupazioni con rara discrezione, dando a ciascuna il tempo opportuno. Leggeva molto le Scritture e la sua scienza infusa la rendeva così capace di penetrare in esse e nei loro misteri, che nessuno le restò nascosto. In verità l’Altissimo le manifestò tutti i segreti e lei, parlando con i suoi santi angeli custodi e domandando molte cose con profondità e acutezza, si confermava in essi. Se questa sovrana Maestra avesse scritto ciò che comprese, noi possederemmo molte altre scritture divine; riguardo poi a quelle che possediamo, avremmo conoscenza completa e perfetta dei profondi misteri e significati che racchiudono. Lei però, di tutta questa pienezza di scienza, si avvaleva per culto, lode e amore di Dio; la indirizzava tutta a questo fine, senza che in lei alcun raggio di luce rimanesse ozioso o sterile. Celere nel ragionare, profonda nell’intendere, alta e nobile nei pensieri, prudente nell’eleggere e disporre, efficace nell’operare, in tutto era una regola perfetta ed un oggetto prodigioso di stupore agli uomini e agli angeli, nonché al Signore stesso, che l’aveva fatta tutta a misura del suo cuore e del suo compiacimento.
Insegnamento dell’eccelsa Signora
475. Figlia mia, la natura umana è imperfetta e negligente nell’operare la virtù. Essa è fragile, e presto viene meno, perché è molto incline al riposo e ripugna la fatica con tutte le sue forze. Perciò, quando l’anima ascolta e asseconda i propri istinti, questi prendono talmente il sopravvento sulle forze della ragione e dello spirito, che le riducono a vile e pericolosa servitù. In qualunque anima questo disordine è terribile, ma incomparabilmente di più Dio lo aborrisce nei suoi ministri e nei religiosi, per i quali, essendo più strettamente obbligati ad esser perfetti, è anche maggiore il danno di non uscire sempre vittoriosi da questa lotta con le passioni. Da questa tiepidezza nella resistenza e dall’essere frequentemente vinti, risulta una tale spossatezza e perversità di giudizio, che giungono a contentarsi di fare alcune manifestazioni di virtù assai superficiali, credendosi con ciò sicuri; anzi, sembra loro di trasportare un monte da un luogo all’altro, senza invece aver fatto alcuna cosa di reale profitto. Il demonio poi vi aggiunge altre distrazioni e tentazioni in modo che, tenendo in poco conto le leggi della vita religiosa, vengono a mancare quasi in tutte e, giudicando ciascuna come cosa piccola e da poco, arrivano al punto di perdere la retta cognizione delle virtù e di vivere in una falsa sicurezza.
476. Quindi, o figlia mia, guardati bene da un così pericoloso inganno e considera che trascurare volontariamente un’imperfezione dispone e apre la via ad altre, che portano ai peccati veniali, e questi ai mortali; così, via via, procedendo di abisso in abisso, si arriva al fondo e a compiere ogni male. Per prevenire questa rovina, si deve bloccare la corrente da molto lontano, poiché un atto che forse pare piccolo è una difesa che tiene distante il nemico; i precetti e le leggi delle opere maggiori obbligatorie sono poi il muro della coscienza, per cui, se il demonio rompe il primo baluardo e se ne impossessa, si avvicina per impadronirsi del secondo e se in questo fa una prima breccia con qualche peccato, anche se non grave, è già al punto di poter dare l’assalto al regno interiore dell’anima con facilità e quasi con certezza di riuscita. Perciò essa, trovandosi debilitata per gli atti viziosi, priva delle forze della grazia, non resiste più con vigore e il demonio, che l’ha già in parte conquistata, finisce per assoggettarla pienamente ed opprimerla, senza incontrare resistenza.
477. Considera dunque, o carissima, quanta debba essere la tua vigilanza fra tanti pericoli, per non addormentarti in mezzo ad essi. Considera che sei religiosa, sposa di Cristo, superiora, istruita, illuminata e piena dei più singolari benefici; perciò a misura di questi ed altri titoli compresi in essi, devi essere tanto più sollecita, dovendo mostrarti riconoscente al Signore e ricambiarlo. Impegnati per essere puntuale nell’osservanza di tutti i riti e di tutte le leggi della vita religiosa; per te non ci sia né precetto, né comando, né atto di perfezione che sia piccolo. Non disprezzarne alcuno, ma osservali tutti, perché agli occhi di Dio tutto ciò che si fa per suo compiacimento è prezioso e grande. È certo che a lui è caro veder adempiuto ciò che comanda e il non curarsene l’offende. Considera in tutto che hai uno Sposo cui devi piacere, un Dio cui devi servire, un Padre cui devi ubbidire, un Giudice che devi temere e una Maestra che devi imitare e seguire.
478. Per adempiere tutto ciò ti conviene rinnovare nella tua anima una risoluzione forte ed efficace, non dare ascolto alle tue inclinazioni e non assecondare la debolezza della tua pigra natura. Per le difficoltà che avvertirai, non omettere alcuna azione, fosse anche di baciare la terra quando sei solita farlo, come si usa nella vita religiosa. Tanto il poco quanto il molto adempilo con affetto e costanza e sarai così gradita agli occhi di mio Figlio ed ai miei. Nelle opere che vorrai offrire spontaneamente chiedi consiglio al tuo confessore o al tuo superiore supplicando Dio che dia loro luce per comprendere e presentandoti poi spoglia d’ogni inclinazione e d’ogni desiderio. Ciò che ti ordineranno scrivilo nel tuo cuore e realizzalo con puntualità; non decidere mai di fare alcuna cosa per buona che ti sembri, quando ti è possibile ricorrere all’obbedienza e al consiglio; infatti la volontà di Dio ti si manifesterà sempre in questo
CAPITOLO 5
Il grado perfetto delle virtù di Maria santissima e come erano da lei praticate.
479. La virtù adorna e nobilita la razionalità della creatura e la inclina a bene operare. È’ una qualità permanente che difficilmente si separa dalla facoltà, a differenza dell’atto che subito passa e non rimane. Inclina alle azioni rendendole facili e buone, cosa che la sola facoltà non fa, in quanto indifferente sia alle opere buone che alle cattive. Maria santissima fu adornata, fin dal primo istante della sua vita, con tutte le virtù in grado eminente e queste andarono aumentando continuamente mediante la grazia che le veniva rinnovata e mediante le opere perfette con cui esercitava tutte le virtù infuse in lei dal Signore, acquistandosi i più alti meriti.
480. Poiché la celeste Principessa non fu toccata dalla colpa, che inclina al male e resiste al bene, queste facoltà non erano in lei disordinate, né avevano quella ripugnanza da vincere che abbiamo noi; inoltre avevano una certa attitudine ad essere rese inclini dalle virtù a ciò che è migliore, più perfetto, più santo e più lodevole. Tuttavia, in quanto semplice creatura passibile, era anche soggetta a sentire pena, nonché a propendere, senza colpa, al lecito riposo, tralasciando almeno alcune opere che eccedono il dovuto. A vincere questa inclinazione naturale l’aiutarono le virtù, con il cui impulso la Regina del cielo cooperò così coraggiosamente che mai rese vana o impedì la forza con la quale esse in tutte le opere la muovevano e la purificavano.
481. L’anima di Maria, dotata di tutte le virtù, ordinate tra loro nella più bella armonia, era talmente illuminata, nobilitata, indirizzata al bene e al fine ultimo d’ogni creatura, docile, pronta, attiva ed allegra nel bene operare che, se fosse possibile alla nostra debole vista penetrare nel segreto di quel cuore, lo vedremmo come l’oggetto più bello e più ammirabile di tutte le creature, quello di maggiore godimento dopo lo stesso Dio. Tutte le virtù si ritrovavano in Maria santissima come nel proprio centro; in lei toccavano la loro ultima perfezione senza che si potesse dire: «Manca ancora questo per essere cosa perfettamente bella». Oltre le virtù infuse, ebbe anche quelle acquisite, che si procurò con l’esercizio e con l’uso. E quantunque nelle altre anime si dica che un solo atto non è virtù, perché è necessario ripeterne molti per acquistaHa, in Maria santissima le opere furono tanto efficaci, intense e perfette, che ciascuna di esse sorpassava quelle delle altre creature tutte insieme. E poiché in lei furono così ripetuti gli atti virtuosi senza perdere nulla della loro efficacia, chi potrà comprendere quali virtù furono quelle che la divina Signora acquistò con le proprie opere? D’altronde, se la bontà dell’atto virtuoso si desume non solo dal modo in cui si compie, ma altresì dal fine per cui si fa, ecco che questo fine in Maria santissima fu il più alto che le opere delle creature possano avere: fu il medesimo Dio. Perciò non fece nulla senza essere mossa dalla grazia e senza indirizzare l’opera alla maggior gloria e al compiacimento del Signore, guardando sempre a lui come motivo ed ultimo fine.
482. Queste due specie di virtù infuse e acquisite hanno come base un’altra virtù detta naturale, perché nasce in noi con noi stessi, in forza della natura razionale; si chiama sinderesi. È questa una cognizione, proveniente dalla luce dell’intelletto, dei primi fondamenti e principi della virtù, un’inclinazione della volontà alla virtù; corrisponde a quella luce dell’intelletto da cui procede, come la cognizione che devi amare chi ti fa del bene, che non devi fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te stesso, o cose simili. Nella nostra Regina questa virtù naturale si trovava in modo eccellente ed ella, con somma chiarezza, ne riceveva tutto il bene che ne poteva derivare, fino alle più remote conseguenze, poiché le permetteva di ragionare con incredibile vivacità e rettitudine. Per questi ragionamenti si avvaleva della sua conoscenza infusa delle creature, specialmente delle più nobili ed universali: dei cieli, del sole, della luna, delle stelle, dei pianeti e dell’armonia con cui sono disposti. Invitava tutte queste creature a lodare il loro Creatore e ad attirare l’uomo dietro a sé per fargli conoscere Dio, senza trattenerlo, se non per quanto fosse utile ad elevarlo al creatore ed autore di tutto.
483. Le virtù infuse si riducono a due ordini o classi. Nella prima entrano soltanto quelle che hanno per oggetto immediato Dio. Per questo si chiamano teologali e sono la fede, la speranza e la carità. Nel secondo ordine stanno tutte le altre virtù che per oggetto prossimo hanno qualche mezzo o bene onesto, che serve ad indirizzare l’anima verso il fine ultimo: Dio stesso; queste si chiamano virtù morali, perché appartengono ai costumi e, sebbene siano molte come numero, si riducono a quattro cardini: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Di tutte queste virtù e delle loro specie parlerò più avanti, per spiegare come tutte e ciascuna si trovavano nella nostra Regina. Per ora avverto solamente in generale che nessuna le mancò nel più perfetto grado e che con esse ebbe tutti i doni e tutti i frutti dello Spirito Santo, nonché le beatitudini. Fin dal primo istante della sua concezione, Dio non tralasciò d’infonderle, tanto nella volontà quanto nell’intelletto, nessun genere di grazia e beneficio, per abbellire con perfezione la sua anima e le sue facoltà. Per dirlo in una parola: quanto di buono l’Altissimo poté darle, come Madre del suo Figlio e secondo la sua capacità di semplice creatura, tutto le diede in altissimo grado. Inoltre, tutte queste virtù si accrebbero in lei: quelle infuse perché le aumentò con i suoi meriti, quelle acquisite perché le generò con gli intensissimi atti che faceva.
Insegnamento della Madre di Dio
484. Figlia mia, l’Altissimo, a tutti gli uomini, senza differenza, comunica la luce delle virtù naturali. A quelli poi che con l’esercizio di esse e mediante gli altri aiuti divini dispongono il loro animo, egli concede anche le virtù infuse, dando loro la grazia giustificante; come Autore della natura e della grazia distribuisce tali doni, secondo la sua equità e il suo beneplacito. Nel battesimo infonde le virtù della fede, della speranza e della carità e con esse anche altre, affinché, col soccorso di tutte, la creatura operi bene, senza contentarsi soltanto di conservare i doni ricevuti in virtù del sacramento, studiando di acquistarne altri con le proprie forze ed i propri meriti. Certamente sarebbe somma fortuna e felicità per gli uomini poter corrispondere all’amore dimostrato dal loro Creatore e redentore nell’abbellire in tale modo le loro anime e nell’agevolare l’esercizio virtuoso della volontà mediante le grazie infuse. Invece, non corrispondere a tale beneficio li rende estremamente infelici, poiché in questa slealtà consiste la prima e la maggiore vittoria del demonio contro di loro.
485. Da te voglio, o anima, che ti eserciti e ti adoperi con le virtù naturali e soprannaturali per acquistarne altre, ripetendo con incessante diligenza gli atti di quelle che Dio amabilmente e liberalmente ti ha comunicate. Ti sia utile per questo pensare che i doni infusi, uniti a quelli che l’anima va in seguito acquistando e guadagnando, formano un ornamento e una composizione d’ammirabile bellezza e di sommo gradimento agli occhi dell’Altissimo. Rifletti inoltre, o carissima: se tu, dopo che la mano del Signore è stata così generosa con la tua anima nel profondere tali benefici e nell’arricchirti della sua grazia, ti mostrassi ingrata, la tua colpa e la tua responsabilità sarebbero maggiori di quelle di molte generazioni. Considera bene la bellezza delle virtù, che anche da sole illuminano le anime; perciò sarebbe già cosa grande ed onorevole il possederle, anche se non avessero altro fine che quello naturale e non le seguisse altro premio. Inoltre, quanto più sublimi le rende avere per loro ultimo fine Dio stesso, che è ercano con la verità e la bontà insite in loro! E quanto grande è il premio, dal momento che fanno capo allo stesso Dio, rendendo così la creatura pienamente fortunata e felice!
CAPITOLO 6
La virtù della fede e il suo esercizio in Maria santissima.
486. Secondo quanto riferisce san Luca, santa Elisabetta compendiò in breve la grandezza della fede di Maria santissima, quando le disse: Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore. La fede di questa gran Signora si deve misurare dal grado della sua felicità e beatitudine e dalla sua ineffabile dignità; se ella infatti giunse alla maggiore grandezza possibile dopo quella di Dio, ciò avvenne per la singolare eccellenza della sua fede. Credette che il più grande di tutti i misteri si doveva compiere in lei e nel prestare fede a questa verità, del tutto nuova e mai udita prima, fu tale la sua prudenza e scienza da trascendere ogni intelletto umano ed angelico. Il modello della sua fede poteva essere tracciato soltanto nella mente divina, nella quale tutte le virtù di questa Regina vennero come fabbricate dal braccio potente dell’Altissimo. Io mi trovo sempre molto imbarazzata nel parlare di queste virtù, specialmente di quelle interiori, perché da una parte è assai grande la luce che intorno ad esse mi è stata data, dall’altra sono molto limitati i termini umani per spiegare i concetti e gli atti di fede generati nell’intelletto e nello spirito della più fedele di tutte le creature, anzi di colei che da sola vale più di tutte le altre creature insieme. Purtroppo mi riconosco incapace di dire quello che richiederebbe il mio desiderio e, molto più, l’argomento; tuttavia dirò quel che potrò.
487. La fede, in Maria santissima, toccò il sommo grado di perfezione raggiungibile in una creatura umana; questa virtù fu in lei come un prodigio manifesto della potenza divina in mezzo a tutta la natura creata. Perciò in qualche modo servì per soddisfare Dio, compensando la mancanza di fede degli altri uomini. A loro, ancora viatori, l’Altissimo diede questa bella virtù, perché con lo spirito si elevassero alla conoscenza dei suoi misteri e delle sue opere, con la certezza, la sicurezza e l’infallibilità di chi lo vede già faccia a faccia, come gli angeli beati; infatti lo stesso oggetto e la stessa verità che questi vedono con piena chiarezza, appare anche a noi per fede, cioè sotto il velo e la nube di questa virtù.
488. Basta volgere gli occhi al mondo per conoscere subito quante nazioni, monarchie e province fin dal principio si sono rese indegne di questo magnifico beneficio, così male apprezzato e contraccambiato dai mortali; quante lo hanno infelicemente rigettato da sé, dopo che il Signore l’aveva loro misericordiosamente concesso; quanti fedeli, dopo averlo ricevuto senza alcun merito, non sanno trarne profitto sfruttandolo, ma lo tengono invece come cosa superflua, di nessun valore. E così, invece di essere loro guida per raggiungere l’ultimo fine, resta ozioso, inutile e senza alcun effetto o vantaggio. Quindi alla giustizia divina conveniva trovare qualche risarcimento a questa commiserabile perdita, in modo che un così incomparabile beneficio non rimanesse senza un adeguato e proporzionato contraccambio da parte delle creature, per quanto fosse loro possibile. Perciò fra tutte Dio ne volle trovare almeno qualcuna in cui la virtù della fede fosse in grado perfetto, per servire da esempio e misura a tutte le altre.
489. Questo fu appunto quello a cui provvide la grande fede di Maria santissima. Fu tale che, se anche al mondo non vi fosse stato nessun altro al di fuori di lei, a Dio sarebbe convenuto creare questa bella virtù, a causa di lei e per lei. Maria da sola, con la sua grandissima fede, fece si che la divina Provvidenza non patisse mancanza da parte degli uomini, né restasse delusa a causa della poca corrispondenza degli uomini a tale riguardo. A questo provvide la fede della sovrana Regina che riprodusse in sé con somma perfezione la divina idea di questa virtù. Quindi la sua fede può servire da norma e misura a tutti gli altri credenti, i quali saranno più o meno avanzati in questa virtù, a seconda di quanto si accosteranno alla perfezione dell’incomparabile fede di lei. Maria fu perciò eletta maestra ed esempio per tutti i Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i Martiri e quanti hanno creduto e crederanno sino alla fine del mondo.
490. Qualcuno potrebbe avere dubbi su come la Regina del cielo potesse esercitare la fede, poiché ebbe molte visioni chiare della Divinità e molte altre astrattive, ossia quelle che rendono evidente all’intelletto ciò che conosce. Il dubbio si fonderebbe sulle parole della Scrittura: La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. È come dire che, riguardo alle cose che ora speriamo, cioè l’ultimo fine e la beatitudine, finché viviamo non abbiamo altra presenza né sostanza od essenza fuorché quella che la fede contiene nel suo oggetto creduto oscuramente e come attraverso uno specchio; la forza di questa fede ispirata ci inclina a credere ciò che non vediamo, così come l’infallibile certezza di ciò che crediamo conferisce alla ragione una testimonianza convincente e alla volontà sicurezza, per cui si crede senza dubbio ciò che si desidera e si spera. Conformemente a questa dottrina, se la santissima Vergine era giunta in questa vita a vedere e a possedere Dio senza il velo della fede, non pare che le dovesse restare alcuna oscurità, così da dover credere per fede ciò che aveva visto faccia a faccia, tanto più se nel suo intelletto rimanevano le immagini acquistate nella visione chiara, o almeno evidente, della Divinità.
491. Questo dubbio, anziché contrastare l’esistenza della fede in Maria santissima, la ingrandisce e la innalza moltissimo. In realtà il Signore, privilegiando sua Madre in questa virtù, come in quella della speranza, volle che si distinguesse e si elevasse al di sopra di tutti gli altri viatori. Perché ella fosse maestra ed artefice di queste grandi virtù, Dio volle che il suo intelletto fosse illuminato talora con gli atti perfetti della fede e della speranza, talora con la visione e col possesso, benché transitorio, del fine e dell’oggetto che credeva e sperava; così avrebbe potuto conoscere nella loro origine e gustare alla loro fonte quelle verità che, come maestra dei credenti, avrebbe dovuto insegnare a credere. D’altronde era facile per il potere di Dio congiungere queste due cose nell’anima santissima di Maria; ed essendo facile, era in qualche modo come dovuto alla sua purissima Madre, dal momento che per lei nessun privilegio, per quanto grande, era sconveniente, né doveva mancarle.
492. È pur vero che la chiarezza dell’oggetto che conosciamo non può stare insieme all’oscurità della fede, con la quale crediamo ciò che non si vede, come il possesso non può stare con la speranza. Per questo Maria santissima, quando godeva di queste visioni chiare o astrattive, non esercitava gli atti oscuri della fede, né usava tale virtù, ma solo la scienza infusa. Però non per questo restavano oziose le due virtù teologali della fede e della speranza, perché il Signore, quando voleva che Maria santissima ne facesse uso, sospendeva le visioni chiare ed evidenti, con le quali cessava la scienza attuale ed operava la sola fede oscura. La sovrana Regina restava a volte in tale stato perfetto quando il Signore si nascondeva e le sottraeva la conoscenza chiara, come accadde nel mistero dell’incarnazione.
493. Veramente non conveniva che la Madre di Dio fosse priva del premio delle virtù infuse della fede e della speranza; per ottenerlo aveva da meritarlo e per mentarlo aveva da esercitare queste virtù in misura proporzionata al premio. E siccome questo fu incomparabile, tali furono anche gli atti di fede che questa grande Signora esercitò circa ciascuna delle verità cattoliche, che conobbe e credette tutte, in modo chiaro e perfetto, come viatrice. Da una parte è chiaro che, quando l’intelletto ha evidenza di ciò che conosce, non aspetta, per aderirvi, l’assenso della volontà; prima che questa glielo comandi è costretto, dalla medesima chiarezza, a prestare fermo consenso. D’altra parte è certo che, quando Maria santissima acconsenù all’annuncio dell’arcangelo, fu degna d’incomparabile premio, perché nell’assenso a tale mistero ebbe il merito, come avvenne anche negli altri misteri a cui ugualmente credette. Ora, come poteva avvenire ciò se non perché l’Altissimo aveva disposto che in questi casi usasse della sola fede infusa e non della scienza? Tuttavia anche quando operava con la scienza aveva il suo merito per l’amore col quale la esercitava.
494. Neppure quando perse Gesù fanciullo ebbe l’uso della scienza infusa, con la quale avrebbe potuto conoscere dove ritrovarlo. Allora non ebbe nemmeno visioni chiare di Dio. Lo stesso accadde ai piedi della croce, quando il Signore sospese le illuminazioni che nell’anima santissima di sua Madre avrebbero impedito il dolore. In quel momento, infatti, conveniva che lo sentisse e che operassero la sola fede e la sola speranza. Il gaudio che le avrebbe prodotto qualunque visione o conoscenza di Dio, anche se astrattiva, naturalmente avrebbe impedito il dolore, a meno che Dio non avesse fatto un miracolo per cui potessero stare insieme pena e giubilo. Ma alla divina Maestà conveniva lasciare la Regina del cielo nella sofferenza, perché i meriti e l’imitazione del suo Figlio santissimo potessero stare insieme con le sue grazie e la sua dignità di Madre. Per questo cercò il fanciullo con dolore, come lei stessa disse, e con fede viva e speranza. Lo stesso accadde nella passione e resurrezione dell’unico e amato Figlio; in quel momento la fede della Chiesa perseverò solo in lei, sua maestra e fondatrice.
495. Tre condizioni o qualità particolari si possono considerare nella fede di Maria santissima: la continuità, l’intensità e la chiarezza con la quale credeva. La continuità s’interrompeva solo quando con chiarezza intuitiva o evidenza astrattiva contemplava la Divinità, come ho già riferito. Anche se solo il Signore poteva sapere quando la sua santissima Madre esercitava gli uni o gli altri atti interiori con cui lo conosceva, è certo che mai l’intelletto della Regina del cielo rimase ozioso, cosicché dalla sua concezione non perse mai di vista Dio. Quando era sospesa la fede, godeva della visione chiara della Divinità o dell’evidenza dell’altissima scienza infusa; quando le era occultata questa conoscenza subentrava la fede, e nella successione e vicissitudine di questi atti si scorgeva una regolarissima armonia nella mente di Maria sanfissima, tanto che l’Altissimo invitava gli spiriti angelici a contemplaila, secondo quanto dice lo sposo nel Cantico dei Cantici: Tu che abiti nei giardini – compagni stanno in ascolto – fammi sentire la tua voce.
496. La fede della sovrana Principessa, per la sua efficacia e intensità, superò quella di tutti gli Apostoli, i Profeti e i Santi messi insieme, tanto da raggiungere il massimo livello possibile in una semplice creatura; Maria ebbe inoltre la fede che mancò a tutti coloro che non hanno creduto, cosicché con tale sua virtù avrebbe potuto illuminarli tutti. E quando gli Apostoli al momento della passione vennero meno, in lei la fede perseverò talmente robusta, ferma e costante, che se tutte le tentazioni, gli inganni, le falsità e gli errori del mondo si fossero uniti, non avrebbero potuto impedire né turbare l’invincibile fede della Regina dei fedeli, perché colei che ne è fondatrice e maestra li avrebbe superati e contro tutti sarebbe riuscita vittoriosa e trionfante.
497. La chiarezza, o intelligenza, con la quale credeva esplicitamente tutte le verità divine, non si può ridurre a parole senza oscurarla. Maria santissima sapeva tutto ciò che credeva e credeva tutto quanto sapeva; la scienza teologica infusa della credibilità dei misteri della fede e la loro intelligenza stava in questa Vergine sapiente nel grado più sublime possibile a una semplice creatura. La scienza e la memoria, superiori a quelle degli angeli, erano in lei sempre in atto senza mai farle scordare ciò che apprendeva; faceva uso di questi doni per credere profondamente, eccetto quando Dio stesso ordinava che fosse sospesa la fede. Anche se non era già beata, ma ancora viatrice, per credere e conoscere Dio, aveva l’intelligenza più eminente e più immediata, essendo in uno stato supenore a quello di tutti i viatori.
498. Anche se Maria santissima, quando esercitava le virtù della fede e della speranza, si trovava nello stato per lei più ordinario e basso, superava tutti i santi e gli angeli del paradiso; lo stesso accadeva nei meriti, poiché amava più di loro. Che cosa sarà stato quello che operava, meritava e l’amore di cui ardeva, quando era sollevata dal potere divino ad altri benefici e ad altro stato più sublime, come nella visione beatifica o conoscenza chiara della Divinità? Io vorrei almeno che tutti i mortali conoscessero il valore della virtù della fede, considerandola in questo divino esempio, dove giunse alla perfezione, toccando adeguatamente il fine al quale Dio l’aveva ordinata. Si avvicinino gli infedeli, gli eretici, i pagani e gli idolatri alla maestra della fede, Maria santissima, per esserne illuminati nei loro inganni e tenebrosi errori; ritroveranno il cammino sicuro per giungere all’ultimo fine, per il quale furono creati. Si avvicinino anche i cattolici per conoscere il copioso premio di questa eccellente virtù: domandino con gli Apostoli al Signore che aumenti loro la fede, non per amvare a quella di Maria santissima, ma per imitarla e seguirla, poiché con la luce della fede ella insegna anche a noi il vero modo di praticarla, e con i suoi altissimi meriti ci dà fondata speranza di riuscirvi.
499. Il patriarca Abramo fu chiamato da san Paolo padre di tutti i credenti, perché per primo ebbe la promessa del Messia e credette, sperando contro ogni speranza; questo indica quanto fu eccellente la fede del Patriarca che per primo credette alle promesse del Signore, quando non poteva avere umana speranza, sia perché sua moglie Sara avrebbe dovuto partorirgli un figlio essendo sterile, sia perché, offrendolo a Dio in sacrificio, come gli veniva ordinato, non capiva in che modo avrebbe potuto avere una discendenza innumerevole. Abramo credette che il potere divino soprannaturale avrebbe realizzato tutto ciò che era naturalmente impossibile e anche altre parole e promesse; per questo meritò di essere chiamato padre dei credenti e di ricevere il segno della fede per la quale era stato giustificato: la circoncisione.
500. Maria, nostra signora, possiede maggiori titoli e prerogative di Abramo per essere chiamata madre della fede e di tutti i credenti; nella sua mano tiene innalzato lo stendardo ed il vessillo della fede per tutti i credenti della legge di grazia. È’ vero che il Patriarca fu primo in ordine di tempo e fu dato come padre e capo al popolo ebreo, così come è altrettanto vero che la sua fede nelle promesse riguardanti Cristo nostro Signore e nelle parole dell’Altissimo fu grande ed eccellente. Ma ciò non toglie che la fede di Maria sia stata incomparabilmente più ammirabile, cosicché ella è la prima nella dignità. Infatti, vi era maggiore difficoltà o impossibilità nel partorire e concepire di una vergine che non in quello di una vecchia sterile; inoltre il patriarca Abramo non era così certo che si sarebbe eseguito il sacrificio di Isacco, come lo era Maria santissima che si sarebbe sacrificato suo Figlio. Fu lei che in tutti i misteri credette, operò ed insegnò alla Chiesa come doveva credere nell’Altissimo e nelle opere della redenzione. Così, conosciuta la fede di Maria nostra regina, vogliamo concludere che essa è madre dei credenti, esempio della fede cattolica e della santa speranza. Al termine di questo capitolo dico che Cristo, nostro redentore e maestro, godendo la somma gloria e la visione beatifica, non aveva fede, né poteva usare di essa, né con i suoi atti poteva essere maestro di questa virtù. Però, quanto il Signore non poté fare direttamente, lo fece per mezzo di Maria costituendola fondatrice, madre ed esempio della fede della sua Chiesa. Inoltre, vuole che questa sovrana Signora e regina nel giorno del giudizio universale assista il suo santissimo Figlio nel giudicare coloro che non hanno creduto, pur avendo avuto nel mondo un tale esempio.
Insegnamento della Madre di Dio e signora nostra
501. Figlia mia, il tesoro inestimabile della virtù della fede divina rimane nascosto a quegli uomini che hanno solamente occhi carnali e terreni, perché costoro non sanno stimarla e apprezzarla come richiede un dono di così incomparabile valore. Considera, carissima, quale era lo stato del mondo quando non aveva fede e quale sarebbe oggi, se il mio figlio e Signore non la conservasse. Quanti uomini, che il mondo ha celebrato come grandi, potenti e saggi, privi della luce della fede, sono precipitati dall’oscurità della loro infedeltà in abominevoli peccati, e poi nelle tenebre eterne dell’inferno? Quanti condussero e conducono ancora oggi a cecità quelli che li seguono, finché arrivano a cadere tutti insieme nel profondo delle pene eterne? Questi uomini sono seguiti dai cattivi fedeli che hanno ricevuto la grazia e il beneficio della fede, ma vivono come se non l’avessero per nulla nelle loro anime.
502. Non ti scordare, amica mia, di mostrarti grata per questa perla preziosa che il Signore ti ha data come caparra e vincolo dello sposalizio celebrato con te, per attirarti al talamo della sua Chiesa e quindi a quello della sua eterna visione beatifica. Esercita sempre la virtù della fede, poiché ti pone vicino all’ultimo fine, la meta verso cui cammini, l’oggetto desiderato e amato. Essa insegna il cammino certo dell’eterna felicità, illumina nelle tenebre della vita mortale i viatori, portandoli sicuri al possesso della loro patria, verso la quale dovrebbero indirizzare i loro passi, se non fossero morti per l’infedeltà e per i peccati. Questa è la virtù che risveglia le altre, che alimenta e sostiene il giusto nelle sue tribolazioni, che confonde e intimorisce gli infedeli ed anche i fedeli tiepidi e negligenti nell’operare, poiché manifesta loro in questa vita i peccati, nell’altra il castigo che li attende. Inoltre la fede può ogni cosa, poiché al credente niente è impossibile. Infine, la fede illumina e nobilita l’intelletto umano, ammaestrandolo affinché non erri nelle tenebre della sua naturale ignoranza, sollevandolo oltre se stesso perché veda ed intenda con infallibile certezza tutto ciò a cui non potrebbe giungere con le sue forze, portandolo a credere con sicurezza come se vedesse con evidenza. La fede, infatti, spoglia l’uomo di quella grossolanità che lo porta a non voler credere più di quello a cui egli stesso, con la sua limitatezza, può arrivare; eppure ciò è così poco finché l’anima vive nel carcere del corpo corruttibile, soggetta all’uso dei sensi! Stima dunque, figlia mia, la perla preziosa della fede cattolica che Dio ti ha dato; custodiscila, esercitandola con stima e rispetto.
CAPITOLO 7
La virtù della speranza e il suo esercizio nella vergine nostra Signora.
503. La virtù della fede è seguita dalla speranza, a cui quella viene ordinata. Infatti, se l’altissimo Dio ci infonde la luce della fede, con la quale tutti senza differenza giungiamo alla conoscenza infallibile di lui, dei suoi misteri e delle sue promesse, lo fa affinché noi, conoscendolo come nostro ultimo fine e nostra felicità, e conoscendo inoltre i mezzi per raggiungerlo, ci solleviamo ad un intenso desiderio di conseguirlo. Questo desiderio, al quale segue come effetto l’impegno per arrivare al sommo Bene, si chiama speranza; tale virtù viene data col battesimo alla nostra volontà. Questa deve bramare l’eterna beatitudine come suo ultimo e sublime bene e deve sforzarsi, con l’aiuto della grazia divina, di conseguirla, superando le difficoltà che in questa contesa si presentano.
504. Quanto sia eccellente la virtù della speranza si conosce dal fatto che essa ha per oggetto Dio come ultimo e sommo nostro bene, benché lo contempli e lo cerchi come cosa lontana, anche se possibile da acquisire per mezzo dei meriti di Cristo e delle opere compiute da colui che spera. Gli atti di questa virtù si regolano con la luce della fede divina e della prudenza, con cui applichiamo a noi stessi le promesse infallibili del Signore. Con questa regola opera la speranza infusa, mantenendosi nel mezzo ragionevole tra gli estremi dei vizi contrari, cioè tra la disperazione e la presunzione, affinché l’uomo non presuma vanamente di conseguire la gloria eterna con le sue forze o senza fare opere per meritarla, né, se vorrà faile, tema o diffidi di conseguifla, come il Signore gli promette e assicura. L’uomo che spera, con prudenza e nella giusta opinione di sé, applica a se stesso questa sicurezza fondata sulla fede, cosicché non viene meno né cade in disperazione.
505. Da qui si conosce che la disperazione può venire dal non credere ciò che la fede ci promette o, in caso che si creda, dal non applicare a se stessi la sicurezza delle promesse divine, giudicando erroneamente impossibile conseguirle. Tra questi due pericoli procede sicura la speranza, che muove a credere che Dio non negherà a me ciò che ha promesso a tutti e, allo stesso tempo, che la promessa fu fatta a condizione che io da parte mia mi impegnassi e la meritassi col favore della grazia divina. Perciò, se Dio fece l’uomo capace di giungere alla sua visione e alla gloria eterna, non era conveniente che arrivasse a tanta felicità per mezzo del cattivo uso delle stesse facoltà con cui lo avrebbe goduto, ossia con i peccati; egli volle che vi giungesse usando queste facoltà in modo adeguato al fine al quale tendere, cioè con il buon uso delle virtù. Con esse l’uomo si dispone ad arrivare a godere il sommo Bene, potendolo subito cercare in questa vita con la conoscenza e con l’amore divino.
506. La virtù della speranza ebbe in Maria santissima il sommo grado di perfezione possibile anche negli effetti e nelle condizioni; il desiderio e lo sforzo di conseguire la
visione di Dio fu in lei maggiore che in tutte le creature. Sua Altezza non ebbe solamente la fede infusa nelle promesse del Signore, alla quale, essendo la maggiore, corrispondeva in proporzione la maggiore speranza; ebbe anche la visione beatifica, nella quale per esperienza conobbe l’infinità, verità e fedeltà dell’Altissimo. Sebbene non usasse della speranza mentre godeva della visione e del possesso della Divinità, in sua assenza, quando ritornava allo stato ordinario, la memoria del sommo Bene, l’aiutava a sperarlo e a desiderarlo con maggior forza e intensità. Questo desiderio era come una nuova e singolare speranza, propria della Regina delle virtù.
507. La speranza di Maria santissima ebbe anche un’altra causa per superare quella di tutti i fedeli, perché il premio di questa sovrana Regina, che è il principale oggetto della speranza, fu superiore a quello di tutti gli angeli e i santi. Per questo, proporzionatamente alla conoscenza che l’Altissimo le diede di tanta gloria, ella ebbe la somma speranza e il sommo desiderio di conseguirla. Affinché poi arrivasse al grado più sublime di questa virtù, sperando degnamente tutto ciò che il braccio onnipotente di Dio voleva operare in lei, fu prevenuta con la luce della fede suprema, con aiuti e doni adeguati e con una speciale mozione dello Spirito Santo. Ciò che diciamo della somma speranza che ella ebbe riguardo all’oggetto principale di questa virtù, si deve intendere anche riguardo agli altri oggetti, detti secondari; infatti, i benefici, i doni e i misteri, che si operarono nella Regina del cielo, furono così grandi che il braccio onnipotente di Dio non poté stendersi oltre. Poiché questa grande Signora doveva divenire capace di accoglierli mediante la fede e la speranza delle promesse divine, era necessario che in lei queste virtù fossero le maggiori possibili in una creatura umana.
508. Come si è già riferito, la Regina del cielo ebbe conoscenza e fede esplicita di tutte le verità rivelate, nonché di tutti i misteri e di tutte le opere dell’Altissimo, e inoltre in lei agli atti della fede corrispondevano quelli della speranza; chi potrà allora conoscere, tranne lo stesso Dio, quanti e quali siano stati gli atti di speranza che emise questa Signora delle virtù, avendo conosciuto tutti i misteri della stessa sua gloria ed eterna felicità, insieme a quelli che in lei e nella Chiesa si dovevano operare per i meriti del suo Figlio santissimo? Soltanto per Maria sua madre, solo per darla a lei, Dio avrebbe formato questa virtù, come anche la fede.
509. Per questa ragione lo Spirito Santo la chiamò madre del bell’amore e della santa speranza, perché come il dare carne al Verbo la rese Madre di Cristo, così lo Spirito Santo la fece madre della speranza per aver concepito e partorito, con il suo concorso e la sua opera speciale, questa virtù per i fedeli della Chiesa. L’essere madre della santa speranza fu conseguente all’essere Madre di Gesù Cristo nostro Signore, poiché conobbe che in suo Figlio ci dava tutta la nostra sicura speranza. Per questi concepimenti e parti, la Regina santissima acquistò una specie di dominio e d’autorità sopra la grazia e le promesse dell’Altissimo, che con la morte di Cristo nostro redentore, figlio di Maria, si dovevano adempiere; perciò tutte queste cose ci furono date da questa Signora, quando, mediante la sua libera volontà, concepì e partorì il Verbo incarnato e con lui tutte le nostre speranze. In questo si adempì legittimamente quello che disse lo sposo nel Cantico dei Cantici: I tuoi germogli sono un giardino; tutto ciò che uscì da questa Madre di grazia fu per noi felicità, paradiso e speranza certa di conseguirlo.
510. La Chiesa aveva in Gesù Cristo un padre celeste e vero, che la generò e fondò e l’arricchì di grazie, di esempi e di insegnamenti, mediante i suoi meriti e le sue sofferenze, come conviene a un tale padre, autore di quest’opera ammirabile; con questa perfezione era perciò opportuno avere anche una madre amorosa e benigna, la quale, con carezze e con materno affetto, allevasse al suo petto i figli e con tenero e dolce nutrimento li alimentasse, quando, essendo ancora piccoli, non potessero sopportare il pane dei robusti e dei forti. Questa dolce madre fu Maria santissima che al tempo della Chiesa primitiva, quando nasceva nei teneri figli la legge di grazia, incominciò a dar loro dolce latte di luce e dottrina, come pietosa madre; fino alla fine del mondo continuerà a farlo con le sue intercessioni a favore dei nuovi figli, generati ogni giorno da Cristo nostro Signore con i meriti del suo sangue e per le preghiere della Madre di misericordia. Per lei nascono; ella li alleva ed alimenta ed è dolce madre, vita e speranza nostra, origine della nostra speranza, esempio da imitare nella speranza di conseguire con la sua intercessione l’eterna felicità, quella che il suo santissimo Figlio ci meritò, nonché gli aiuti che per mezzo di lei ci comunica per poterla raggiungere.
Insegnamento della santa vergine Maria
511. Figlia mia, con la fede e la speranza, come con due forti ali, il mio spirito si sollevava, cercando l’infinito e sommo Bene, fino a riposare nell’unione del suo intimo e perfetto amore. Molte volte godevo della sua visione, della sua intuizione; ma se questo beneficio non era continuo, per lo stato di viatrice, tale invece era in me l’esercizio della fede e della speranza. Esse rimanevano escluse dalla visione, ma subito le ritrovavo nella mia mente, senza alcun ritardo nei metterle in pratica. Quanto poi all’ardente desiderio che esse causavano nel mio spirito di giungere al godimento eterno di Dio, tutto ciò non può essere adeguatamente inteso dall’intelletto umano, che è limitato, ma lo conoscerà in Dio con eterna lode colui che meriterà la sua visione in cielo.
512. E tu, carissima, che già hai ricevuto tanta luce sull’eccellenza di questa virtù e sulle opere che io esercitavo con essa, adoperati per imitarmi incessantemente secondo le forze della grazia divina. Medita continuamente le promesse dell’Altissimo e, con la certezza che ti viene dalla fede, solleva il tuo cuore con ardente desiderio, anelando a conseguirle. Con questa ferma speranza, per i meriti del mio santissimo Figlio, giungerai ad abitare la celeste patria in compagnia di tutti coloro che nella gloria immortale contemplano il volto dell’Altissimo. Se con questo aiuto distacchi il tuo cuore dalle cose terrene, fissando tutta la tua mente nel bene immutabile a cui aneli, tutto ciò che è visibile ti diventerà pesante e molesto, lo giudicherai vile e disprezzabile e nient’altro bramerai fuorché l’amabilissimo oggetto dei tuoi desideri. Nell’anima mia questo ardore della speranza fu quello che conveniva a chi con la fede lo aveva creduto e con l’esperienza l’aveva gustato: ardore che nessuna parola può spiegare.
513. Inoltre, considera e piangi con intimo dolore l’infelicità di tante anime le quali, essendo immagini di Dio e capaci della sua gloria, per le loro colpe restano prive della speranza vera di goderlo. Se i figli della santa Chiesa facessero sosta nei loro vani pensieri e si trattenessero un po’ a valutare il beneficio concesso loro da Dio, che con il dono della fede e della speranza li ha separati, senza loro merito, dalle tenebre, senza dubbio avrebbero vergogna della loro ingrata dimenticanza. Ma non s’inganmno, perché li aspettano maggiori e più terribili tormenti. Pensino che a Dio ed ai santi sono tanto più ripugnanti quanto maggiore è il loro disprezzo del sangue di Cristo, in virtù del quale vennero loro fatti questi benefici. E come se tali verità fossero favole, questi ingrati disprezzano il frutto della verità senza trattenersi un solo giorno -, e molti neanche un’ora sola – a considerare i loro obblighi e il pericolo che li sovrasta. Piangi, anima, questo danno e secondo le tue forze impegnati e domanda a mio Figlio il rimedio; credi che qualunque sollecitudine e sforzo metterai nel fare questo, ti sarà premiato da sua Maestà.
CAPITOLO 8
La virtù della carità di Maria santissima nostra signora.
514. La virtù sovraeccellentissima della carità è la signora, la regina, la madre, l’anima, la vita e la bellezza di tutte le altre virtù. La carità è quella che le governa tutte, le muove e le guida al loro vero ed ultimo fine. Essa le genera nel loro essere perfetto, le sviluppa e conserva, le illumina e adorna, e dà loro vita ed efficacia. E se tutte le altre procurano alla creatura qualche perfezione e ornamento, la carità è quella che origina l’uno e l’altra in esse e che le perfeziona, perché senza la carità sono tutte deformi, oscure, languide, morte e senza profitto, e in esse il dinamismo della vita non è perfetto. La carità è benigna, paziente, mansuetissima, senza emulazione, senza invidia, senza risentimento. Essa di niente si appropria, tutto distribuisce, origina tutti i beni e non acconsente ad alcuno dei mali per quanto dipende da lei, perché è la maggiore partecipazione del vero e sommo Bene. O virtù delle virtù e somma dei tesori del cielo! Tu sola tieni la chiave del paradiso, tu sei l’aurora dell’eterna luce, il sole del giorno dell’eternità, il fuoco che purifica, il vino che inebria dando un nuovo sentimento, il nettare che letifica, la dolcezza che sazia senza fastidio, il talamo in cui riposa l’anima. Sei vincolo così stretto che ci fai uno col medesimo Dio, nella maniera in cui lo sono l’eterno Padre col Figlio ed entrambi con lo Spirito Santo.
515. Per l’incomparabile nobiltà di questa signora delle virtù, cioè della carità, lo stesso Dio e Signore volle – a nostro modo d’intendere – onorare se stesso col nome di lei, chiamandosi egli stesso Amore, come disse san Giovanni. A ben donde la Chiesa cattolica, delle perfezioni divine, attribuisce al Padre l’onnipotenza, al Figlio la sapienza e allo Spirito Santo l’amore, perché il Padre è principio senza principio, il Figlio è generato dal Padre attraverso l’intelletto e lo Spirito Santo da entrambi procede attraverso la volontà. Nondimeno, lo stesso Signore applica a se stesso il nome di carità nella sua pienezza e perfezione senza differenza di Persone, poiché di tutte e tre senza distinzione l’Evangelista disse: Dio è amore. Tale virtù, nel Signore, ha questa peculiarità: è il termine, lo scopo di tutte le operazioni ad intra e ad extra, perché tutte le divine processioni, che sono le attività di Dio dentro di sé, vanno a terminare nell’unione dell’amore e della carità reciproca delle tre Persone divine, per cui tra loro hanno un altro vincolo indissolubile, oltre all’unità della natura indivisa nella quale sono un solo e medesimo Dio. Tutte le opere ad extra, ovvero le creature, hanno avuto origine dalla carità divina e ad essa sono ordinate, in modo che, uscendo dal mare immenso di quella bontà infinita, facciano poi ritorno, mediante la carità e l’amore, all’origine da cui provengono. Questo è pregio singolare della virtù della carità tra tutte le altre virtù e gli altri doni ed è perfetta partecipazione della carità divina, ha origine dallo stesso principio, mira al medesimo fine ed è inoltre proporzionata ad essa più delle altre virtù. Infatti, se chiamiamo Dio nostra speranza, nostra pazienza e sapienza, è solo perché riceviamo dalla sua mano queste virtù e non perché siano presenti in Dio come in noi. Tuttavia, non solamente riceviamo la carità dal Signore, né egli si chiama Amore solo perché ce la comunica, ma anche perché la possiede in se stesso nella sua essenza. Perciò la nostra carità scaturisce da tale perfezione divina, che noi c’immaginiamo come forma e attributo della sua natura, con più proporzione e perfezione di qualsiasi altra virtù.
516. La carità di Dio possiede a nostro vantaggio altre qualità ammirabili. Difatti, essendo essa il principio che ci comunicò tutto il bene del nostro essere ed essendo anche il sommo bene che è lo stesso Dio, viene ad essere lo stimolo e l’esempio della nostra carità e del nostro amore verso lo stesso Signore. Infatti, se per amarlo non ci desta e non ci muove il sapere che in se stesso è infinito e sommo Bene, almeno ci attirerà e ci obbligherà ad amarlo il sapere che egli è il nostro sommo bene. E se forse non potevamo né sapevamo amarlo prima che ci desse il suo Figlio unigenito, ora però, dopo che ce l’ha donato, come potremmo osare non amarlo? O con quale giustificazione? Poiché, se abbiamo una discolpa nel non saperci guadagnare tale beneficio, nessuna però ne avremo se, dopo averlo ricevuto senza meritarlo, non ce ne mostreremo riconoscenti ricambiando amore con amore.
517. L’esempio, che la nostra carità ha in quella divina, dimostra molto più l’eccellenza di tale virtù, benché con difficoltà io possa esprimere in questo il mio pensiero. In verità, quando Cristo Signore nostro fondava la sua perfettissima legge di amore e di grazia, c’insegnò ad essere perfetti a imitazione del nostro Padre celeste, il quale fa sorgere il sole, che è cosa sua, sopra i giusti e gli ingiusti senza differenza. Solamente il Figlio dell’eterno Padre poteva dare agli uomini tale insegnamento e tale esempio, perché, tra tutte le creature visibili, nessuna come il sole ci manifesta la carità divina e ce la propone per imitarla. Difatti questo nobilissimo pianeta, per sua medesima natura e senz’altra deliberazione fuorché la sua sola inclinazione innata, comunica la sua luce a tutte le parti e a tutti quelli che sono capaci di riceverla, senza differenza: per quanto dipende da lui non la nega mai e non la toglie a nessuno. Inoltre fa questo senza che vi sia obbligato da alcuno, senza riceverne beneficio né contraccambio di cui abbia necessità e senza trovare nelle cose, che illumina e riscalda, bontà alcuna antecedente che valga a muoverlo o ad attirarlo; anzi fa questo senza avere altro interesse fuorché quello di spargere la stessa virtù che contiene in sé, affinché tutti ne partecipino e la comunichino.
518. Considerando dunque le qualità di una così generosa creatura, chi è colui che non scorga in essa un’immagine della Carità increata, che si deve imitare? E chi vi sarà che non si curi di imitarla? Chi potrà immaginare di se stesso che abbia vera carità se non la imita? La nostra carità e il nostro amore non possono produrre bontà alcuna nell’oggetto amato, come fa la carità increata del Signore. Tuttavia, se non possiamo migliorare quelli che amiamo, possiamo almeno amare tutti senza interesse e senza scegliere chi amare e a chi fare del bene con la speranza del contraccambio. Non dico che la carità non sia libera, né che Dio abbia fatto qualche opera fuori di sé per naturale necessità, né mira a questo l’esempio, perché tutte le opere ad extra, che sono quelle della creazione, sono libere in Dio. Tuttavia la volontà libera non deve deviare né violentare l’inclinazione e l’impulso della carità, anzi deve assecondarla ad imitazione del sommo Bene. Egli, poiché la sua natura domanda di comunicarsi, non trovò a tal fine alcun ostacolo nella sua volontà divina, ma si lasciò trasportare e muovere dalla sua stessa inclinazione per comunicare i raggi della luce inaccessibile a tutte le creature, secondo la capacità insita in ciascuna di riceverla, senza che da parte nostra vi fossero prima bontà alcuna, servizio o beneficio, e senza che egli sperasse d’avere tale contraccambio dopo. Infatti, non ha bisogno di nessuno.
519. Avendo già conosciuto in parte la condizione della carità nel suo principio, che è Dio, dove mai al di fuori dello stesso Signore la ritroveremo noi in tutta la sua perfezione possibile a una semplice creatura se non in Maria santissima, dalla quale più immediatamente possiamo imitare come dev’essere la nostra carità? È chiaro che, uscendo i raggi di questa luce e carità dal Sole increato, dove sta senza termine e fine, essa si va comunicando a tutte le creature, fino alla più remota, con ordine, con misura ed esclusivamente secondo il grado di ciascuna, a seconda che si trovi più vicina o più distante dal suo principio. Quest’ordine mostra la pienezza e la perfezione della Provvidenza divina, poiché senza di essa sarebbe difettosa, confusa e incompleta l’armonia delle creature, che Dio ha creato per farle partecipi della sua bontà e del suo amore. Il primo posto in quest’ordine doveva essere occupato, dopo il medesimo Dio, da quell’anima e da quella persona che allo stesso tempo fosse Dio increato e uomo creato, affinché alla somma e suprema unione di natura seguisse la somma grazia e partecipazione d’amore, come si trovò e si trova in Cristo Signore nostro.
520. Il secondo posto spetta alla sua madre Maria santissima, nella quale in modo singolare riposò la carità e l’amore divino. Infatti, a nostro modo d’intendere, la Carità increata non sarebbe stata affatto quieta e soddisfatta se non si fosse riversata in una creatura semplicemente tale, e con tale abbondanza che in lei venisse ad essere nepilogato l’amore e raccolta la carità di tutto il genere umano, in modo che ella sola potesse supplire per le altre semplici creature, dando così il contraccambio possibile alla Carità increata e partecipando della stessa senza le mancanze e i difetti che vi mescolano tutti gli altri mortali corrotti dal peccato. Solo Maria fra tutte le creature fu eletta, come il Sole di giustizia, affinché lo emulasse nella carità e imitasse lui in questa sua virtù con la massima conformità all’originale. Ella sola seppe amare più, e meglio, di tutte le altre insieme, amando Dio puramente, perfettamente, intimamente e sommamente per Dio stesso e le creature per suo amore, nel modo in cui egli stesso le ama. Ella sola assecondò adeguatamente l’impulso della carità e la sua inclinazione generosa, amando il sommo Bene come sommo bene senza alcun altro scopo, amando le creature per la partecipazione che hanno di Dio e non per il contraccambio, né per la speranza di una retribuzione. Di conseguenza, imitando in tutto la Carità increata, solo Maria poté e seppe amare in modo da migliorare chi amava. In verità, col suo amore operò in maniera tale che migliorò il cielo e la terra in tutto ciò che esiste, eccetto Dio.
521. Quindi, se la carità di questa gran Signora si ponesse su una bilancia e quella di tutti gli uomini e gli angeli su un’altra, peserebbe più quella di Maria purissima che quella di tutte le altre creature, poiché queste fra tutte non giunsero a saper tanto, come ella sola, della natura e qualità della carità di Dio. Conseguentemente, solo Maria seppe imitarla con adeguata perfezione in modo superiore all’intera natura delle creature intelligenti. Con questo eccesso d’amore e di carità soddisfece il debito che le creature avevano di corrispondere all’amore infinito del Signore verso di esse, cioè di corrispondervi per quanto si poteva richiedere da loro, non dovendo il loro amore equivalere a quello infinito di Dio, perché ciò non era possibile. E come l’amore e la carità dell’anima santissima di Gesù Cristo furono in qualche misura proporzionate all’unione ipostatica, nel grado possibile, così la carità di Maria fu in altro modo proporzionata al beneficio di averle l’eterno Padre dato il suo Figlio santissimo, affinché fosse unitamente madre di lui e lo concepisse e partorisse per rimedio del mondo.
522. Da ciò intenderemo che tutto il bene e la felicità delle creature si viene a risolvere in qualche maniera nella carità e nell’amore che Maria santissima ebbe per Dio. Ella fece sì che queste virtù e questa partecipazione dell’amore divino si trovassero fra le creature nella loro ultima e somma perfezione. Ella pagò interamente per tutti questo debito, mentre tutti gli altri insieme non avrebbero potuto dare a Dio la ricompensa dovuta né tantomeno giungevano a conoscerla. Con questa perfettissima carità ella obbligò, per quanto era possibile, l’eterno Padre a donarle, per sé e per tutto il genere umano, il suo Figlio santissimo. Infatti, se Maria purissima avesse amato meno e se nella sua carità si fosse trovata qualche mancanza, non vi sarebbe stata disposizione nella natura creata perché il Verbo s’incarnasse, mentre invece, trovandosi fra le creature qualcuna che giungesse ad imitare la carità divina in grado tanto sublime, ne veniva di conseguenza che in lei sarebbe sceso il medesimo Dio, come fece.
523. Tutto questo si trova racchiuso in quella frase con cui lo Spirito Santo la chiamò Madre del bell’amore, attribuendo pure a lei queste parole – come si è riferito della santa speranza. In verità Maria è madre di colui che è nostro dolcissimo amore, Gesù Signore e redentore nostro, il più bello tra i figli dell’uomo, sia per la divinità che è d’infinita ed increata bellezza, sia per l’umanità che non ebbe colpa né inganno e alla quale non mancò grazia alcuna di quelle che la divinità poté comunicarle. Inoltre è Madre del bell’amore, perché ella sola generò nella sua mente l’amore, la carità perfetta e la bellissima dilezione, che tutte le altre creature non seppero generare in tutta la sua bellezza, e senza difetto alcuno, in modo che potesse chiamarsi un amore assolutamente bello. Madre è del nostro amore, perché ella lo portò al mondo, ella ce lo guadagnò ed ella c’insegnò a conoscerlo e a praticarlo. Infatti, esclusa Maria santissima, non si poteva trovare né in cielo né in terra un’altra semplice creatura che gli uomini e gli angeli potessero seguire come maestra del bell’amore. Così, tutti i santi sono come raggi di questo sole, come condotti escono da questo mare e, tanto più sanno amare, quanto più partecipano dell’amore e della carità di Maria santissima, imitandola e perciò rendendosi conformi a lei.
524. Cause di tale carità e amore nella nostra principessa Maria furono la profondità della sua altissima conoscenza e sapienza, per la fede e la speranza infuse come per i doni dello Spirito Santo, di scienza, intelletto e sapienza, e soprattutto per le visioni intuitive, nonché per quelle astrattive della Divinità. Mediante tutti questi mezzi conobbe in sommo grado la Carità increata e la bevve alla sua medesima fonte. Avendo conosciuto che Dio doveva essere amato per se stesso e la creatura per Dio, così fece e praticò con intensissimo e ferventissimo amore. D’altronde il potere divino, non trovando impedimento, né ostacolo di colpa, né di inavvertenza, ignoranza, imperfezione o indugio nella volontà di questa Regina, poté operare in lei tutto ciò che volle e tutto ciò che non fece con le altre creature, perché nessun’altra ebbe la disposizione di Maria santissima.
525. Quindi la carità di Maria fu un vero prodigio del potere divino; fu il maggior saggio e la maggior testimonianza della carità increata di Dio in una creatura puramente tale e fu il disimpegno di quel gran precetto naturale e divino: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze, perché solo Maria disobbligò tutte le creature da questo impegno e da questo debito, che in questa vita, prima di vedere Dio, non sapevano né potevano pagare interamente. Questa Signora l’adempì, quando era ancora viatrice, meglio dei medesimi serafini, che già erano comprensori. Ella in un certo senso disimpegnò anche Dio, poiché lo tolse dall’obbligo di far sì che questo precetto non restasse vano e come frustrato da parte dei viatori. Infatti Maria purissima, ed ella sola, lo osservò con tutta santità e perfezione per tutti loro, supplendo abbondantemente a quanto loro mancava. E se, quando Dio volle stabilire questo precetto di tanto amore e di così perfetta carità ai mortali, egli non avesse avuto presente Maria santissima, nostra regina, forse non lo avrebbe dato in tale forma, ma in vista di questa Signora ben si compiacque di fissarlo in questi termini; quindi noi le siamo debitori sia dell’avere ricevuto questo precetto della perfetta carità sia dell’averlo adeguatamente adempiuto.
526. O dolcissima Madre del bell’amore, tutte le nazioni ti conoscano, tutte le generazioni ti benedicano, tutte le creature ti esaltino e ti lodino! Tu sola sei la perfetta, tu sola la diletta, tu sola la prescelta per tua madre che è la carità increata. Ella ti formò unica e fulgida come il sole, per risplendere col tuo bellissimo e perfettissimo amore. Avviciniamoci dunque tutti, noi miseri figli di Eva, a questo sole, affinché ci illumini ed accenda. Andiamo a questa Madre, affinché ci rigeneri nell’amore. Avviciniamoci a questa maestra, affinché c’insegni ad esercitare l’amore, la dilezione e la carità bella e senza difetti. L’amore è un affetto col quale chi ama si compiace e riposa nell’amato. La dilezione inoltre fa una certa scelta e separazione della cosa che si ama da tutto il resto. Ma la carità, oltre a tutto ciò, significa un’intima preziosità dell’oggetto amato, per cui si stima e brama. Tutto questo ci verrà insegnato dalla Madre di questo bell’amore, il quale, appunto perché ha in lei tutte queste qualità, viene ad esser tale. Da lei apprenderemo ad amare Dio per Dio, riposando in lui tutto il nostro cuore e tutti i nostri affetti. Apprenderemo a separare questo cuore da tutto ciò che non è lo stesso sommo Bene, poiché lo ama meno chi con lui vuole amare altre cose. Apprenderemo ad apprezzarlo e stimarlo più dell’oro e più di ogni altra cosa preziosa, poiché, al suo confronto, ogni cosa preziosa è vile, ogni bellezza è bruttezza e ogni cosa grande e stimabile agli occhi carnali viene ad essere spregevole e senza valore alcuno. Quanto agli effetti della carità di Maria santissima, io ne parlo in tutta quest’Opera e di essi sono pieni il cielo e la terra. Quindi non mi trattengo a raccontare in particolare quello che non si può spiegare con la lingua né con parole umane o angeliche.
Insegnamento della Regina del cielo
527. Figlia mia, se con affetto di madre desidero che tu mi segua e mi imiti in tutte le altre virtù, in questa poi della carità, che è il fine e la corona di tutte, ti ordino espressamente come mia volontà che tu dilati oltremisura tutte le tue forze per copiare nell’anima tua con maggiore perfezione tutto ciò che ti fu fatto conoscere nella mia. Accendi la lucerna della fede e della ragione per ritrovare questa dramma d’infinito valore e, avendola poi ritrovata, dimentica e disprezza tutto ciò che è terreno e corruttibile. Molte volte medita, considera e pondera le infinite ragioni e cause che vi sono in Dio perché egli debba essere amato sopra tutte le cose. E affinché tu sappia come devi fare per amarlo con la perfezione che desideri, questi saranno i segni e gli effetti dell’amore dai quali conoscerai se il tuo è perfetto e vero. Osserva cioè se mediti e pensi a Dio continuamente; se adempi i suoi precetti e consigli senza tedio né disgusto; se temi di offenderlo; se, offeso, procuri subito di placarlo; se ti dispiace che sia offeso; se ti rallegri che tutte le creature lo servano; se desideri e gusti il parlare continuamente del suo amore; se ti consoli nel ricordarlo e averlo presente; se ti rattristi della sua dimenticanza e lontananza; se ami ciò che egli ama e aborrisci ciò che egli aborrisce; se procuri di attirare tutti alla sua amicizia e grazia; se gli domandi con confidenza; se ricevi con riconoscenza i suoi benefici; se procuri di non perderli e se li converti ad onore e gloria sua; se desideri e ti sforzi di estinguere in te stessa i moti delle passioni, che ti ritardano ed impediscono l’affetto amoroso e l’opera delle virtù.
528. Questi ed altri effetti sono altrettanti indizi che la carità si trova nell’anima con più o meno perfezione. E soprattutto quando è forte e ardente, non lascia inattive le facoltà, né tollera errori nella volontà, perché subito le purifica e perfeziona tutte e non riposa se non quando gusta la dolcezza del sommo Bene che ama; senza di lui viene meno ed è come ferita, inferma e assetata di quel vino che inebria il cuore, provocando la dimenticanza di tutto ciò che è terreno, corruttibile e momentaneo. Inoltre, siccome la carità è la madre e la radice di tutte le altre virtù, subito si sente la sua fecondità in quell’anima in cui essa è permanente e viva, perché la riempie e adorna con gli abiti delle altre virtù, che con ripetuti atti va generando, come spiegò l’Apostolo. Non solamente l’anima che vive nella carità possiede gli effetti di questa virtù, con la quale ama il Signore, ma, stando nella carità, è vicendevolmente amata dal medesimo Dio. Di conseguenza riceve dall’amore divino quel reciproco effetto per cui Dio rimane in colui che ama, cosicché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo pongono in lui il tempio della loro dimora. Questo beneficio è talmente grande ed eccelso che con nessun termine né esempio si può far conoscere nella vita mortale.
529. L’ordine di questa virtù sta nell’amare prima Dio, il quale è sopra la creatura, subito dopo amare se stesso e dopo di sé amare ciò che è più vicino a sé, cioè il proprio prossimo. Dio si deve amare con tutto l’intelletto senza errore, con tutta la volontà senza frode né divisione, con tutta la mente senza dimenticanza, con tutte le forze senza lentezza, tiepidezza o negligenza. Il motivo che la carità ha di amare Dio e tutto il resto a cui si estende, è il medesimo Dio, perché egli, che è sommo bene infinitamente perfetto e santo, deve essere amato per se stesso. Amando Dio per questo motivo, ne segue che la creatura ama se stessa, perché essa ed il suo prossimo non sono suoi tanto quanto sono del Signore dal quale ricevono l’essere, la vita e il movimento. E chi con verità ama Dio perché egli è ciò che è, ama anche tutto quello che è di Dio ed ha qualche partecipazione della sua bontà. Per questo la carità, considerando il prossimo come opera e partecipazione di Dio, non fa differenza tra amico e nemico, perché considera solamente ciò che hanno di Dio e che sono cosa sua. Inoltre questa virtù non fa caso se la creatura che deve amare è un amico piuttosto che un nemico, un benefattore piuttosto che un offensore, ma solamente fa caso se partecipa più o meno della bontà dell’Altissimo e così, col dovuto ordine, ama tutti in Dio e per Dio.
530. Tutto il resto che le creature amano per altri fini e motivi sperandone qualche interesse, comodità o ricambio, lo amano con amore di concupiscenza disordinata o con amore umano e naturale e, quand’anche fosse amore virtuoso e ben ordinato, non apparterrebbe alla carità infusa. Di conseguenza, muovendosi gli uomini ordinariamente in vista di questi beni particolari e con fini interessati e terreni, risulta che sono molto pochi quelli che considerano, abbracciano e conoscono la nobiltà di questa generosa virtù, esercitandola con la dovuta perfezione, poiché cercano ed invocano per i beni temporali o per il beneficio e il gusto spirituale persino lo stesso Dio. Da tutto questo sregolato amore voglio, figlia mia, che allontani il tuo cuore e che viva in, esso solo la carità ben ordinata, alla quale l’Altissimo ha inclinato i tuoi desideri. E se tante volte ripeti che questa virtù è la più bella, la più gentile, e che è degna di essere amata e stimata da tutte le creature, impegnati molto per conoscerla e, avendola conosciuta, compra una così preziosa gemma dimenticando ed estinguendo nel tuo cuore ogni amore che non sia di carità perfettissima. D’ora innanzi, non devi più amare nessuna creatura se non per Dio, per quegli attributi divini che in essa vedi rappresentati e come cosa sua, nel modo in cui la sposa ama tutti i servi e i familiari della casa dello sposo, perché sono suoi. E se, amando qualche creatura, ti dimentichi che devi vedere Dio in essa e così non la ami solo per questo Signore, sappi che tu non la ami con amore di carità, né come da te voglio, né come l’Altissimo ti ha ordinato. Conoscerai se la ami con carità anche dalla differenza che farai tra amico e nemico, gradevole e sgradevole, tra più o meno cortese, tra chi ha e chi non ha grazie naturali. Tutte queste differenze non le fa la carità vera, ma piuttosto l’inclinazione naturale e le passioni degli appetiti, che tu devi governare con questa virtù, estinguendoli ed eliminandoli.
CAPITOLO 9
La virtù della prudenza della santissima Regina del cielo.
531. Come nelle sue attività l’intelletto precede la volontà e la orienta in quelle che le sono proprie, così le virtù specifiche dell’intelletto sono prima di quelle della volontà. Ora, quantunque il compito dell’intelletto sia precisamente solo quello di conoscere la verità e contemplarla, per cui si potrebbe dubitare che le sue facoltà siano vere virtù – consistendo la natura delle virtù nell’indinare ad operare il bene – tuttavia è certo che vi sono delle virtù intellettuali, le cui attività sono lodevoli e buone, purché regolate dalla ragione e dalla verità. Quando l’intelletto mostra e rappresenta tale bene alla volontà, affinché questa lo desideri, e le dà norme di comportamento, allora l’agire dell’intelletto è buono e virtuoso, sia in ordine all’oggetto teologico, come la fede, sia in ordine all’oggetto morale, come la prudenza, che ragionando indirizza e governa le attività degli appetiti. Perciò la virtù della prudenza, appartenendo all’intelletto, è la prima; essa è come la radice delle altre tre virtù morali e cardinali, le attività delle quali sono lodevoli quando sono dirette dalla prudenza, e sono imperfette e riprovevoli quando ne vanno disgiunte.
532. La nostra Regina e signora possedette la virtù della prudenza in grado supremo, proporzionato a quello delle altre virtù finora riferite e delle altre di cui in seguito riferirò. E, proprio per la superiorità che Maria santissima mostrò nell’esercizio di questa virtù, viene chiamata dalla Chiesa col nome di Vergine prudentissima. Ora, siccome questa prima virtù è quella che governa, indirizza e comanda tutte le attività delle altre, trattando in tutto il corso di questa Storia di quelle che Maria santissima praticava; si supplirà al poco che io potrei dire e scrivere di questo pelago di prudenza, dato che in tutte le sue azioni risplenderà la luce di questa virtù, con cui essa le regolava. Quindi, per ora, io non tratterò della prudenza di Maria se non in generale, spiegandone le singole parti e qualità secondo il comune insegnamento dei maestri e dei santi, affinché possa intendersi meglio.
533. Delle tre specie di prudenza, delle quali una viene chiamata prudenza politica, l’altra prudenza purgativa e la terza prudenza dell’animo purgato o purificato e perfetto, non ne mancò alcuna alla nostra Regina. Infatti, sebbene le sue facoltà siano state perfettamente purificate o, per meglio dire, non abbiano avuto niente da purificare dalla colpa né dall’opposizione alla virtù, tuttavia dovevano essere purificate dalla naturale ignoranza, anche per progredire da ciò che era buono e perfetto a ciò che era perfettissimo e santissimo. Questo però si vuole intendere rispetto alle sue stesse opere, comparandole fra loro e non già con quelle delle altre creature, perché, in confronto agli altri santi, non vi fu opera meno perfetta in questa Città di Dio, le cui fondamenta riposavano sui monti santi. Tuttavia, siccome dall’istante della sua concezione andò crescendo in se stessa nella carità e nella grazia, alcune opere, che in sé furono perfettissime e superiori a tutte quelle dei santi, furono meno perfette rispetto ad altre più sublimi, alle quali successivamente si innalzò.
534. La prudenza politica in generale è quella che medita e soppesa tutto ciò che occorre eseguire e, conformandolo alla ragione, niente fa che non sia retto e buono. La prudenza purgativa è quella che disprezza tutto ciò che è visibile e ne astrae il cuore per indirizzarlo alla divina contemplazione e a tutto ciò che è celeste. La prudenza dell’animo purgato è quella che prende di mira il sommo Bene e a lui indirizza tutto l’affetto per unirsi e riposare, come se non vi fosse altra cosa fuori di lui. Tutte queste specie di prudenza si trovavano nell’intelletto di Maria santissima per discernere e conoscere senza inganno e per indirizzarsi e muoversi senza negligenza né indugio a ciò che era più sublime e perfetto. Mai il giudizio di questa sovrana Signora poté suggerire né congetturare in qualsiasi materia cosa alcuna che non fosse quella migliore e più retta. Nessuno come lei giunse, e riuscì effettivamente, a posporre e deviare da sé tutto ciò che è mondano e visibile per indirizzare l’affetto alla contemplazione delle cose divine. E poiché le conosceva in molteplici modi, era talmente unita al sommo Bene increato, che niente valse a trattenerla o ad impedirle di riposarsi in questo centro del suo amore.
535. È’ chiaro che le parti che compongono la prudenza si trovavano con somma perfezione nella nostra Regina. La prima è la memoria, per conservare presenti le cose passate di cui si ha già esperienza. Da ciò poi si deducono molte regole del procedere e operare per il futuro e il presente, perché questa virtù tratta degli atti in particolare e, siccome non può assegnarsi una regola generale per tutti, è necessario dedurne molti dai tanti esempi ed esperienze; per questo si ricerca la memoria. La nostra sovrana Regina la ebbe così tenace che non patì mai il difetto naturale della dimenticanza, perché sempre le restò fisso e presente nella memoria ciò che una volta aveva inteso ed appreso. Anzi, in questo beneficio Maria santissima oltrepassò tutto l’ordine della natura umana ed anche di quella angelica, perché Dio compendiò in lei quanto vi è di più perfetto in entrambe. Della natura umana ebbe l’essenziale e dell’accidentale ebbe solo ciò che era più perfetto, più lontano dalla colpa e necessario per acquistare meriti. Per speciale grazia, ebbe molti doni naturali e soprannaturali della natura angelica in modo ancor più sublime degli angeli stessi. Di questi doni uno fu la memoria fissa e tenace, senza poter dimenticare ciò che apprendeva, tanto che, come sorpassò gli angeli nella prudenza, così li superò in questa parte della prudenza che si dice memoria.
536. Solamente in una cosa l’umile purezza di Maria santissima volle limitato questo beneficio. Infatti, dovendo restarle fisse nella memoria le specie, ossia le immagini, di tutte le cose apprese, e fra queste anche molte bruttezze e peccati delle creature, l’umilissima e purissima Principessa chiese al Signore che il beneficio della memoria non si estendesse a conservare queste immagini se non quanto fosse necessario per l’esercizio della carità fraterna e per praticare le altre virtù. L’Altissimo glielo concesse, più a testimonianza della sua candidissima umiltà che per il pericolo che poteva averne, poiché il sole non è offeso dalle cose immonde che i suoi raggi toccano, né gli angeli sono turbati dalle nostre bruttezze, dato che per quelli che sono mondi ogni cosa è monda. Ma in questo favore il Signore degli angeli volle privilegiare sua Madre più di loro, conservando nella sua memoria soltanto le immagini di tutto ciò che era santo, onesto, mondo, più amabile alla sua purezza e più gradito allo stesso Signore. Perciò anche nella sua memoria, tutta adornata delle immagini di quanto vi è di più puro e di più desiderabile, quell’anima santissima si ritrovava più bella degli angeli.
537. La seconda parte della prudenza si chiama intelligenza. Questa riguarda principalmente ciò che si deve fare al presente e consiste nel comprendere profondamente e senza errore le ragioni e i principi certi delle opere virtuose per eseguirle, deducendo cioè dall’intelligenza il dovere di praticare tali opere; ciò tanto a riguardo dell’onestà della virtù in generale, quanto a riguardo di ciò che si deve fare in particolare. Così, quando io ho una profonda comprensione della verità secondo cui non si deve fare agli altri ciò che non si vuole venga fatto a noi, subito deduco come mi devo comportare nei confronti del mio prossimo. Maria santissima ebbe tale intelligenza in grado tanto più sublime rispetto a tutte le altre creature, quante più verità morali conobbe e quanto più profondamente penetrò la loro infallibile rettitudine, partecipata da quella divina. In quel chiarissimo intelletto, illuminato coi maggiori splendori della divina luce, non vi era inganno, né ignoranza, né dubbio, né opinione come nelle altre creature, perché penetrò e comprese in generale e in particolare, come sono in se stesse, tutte le verità, specialmente nelle materie pratiche delle virtù. Tale era in lei l’incomparabile grado di questa seconda parte della prudenza.
538. La terza parte di questa virtù si chiama provvidenza ed è la principale fra le parti della prudenza, perché la cosa più importante nella direzione delle azioni umane è l’ordinare il presente al futuro, affinché tutto si regoli con rettitudine; questo fa la provvidenza. La nostra Regina e signora ebbe questa parte della prudenza in grado più eccellente – se ciò fosse possibile – di tutte le altre parti, perché, oltre la memoria del passato e la profonda intelligenza del presente, aveva scienza e cognizione infallibile di molte cose future, a cui si estendeva la buona provvidenza. Mediante questa cognizione e luce infusa, preveniva le cose future e disponeva gli avvenimenti a tal punto che niente poté accaderle in modo repentino o imprevisto. Infatti ella conservava tutte le cose previste, pensate e ponderate nel peso del santuario della sua mente illuminata con la luce infusa, aspettando così con certezza chiarissima – non con dubbio o incertezza come gli altri uomini – tutti gli avvenimenti prima che si verificassero, in modo che tutto trovasse il luogo, il tempo e l’occasione opportuna e ogni cosa venisse ben governata.
539. Queste tre parti della prudenza comprendono le sue attività intellettuali distribuite in ordine alle tre parti del tempo, cioè passato, presente e futuro. Ma le attività di questa virtù si possono considerare sotto un altro aspetto, cioè in quanto essa conosce i mezzi per acquistare le altre virtù e in quanto indirizza le attività della volontà. In seguito a questa considerazione, i dottori e i filosofi aggiungono alla prudenza altre cinque parti, che sono la docilità, la ragione, la solerzia, la circospezione e la cautela. La docilità è il buon dettame, ossia la disposizione della creatura a lasciarsi ammaestrare dai più sapienti di lei, senza far da sapiente con se stessa, senza fondarsi sul proprio giudizio e sapere. La ragione, che si chiama anche raziocinio, consiste nel ragionare rettamente, deducendo da ciò che s’intende così in generale le particolari ragioni o consigli per le opere virtuose. La solerzia è la diligente attenzione, o applicazione fissa, a tutto ciò che succede – come la docilità a quelli che ci ammaestrano per esprimere un giudizio retto e trarre regole di bene nelle nostre azioni. La circospezione è il giudizio e la considerazione delle circostanze che l’opera virtuosa deve avere, poiché non basta il buon fine perché questa sia lodevole, se le mancano le circostanze e l’opportunità che è necessaria in esse. La cautela consiste nel discernimento e nell’attenzione con cui si devono avvertire ed evitare i pericoli o gli impedimenti che possono occorrere sotto l’apparenza di virtù o impensatamente, affinché essi non ci trovino incauti ed inavveduti.
540. La Regina del cielo possedette tutte queste parti della prudenza senza difetto alcuno e nella loro perfezione ultima. La docilità fu presente in lei come figlia legittima della sua incomparabile umiltà, poiché, quantunque avesse ricevuto tanta pienezza di scienza dall’istante della sua immacolata concezione e fosse la maestra e la madre della vera sapienza, si lasciò sempre insegnare dai maggiori, dagli uguali e dai minori, giudicandosi la più piccola di tutti e volendo essere discepola di quelli che, paragonati a lei, erano ignorantissimi. Per tutto il tempo della sua vita mostrò questa docilità, come una candidissima colomba, dissimulando la sua sapienza con maggiore prudenza di un serpente. Da bambina si lasciò insegnare da suo padre e da sua madre e nel tempio dalla sua maestra, nonché dalle sue compagne, poi dal suo sposo Giuseppe e dagli Apostoli, volendo imparare da tutte le creature per divenire un esempio portentoso di questa virtù dell’umiltà, come altrove ho riferito.
541. La ragione prudenziale, o raziocinio, di Maria santissima s’inferisce da quello che più volte dice di lei l’evangelista san Luca, cioè che custodiva nel suo cuore e meditava ciò che andava succedendo nelle opere e nei misteri del suo Figlio santissimo. Questo meditare pare opera della ragione, con la quale confrontava alcune cose precedenti con altre che accadevano dopo; le confrontava fra loro per formare nel suo cuore prudentissimi consigli e applicarli a ciò che era conveniente per operare con quella sicurezza e precisione che le era abituale. E sebbene con una semplicissima occhiata o intuizione, che superava tutto il ragionare umano, conoscesse molte cose senza bisogno di ragionare, tuttavia, riguardo alle opere da compiere in esercizio delle virtù, poteva applicare col raziocinio le ragioni generali delle virtù alle sue stesse opere.
542. Anche nella solerzia, o diligente accortezza della prudenza, la sovrana Signora fu molto privilegiata. Ella non portava il grave peso delle passioni e della corruzione, non sentiva languidezza né indugio nelle facoltà, anzi era molto spedita, pronta e facile a rendersi conto e ad attendere a tutto ciò che poteva giovare a formare un retto giudizio e un sano consiglio nell’operare le viirtù in qualunque caso occorresse, discernendo con prontezza e velocità il mezzo della virtù e il modo di praticarla. Nella circospezione Maria santissima fu egualmente ammmirabile, poiché tutte le sue opere furono così compiute che nessuna circostanza buona mancò loro, anzi tutte ebbero le migliori e le più adatte a sollevarle al più alto grado di perfezione. Essendo poi la maggior parte delle sue opere ordinate alla carità verso il prossimo e tutte tanto opportune, nell’insegnare, nel consolare, nell’ammonire, nel pregare e nel correggere, sempre si guadagnava i cuori con l’efficace dolcezza delle sue ragioni e con l’amabilità delle sue maniere.
543. L’ultima parte, cioè la cautela per prevenire gli ostacoli che possono disturbare o distruggere la virtù, doveva trovarsi nella Regina degli angeli con più perfezione che negli angeli stessi. Infatti, l’alta sapienza e l’amore, che a questa corrispondeva, la rendevano così cauta e avveduta che nessun fatto o impedimento la poté trovare impreparata e senza che ella lo avesse deviato per operare con somma perfezione in tutte le virtù. Inoltre, siccome il nemico – come dirò più avanti – tanto si adoperava nel mettere ostacoli, studiati ed esteriori, per il bene, dato che non poteva suscitarli interiormente nelle sue passioni, avvenne che la prudentissima Vergine esercitasse questa parte della cautela in modo da fare molte volte stupire tutti gli angeli. A causa di tale discernimento e cautela di Maria santissima, il demonio concepì un timorosa rabbia ed invidia contro di lei, desiderando conoscere il potere con cui ella gli disfaceva tante macchinazioni ed astuzie che lui fabbricava per ostacolarla e distrarla, restandone sempre deluso, dato che sempre la Signora delle virtù le praticava nel modo più perfetto in qualsiasi materia e occasione. Conosciute le parti delle quali la prudenza si compone, la dividiamo nelle sue varie specie, secondo gli oggetti e i fini ai quali serve. E siccome il governo della prudenza può riguardare se stessi o gli altri, essa si divide a seconda che insegni a governare se stessi o gli altri. Quella che serve a ciascuno per il governo delle proprie e speciali azioni, credo si chiami enarchica; su questa non c’è niente da dire più di quanto sopra si è detto del governo che la Regina del cielo aveva principalmente di se stessa. Quella che insegna il governo di molti si chiama poliarchica; questa si divide in quattro specie, secondo i differenti modi di governare diverse parti di moltitudine. La prima si chiama prudenza regnativa ed è quella che insegna a governare i regni con leggi giuste e necessarie; essa è propria dei re, dei principi, dei monarchi e di quelli presso i quali risiede la potestà suprema. La seconda si chiama politica, intendendo con tale nome quella che insegna il governo delle città e repubbliche. La terza si chiama economica ed è quella che insegna e dispone ciò che riguarda il governo domestico delle famiglie e delle case particolari. La quarta è la prudenza militare ed è quella che insegna a condurre la guerra e gli eserciti.
544. Nessuna di queste specie di prudenza mancò alla nostra gran Regina, perché di tutte le furono infuse le facoltà nell’istante della sua concezione e santificazione, affinché non le mancasse grazia, virtù o perfezione alcuna atta a sublimarla e renderla bella più di tutte le altre creature. L’Altissimo la formò come ricettacolo e deposito di tutti i suoi doni, come modello di tutte le altre creature, e come capolavoro della sua potenza e grandezza, affinché nella celeste Gerusalemme si conoscesse interamente quel che egli poté e volle operare in una semplice creatura. Inoltre non rimasero oziose in Maria santissima le facoltà di queste virtù, perché nel corso della sua vita le esercitò tutte in molte occasioni che le si presentarono. Per ciò che riguarda la prudenza economica, è cosa nota quanto incomparabilmente la possedette nel governo della sua casa col suo sposo Giuseppe e col suo Figlio santissimo, nella cui educazione e nel cui servizio procedette con tutta quella prudenza che richiedeva il più alto e imperscrutabile mistero che Dio abbia affidato alle creature. Di questo dirò a suo luogo ciò che intenderò e potrò.
545. In seguito esercitò la prudenza regnativa o monarchica come Imperatrice unica della Chiesa, ammaestrando, ammonendo e governando gli Apostoli nella Chiesa primitiva per fondarla e stabilire in essa le leggi, i riti e le cerimonie più necessarie e utili alla sua propagazione e al suo consolidamento. E sebbene ella obbedisse loro e li interrogasse nelle cose particolari, specialmente san Pietro come vicario di Cristo e capo della Chiesa e san Giovanni come suo cappellano, tuttavia essi e gli altri parimenti la consultavano e le obbedivano nelle cose generali e in altre relative al governo della Chiesa. Insegnò anche ai re e ai principi cristiani che le chiesero consiglio; molti, infatti, dopo l’ascensione del suo Figlio santissimo al cielo, la cercarono per conoscerla. In particolare, la consultarono i tre re Magi, quando adorarono il Bambino, ed ella rispose ed insegnò loro tutto quello che dovevano fare nel governo dei loro stati, con tanta luce ed esattezza che fu loro stella e guida nel cammino dell’eternità. Essi fecero ritorno alle loro patrie illuminati, consolati ed ammirati della sapienza, prudenza e dolcissima efficacia delle parole che avevano ascoltato da una giovane così delicata. A prova di quanto si potrebbe aggiungere riguardo a ciò, basta ascoltare la stessa Regina che dice: «Per mezzo mio regnano i re e i magistrati emettono giusti decreti; per mezzo mio i capi comandano e i grandi governano con giustizia».
546. Non le mancò neanche l’uso della prudenza politica, perché insegnò alle repubbliche, ai popoli e ai primi fedeli in particolare, come dovevano procedere nelle loro pubbliche azioni e nel loro governo, come dovevano ubbidire ai re, ai principi temporali e in particolare al vicario di Cristo capo della Chiesa e ai suoi prelati e vescovi. Insegnò pure come dovevano disporre i concili, le definizioni e i decreti che in essi si facevano. Anche la prudenza militare ebbe il suo posto nella sovrana Regina, perché anche su ciò fu consultata da alcuni fedeli, ai quali consigliò ed insegnò come si dovevano comportare nelle guerre giuste con i loro nemici per operare con maggior giustizia e col beneplacito del Signore. Qui potrebbe addursi il coraggioso animo e la prudenza con cui questa potente Signora vinse il principe delle tenebre, insegnando a combattere con lui con maggior sapienza e prudenza di quanta ne usarono Davide col gigante, Giuditta con Oloferne ed Ester con Aman. E quando per tutte queste azioni riferite non fossero servite queste specie e queste facoltà della prudenza nella Madre della sapienza, tuttavia conveniva che le avesse tutte, non solo per ornamento della sua anima santissima, ma principalmente per essere mediatrice ed avvocata unica del mondo. Infatti, dovendo chiedere tutti i benefici che Dio avrebbe concesso ai mortali senza essercene alcuno che non ci provenisse per sua mano ed intercessione, conveniva che ella conoscesse perfettamente le virtù che domandava per i mortali e che tali virtù derivassero da questa Signora, come dall’origine e dalla sorgente più vicina allo stesso Dio e Signore, in cui sono presenti come nel principio increato.
547. Alla prudenza si attribuiscono altri mezzi, che sono come strumenti suoi, con cui essa opera, e che si chiamano parti potenziali. Queste sono la sinesi, virtù che rende capaci di giudicare rettamente; l’ebulia, virtù che indirizza e forma il buon consiglio; la gnome, virtù che in certi casi particolari insegna ad uscire dalle regole comuni. Questa è necessaria per l’epicheya, che giudica alcuni casi mediante regole superiori alle leggi ordinarie. Di tutte queste perfezioni si avvalse la prudenza di Maria santissima, perché nessuna come lei seppe formulare un sano consiglio per tutti nei casi contingenti, né alcuno, fosse anche l’angelo supremo, poté esprimere un giudizio così retto in tutte le materie. Ma soprattutto la nostra prudentissima Regina conobbe le ragioni superiori e le regole di operare con tanta sicurezza nei casi in cui non potevano servire le regole ordinarie e comuni. Casi che darebbero luogo ad un lungo discorso se li volessi qui riferire; tuttavia se ne comprenderanno molti nel procedere della sua vita santissima. Per concludere tutto questo discorso sulla sua prudenza, basta dire che la regola con cui si vuole misurare è la prudenza dell’anima santissima di Cristo nostro Signore, al quale ella si conformò e si assimilò in tutto come colei che era stata formata per essere coadiutrice, simile a lui nelle opere della più grande prudenza e sapienza che il Signore di ogni cosa creata e redentore del mondo operò.
Insegnamento della Regina del cielo
548. Figlia mia, voglio che tu custodisca come mio insegnamento e ammonimento per il governo di tutte le tue azioni tutto ciò che in questo capitolo hai scritto e ciò che hai compreso. Scrivi nella tua mente e conserva fissa nella memoria la cognizione che ti hanno dato della mia prudenza in tutto ciò che io pensavo, volevo e facevo. Questa luce ti guiderà in mezzo alle tenebre dell’umana ignoranza, affinché non ti confonda e non ti turbi il fascino delle passioni e molto più quello che con somma malizia e sollecitudine i tuoi nemici cercano d’introdurre nel tuo intelletto. Sappi che il non conseguire tutte le regole della prudenza non è colpevole nella creatura, ma l’essere negligente nell’acquistarle per essere preparata in tutto a dovere, è grave colpa e causa di molti inganni ed errori nelle sue opere. A seguito di questa trascuratezza, le passioni – particolarmente la smodata tristezza e il piacere, che pervertono il giudizio retto nella prudente considerazione del bene e del male – si prendono molta libertà, distruggono ed impediscono la prudenza. Da qui hanno origine due vizi pericolosi, che sono la precipitazione nell’operare senza aver riguardo ai mezzi adeguati e l’incostanza nei buoni propositi e nelle opere incominciate. L’ira sregolata e lo zelo esagerato sono entrambi vizi che precipitano e trasportano in molte azioni esteriori, che si fanno senza misura e senza consiglio. La facilità nel giudicare e il non avere fermezza nel bene sono la causa per cui l’anima imprudentemente si ritira da ciò che ha cominciato, perché accetta ciò che all’opposto le si presenta e con leggerezza si compiace tanto del bene vero quanto di quello apparente e falso, che le passioni domandano e che il demonio le rappresenta.
549. Contro tutti questi pericoli ti voglio accorta e prudente; tale sarai se fai bene attenzione all’esempio delle mie opere e conservi gli insegnamenti e i consigli dell’ubbidienza dei tuoi padri spirituali, senza la quale niente devi fare per procedere con consiglio e docilità. E considera attentamente che per mezzo di tale obbedienza l’Altissimo ti comunicherà copiosa sapienza, perché il cuore benigno, sottomesso e docile lo obbliga grandemente. Ricordati sempre della sventura di quelle vergini imprudenti e stolte, le quali per la loro inavveduta negligenza non si curarono di essere sollecite e di seguire il sano consiglio quando era tempo, e dopo, quando cercarono di rimediarvi, trovarono chiusa la porta. Procura, figlia mia, di unire la prudenza di serpente con la sincerità di colomba e le tue opere saranno perfette.
CAPITOLO 10
La virtù della giustizia che ebbe Maria santissima.
550. La grande virtù della giustizia è quella che più serve alla carità verso Dio e il prossimo e per questo è la più necessaria per le relazioni umane, perché è una facoltà che inclina la volontà a dare a ciascuno quello che gli spetta e ha per materia ed oggetto l’uguaglianza, parità o diritto, che si deve osservare col prossimo e con Dio stesso. Ma poiché sono tante le cose nelle quali l’uomo può rispettare questa uguaglianza o violarla col prossimo, e questo in tanti modi diversi, la materia della giustizia è molto estesa e diffusa e molte sono le specie di questa virtù. In quanto si ordina al bene pubblico e comune, si chiama giustizia legale e, poiché essa può avviare tutte le altre virtù a tal fine, si chiama virtù generale, benché non partecipi della natura delle altre. Ma quando la materia della giustizia è cosa determinata e riguarda solo persone particolari, tra le quali si mantiene intatto a ciascuna il suo diritto, allora si chiama giustizia particolare e speciale.
551. L’Imperatrice del mondo osservò tutta questa virtù, con le sue parti e i generi o specie che contiene, verso tutte le creature in modo senza confronto più perfetto di qualunque altra di esse. Infatti, ella sola conobbe con maggiore altezza e comprese perfettamente ciò che a ciascuna era dovuto. E, sebbene questa virtù della giustizia non riguardi immediatamente le passioni naturali, come nel caso della fortezza e della temperanza, tuttavia molte volte succede che, per il fatto che le stesse passioni non sono moderate e corrette, si perde la giustizia col prossimo, come vediamo in quelli che per sregolata avidità o per piacere sensibile fanno torto agli altri. Ora, siccome in Maria santissima non vi erano passioni disordinate né ignoranza per cui non conoscesse nelle cose il giusto mezzo in cui consiste la giustizia, ella adempiva con tutti questa virtù, operando secondo diritto e giustizia con ciascuno ed insegnando a tutti a fare altrettanto, quando meritavano di ascoltare le sue parole e il suo insegnamento di vita. Quanto poi alla giustizia legale, non solo la osservò soddisfacendo alle leggi comuni, come nella purificazione ed in altri precetti della legge, benché ne fosse esente come regina e senza colpa; ma per di più nessuno, eccetto il suo Figlio santissimo, attese, come questa Madre di misericordia, al bene pubblico e comune dei mortali, indirizzando a questo fine tutte le virtù e le opere con le quali poté meritare loro la divina misericordia e giovare al suo prossimo con altri benefici.
552. Le due specie di giustizia, distributiva e commutativa, rifulsero parimenti in Maria santissima in grado eroico. La giustizia distributiva governa gli atti, con i qua-li si distribuiscono le cose comuni alle persone particolari. Sua Altezza dimostrò questa equità in molte cose che per sua volontà e disposizione si fecero tra i fedeli della Chiesa primitiva, come la divisione dei beni comuni per il sostentamento ed altre necessità delle persone particolari. E anche se di sua mano non elargì mai denaro, perché mai ne maneggiò, tuttavia alle volte si distribuiva per suo ordine ed altre per suo consiglio. In queste cose e in altre simili dimostrò sempre somma equità e giustizia, secondo la necessità e la condizione di ciascuno. Lo stesso faceva nell’assegnazione degli uffici e delle dignità o ministeri che venivano ripartiti tra i discepoli e i primi figli del Vangelo nelle riunioni che si tenevano a tale scopo. Questa sapientissima Maestra ordinava e disponeva tutto con perfetta equità, perché tutto faceva con speciale orazione ed illuminazione divina, oltre che con la scienza e la cognizione ordinaria che aveva di tutti i soggetti. Quindi, per siffatte azioni, gli Apostoli ricorrevano a lei e con lei si consigliavano altre persone preposte al governo. Di conseguenza, tutto ciò che veniva amministrato col suo consiglio era fatto e disposto con perfetta giustizia e senza preferenze di persone.
553. La giustizia commutativa insegna la reciproca uguaglianza tra il dare e il ricevere, come dare due per due o assegnare il giusto prezzo a una cosa, secondo il suo valore. La Regina del cielo esercitò questa specie di giustizia meno delle altre virtù, perché non comprava né vendeva cosa alcuna per se stessa: se era necessario comprarne o scambiarne qualcuna, lo faceva il santo patriarca Giuseppe quando era vivo e, dopo, il santo evangelista Giovanni o un altro degli Apostoli. Questo perché il Maestro della santità, venuto a distruggere e a sradicare l’avarizia, radice di tutti i mali, volle allontanare da se stesso e dalla sua Madre santissima le azioni con cui di solito si accende e si alimenta questo fuoco dell’avidità umana. Per tale ragione la sua Provvidenza divina ordinò che né per sua mano né per quella della sua purissima Madre si esercitassero le azioni di compravendita proprie del commercio umano, fosse anche per cose necessarie a conservare la vita naturale. Perciò la grande Regina non tralasciava d’insegnare tutto ciò che era appartenente a questa virtù della giustizia commutativa, affinché la esercitassero con perfezione quelli che nell’apostolato e nella Chiesa primitiva era necessario che ne usassero.
554. Appartengono a questa virtù altre azioni che si esercitano col prossimo, come il giudicare gli uni e gli altri con giudizio pubblico e civile o con giudizio particolare e privato. Del vizio contrario parlò il Signore attraverso san Matteo quando disse: «Non giudicate, per non essere giudicati». In queste azioni di giudizio si dà a ciascuno ciò che gli si deve, secondo la stima di colui che giudica. Per questo sono azioni giuste se si conformano alla ragione e, se si allontanano da essa, sono ingiuste. La nostra augusta Regina non esercitò il giudizio pubblico e civile, benché avesse una tale autorità da essere giudice di tutto l’universo, ma con i suoi rettissimi consigli, nel tempo della sua vita e dopo con la sua intercessione e i suoi meriti, adempì ciò che sta scritto nei Proverbi: Io cammino sulla via della giustizia e per mezzo mio i grandi governano con giustizia.
555. Quanto ai giudizi particolari mai poté trovarsi ingiustizia nel cuore purissimo di Maria, perché mai poté essere avventata nei sospetti, né temeraria nei giudizi; mai ebbe dubbi, né, qualora li avesse avuti, avrebbe considerato ingiustamente l’interpretazione peggiore. Questi vizi ingiustissimi sono propri e naturali tra i figli di Adamo, nei quali dominano le passioni disordinate di odio, invidia ed emulazione nella malizia, nonché altri vizi che li signoreggiano come vili schiavi. Da queste radici così infette nascono le ingiustizie del sospetto maligno sulla base di indizi di poco conto, di giudizi temerari e dell’interpretazione peggiore di ciò che è dubbio, perché ciascuno presume facilmente che il suo fratello abbia quel difetto che ha egli stesso. E se per odio o invidia si rammarica del bene del suo prossimo e si rallegra del suo male, facilmente e indebitamente crede di lui ciò che non dovrebbe perché glielo augura, e il giudizio segue la sua inclinazione. Da tutti questi mali del peccato fu libera la nostra Regina, come colei che non aveva nulla a che fare con esso. Ciò che nel suo cuore entrava e usciva era tutto carità, purezza, santità e amore perfetto e in lei risiedeva la grazia di tutta la verità e il cammino della vita. Per la pienezza della sua scienza e santità, di niente dubitava né sospettava, perché conosceva e guardava nella luce della verità e con misericordia il cuore di tutti, senza sospettare male di alcuno, senza attribuire colpa a chi non l’avesse, anzi riparando quelle di molti e dando a tutti e a ciascuno con diritto e giustizia ciò che spettava loro. Insomma, sempre era disposta con cuore benigno a riempire tutti gli uomini delle grazie e della dolcezza della virtù.
556. Nei due generi di giustizia commutativa e distributiva si racchiudono molte specie e differenze di virtù, che non mi soffermo a riferire, poiché tutte quelle che convenivano a Maria santissima erano presenti nelle sue facoltà e nei suoi atti supremi ed eccellentissimi. Vi sono tuttavia altre virtù che si riducono alla giustizia perché si esercitano con altri e partecipano alquanto delle qualità della giustizia, benché non in tutto, o perché non possiamo pagare adeguatamente tutto quello che dobbiamo o perché, se possiamo pagarlo, né il debito né l’obbligazione sono così rigidi come vorrebbe il rigore della perfetta giustizia commutativa o distributiva. Di queste virtù – infatti sono molte e varie – non dirò tutto ciò che contengono; ma, per non tacerne del tutto, dirò qualcosa molto brevemente, affinché s’intenda come la nostra eccelsa Principessa le possedesse tutte.
557. È debito di giustizia rendere culto e riverenza a coloro che ci sono superiori, e, secondo il grado della loro eccellenza e dignità, nonché i beni che da essi riceviamo, sarà più o meno grande la nostra obbligazione e il culto che dobbiamo loro, sebbene nessuna nconoscenza giunga ad uguagliare il beneficio ricevuto o la dignità di chi lo concesse. A tale scopo giovano tre virtù, secondo i tre gradi di superiorità che riconosciamo in coloro ai quali dobbiamo riverenza. La prima è la virtù della religione. Con questa diamo a Dio il culto e la riverenza a lui dovuti, quantunque la sua grandezza ne meriti infinitamente di più e i suoi doni non si possano ricambiare con gratitudine né con lodi proporzionate. Questa virtù è nobilissima fra tutte le altre virtù morali, sia per il suo oggetto, che è il culto di Dio, sia per la sua materia, che è tanto estesa, essendo tanti i modi e tante le materie in cui Dio può essere immediatamente onorato e riverito. Sono compresi in questa virtù della religione gli atti interiori dell’orazione, della contemplazione e della devozione con tutte le loro parti e qualità, nonché le cause, gli effetti, gli oggetti e il fine loro. Quanto agli atti esteriori vi è compresa l’adorazione di latria, che è la suprema e dovuta solo a Dio, con le sue specie o parti ad essa connesse, quali il sacrificio, le oblazioni, le decime, i voti, i giuramenti e le lodi esterne e vocali, poiché con tutti questi atti, se si fanno nel debito modo, Dio viene onorato e riverito dalle creature, come al contrario, con i vizi opposti, viene grandemente offeso.
558. In secondo luogo segue la pietà, che è una virtù con cui onoriamo i genitori, ai quali dopo Dio dobbiamo l’esistenza e l’educazione, e riveriamo altresì quelli che contribuiscono a questa causa, come i parenti e la patria, che ci tutela e governa. Questa virtù della pietà è così grande che, quando essa obbliga, si deve anteporre agli atti volontari della virtù della religione: così insegna Cristo Signore nostro in san Matteo, dove è scritto che egli riprese i farisei perché, sotto pretesto del culto di Dio, insegnavano a negare la pietà ai genitori. In terzo luogo viene l’osservanza, virtù con cui tributiamo onore e riverenza a coloro che sono rivestiti di qualche dignità o qualità superiore, differente da quella dei genitori o della patria. In questa virtù i teologi comprendono la dulia e l’obbedienza quali sue specie. La dulia è quella con cui veneriamo coloro che partecipano dell’eccellenza o del dominio del Signore supremo, che è Dio, al quale solo è dovuto il culto di latria. Quindi, con la dulia noi onoriamo i santi ed anche le dignità superiori di cui ci riconosciamo servi. L’obbedienza, poi, è quella con cui uniformiamo la nostra volontà a quella dei superiori, intendendo adempiere la loro e non la nostra. E siccome la libertà propria è tanto preziosa, fra tutte le virtù morali questa virtù è d’una speciale eccellenza e grandemente ammirabile. Di fatto, per mezzo di essa, noi lasciamo per amore di Dio assai più che con qualsiasi altra virtù.
559. Queste virtù della religione, della pietà e dell’osservanza furono presenti in Maria santissima con tale pienezza e perfezione, che nulla mancò loro di quanto si potesse trovare in una semplice creatura. Quale intelletto potrà giungere a comprendere l’onore, la venerazione e il culto, con cui questa Signora serviva il suo Figlio dilettissimo, nconoscendolo e adorandolo come vero Dio e uomo, creatore, redentore, glorificatore, sommo, infinito, immenso nell’essere, nella bontà e in tutti i suoi attributi? Fu lei che a questo riguardo conobbe più di ciascuna e di tutte insieme le altre semplici creature, per cui, in ragione di tale cognizione, diede a Dio la dovuta riverenza, servendo, in ciò, d’insegnamento agli stessi serafini. In questa virtù fu talmente maestra che il solo vederla risvegliava, muoveva e provocava tutti, con una forza misteriosa, a riverire il supremo Signore e autore del cielo e della terra; né aveva bisogno di altra sollecitudine per incitare ognuno, come di fatto faceva, a lodare Dio. La sua orazione, la sua contemplazione e devozione, l’efficacia che ebbero e che sempre hanno le sue preghiere, sono cose la cui conoscenza fa stupire gli angeli e i beati comprensori medesimi, senza che riescano a spiegarlo. Tutte le creature intellettuali sono debitrici a lei non solo di aver compensato ciò che esse hanno commesso in fatto di offesa, ma di avere altresì supplito a ciò che esse non hanno potuto ottenere, né operare, né meritare. Questa Signora affrettò il rimedio del mondo, né il Verbo sarebbe uscito dal seno del suo eterno Padre se ella non fosse stata nel mondo. Fin dal primo istante nel contemplare, pregare, chiedere e tenersi devotamente pronta a qualunque cosa per l’ossequio divino, ella superò i serafini. Offrì un sacrificio quale si conveniva, decime ed oblazioni, ma tutto talmente gradito a Dio, che nessun altro offerente gli fu più accetto di lei, eccetto il suo Figlio santissimo. Nelle sue divine lodi, negli inni, nei cantici e nelle orazioni vocali che fece, superò tutti i Patriarchi e i Profeti, e, se fossero rimaste scritte nella Chiesa militante, come si conosceranno in quella trionfante, formerebbero l’ammirazione del mondo.
560. Non altrimenti, possedette le virtù della pietà e dell’osservanza, conoscendo ella più di ogni altro quanto si deve ai propri genitori e quanto eroica fosse la santità dei suoi. Lo stesso fece coi suoi consanguinei, favorendoli di grazie specialissime, come avvenne al Battista, a santa Elisabetta sua madre e agli altri del collegio apostolico. Avrebbe reso felicissima la sua patria, se l’ingratitudine e la durezza dei Giudei avesse meritato ciò; tuttavia le fece benefici assai grandi e favori spirituali e visibili, per quanto permise la divina equità. Fu ammirabile nella riverenza verso i sacerdoti, essendo la sola che seppe e poté dare il dovuto valore alla dignità degli unti del Signore. Questo insegnò a tutti, come anche a riverire dopo di loro i Patriarchi, i Profeti e gli altri santi, e infine i signori temporali e supremi nella potestà. Ella non omise nessun atto di siffatte virtù, ma in diversi tempi e in diverse occasioni li esercitò tutti e li insegnò agli altri, specialmente ai fedeli della Chiesa primitiva. In essa, ubbidendo non solo al suo Figlio santissimo e al suo sposo quando erano presenti, ma anche ai ministri della Chiesa stessa, fu per il mondo un esempio di rara obbedienza, mentre per speciali ragioni avrebbero dovuto piuttosto ubbidire a lei tutte le creature, essendo rimasta sulla terra come Signora e regina al fine di governarle.
561. Rimangono altre virtù che ugualmente si riducono alla giustizia, perché per mezzo di esse diamo agli altri ciò che dobbiamo loro per un certo debito morale, che è un titolo consono ed onesto. Queste sono la gratitudine, che si chiama anche grazia, la verità ossia veracità, la vendetta intesa come punizione della giustizia, la liberalità, l’amicizia o affabilità. Con la gratitudine veniamo a porre qualche eguaglianza tra noi e quelli dai quali riceviamo qualche beneficio, rendendone loro grazie secondo la qualità del beneficio e l’affetto con cui ce lo fecero – affetto che è la parte principale di tale beneficio – ed anche secondo lo stato e la qualità del benefattore, perché a tutto questo si deve proporzionare la gratitudine, e ciò si può fare con diverse azioni. La veracità ci inclina a dire la verità con tutti, come è giusto che si faccia nella vita umana e nelle necessarie relazioni umane, escludendo ogni menzogna, che in nessun caso è lecita, ogni ingannevole simulazione, ipocrisia, iattanza ed ironia. Tutti questi vizi si oppongono alla verità. E se si può, ed anzi è conveniente, declinare nel meno quando parliamo della nostra eccellenza o virtù, per non renderci molesti con eccesso di iattanza, non è però giusto il fingere meno con menzogna, imputandoci un vizio che non abbiamo. La vendetta, nel senso che si è detto, è una virtù che insegna a compensare o soddisfare con qualche pena il danno proprio, o quello del prossimo, ricevuto da un terzo. Questa virtù è difficile a praticarsi come si deve dai mortali, che di solito si lasciano trascinare da ira smodata e da odio contro i fratelli, mancando così alla carità e alla giustizia. Tuttavia, quando non si mira al danno altrui ma solo al bene privato o pubblico, questa virtù non è piccola. Ad essa infatti ricorse Cristo nostro Signore quando scacciò dal tempio quelli che lo profanavano. Così pure Elia ed Eliseo chiamarono il fuoco dal cielo per castigare certi peccati, e nei Proverbi si dice: Chi risparmia il bastone odia suo figlio. La liberalità serve per distribuire, secondo ragione, il denaro o cose affini, senza cedere ai vizi dell’avarizia e della prodigalità. L’amicizia o affabilità consiste nel modo di conversare e trattare con tutti adeguatamente e convenientemente, senza adulazione né litigi, che sono vizi contrari a questa virtù.
562. Nessuna di tali cose – né alcun’altra, se ve ne sia che si possa attribuire alla giustizia – mancò alla Regina del cielo. Tutte le possedette e tutte le esercitò con atti perfettissimi, secondo le occasioni. Inoltre, come maestra e signora di ogni santità, a molte anime insegnò e diede luce perché vi si esercitassero e le praticassero con perfezione. Con gli atti di religione e di culto, di cui abbiamo già detto, esercitò la virtù della gratitudine verso Dio, perché questo è il più eccellente modo di mostrarsi grati. E come la dignità di Maria purissima e la sua santità proporzionata a tale dignità si elevarono al di sopra di ogni intelligenza creata, così questa eccelsa Signora si mostrò riconoscente proporzionatamente al beneficio, per quanto possibile ad una semplice creatura; lo stesso fece riguardo alla pietà verso i genitori e la patria, come sopra si è detto. Verso gli altri l’umilissima Imperatrice si mostrava riconoscente per qualunque beneficio, come se niente le fosse dovuto, e, sebbene le si dovesse tutto per giustizia, tutto gradiva con somma grazia e favore. Per di più, ella sola seppe spingersi sino al punto di rendere grazie per gli aggravi e le offese che riceveva, quasi fossero grandi benefici, dato che la sua incomparabile umiltà non riconosceva mai ingiurie, anzi per esse si considerava obbligata, né mai cessava di manifestare gratitudine, dimostrandosi sempre memore dei benefici.
563. Quanto alla verità con cui Maria signora nostra trattava, non si potrebbe dire abbastanza, perché, essendo ella tanto superiore al demonio, padre della menzogna e dell’inganno, certamente non poté trovarsi in lei un così abominevole vizio. La regola con cui si vuole misurare questa virtù della veracità è la sua carità e trasparenza, virtù che escludono ogni maniera di doppiezza e di fallacia nel trattare con le creature. Ma come si sarebbe mai potuto trovare colpa o inganno nella bocca di quella Signora, che con una parola di vera umiltà attirò nel suo seno colui che è la verità e la santità per essenza? Maria santissima si esercitò con molti atti perfettissimi anche nella virtù che si chiama vendetta, non solo insegnandola da maestra nella Chiesa primitiva ogniqualvolta fu necessario, ma zelando da sé l’onore dell’Altissimo. Infatti cercò di ricondurre sulla via della salvezza per mezzo della correzione molti peccatori, come fece più volte con Giuda; altre volte, invece, comandava alle creature, tutte a lei ubbidienti, che castigassero certi peccati per il bene di coloro che, commettendoli, si meritavano l’eterno castigo. E quantunque in queste opere fosse dolcissima e soavissima, tuttavia non tralasciava per questo di castigare, quando ciò era mezzo efficace per purificare dal peccato. Peraltro fu contro il demonio che esercitò maggiormente la vendetta, e ciò per liberare dalla sua schiavitù il genere umano.
564. Atti eccellentissimi esercitò ugualmente in rapporto alle virtù della liberalità e dell’affabilità. La sua liberalità nel dare era quale si conveniva alla suprema Imperatrice di tutto il creato, nonché a colei che sapeva stimare degnamente ogni cosa visibile e invisibile. Di quelle cose che si possono distribuire per atto di liberalità, mai ella ne tenne alcuna come sua propria piuttosto che del suo prossimo, né mai la negò ad alcuno, né aspettò che gliela chiedessero quando poteva darla prima. Le necessità e le miserie dei poveri a cui rimediò, i favori che fece loro, le misericordie che sparse, anche in cose temporali, sono tante e tali che per raccontarle occorrerebbe un immenso volume. Inoltre, la sua graziosa affabilità con tutti fu così ammirabile e rara che, se non l’avesse regolata con grande prudenza, tutti sarebbero corsi dietro a lei allettati dal suo tratto dolcissimo. E davvero quella sua mansuetudine e soavità, temperate da una certa severità e sapienza che avevano del divino, lasciavano trasparire, trattando con lei, un non so che di più che umana creatura. L’Altissimo però dispose questa grazia in modo che, sebbene alcune volte a quelli con cui ella trattava trasparissero indizi del mistero del Re, che in se stessa racchiudeva, tuttavia subito vi stendeva sopra come un velo e lo celava, per lasciare spazio ai patimenti, impedendo il plauso degli uomini. Tale plauso, d’altronde, sarebbe sempre stato meno del dovuto, non giungendo i mortali a conoscere quanto meritasse, o piuttosto, essendovi il pericolo che non sapessero venerare come una semplice creatura colei che era Madre del Creatore senza eccedere o scarseggiare, finché non fosse giunto il tempo in cui la luce della fede avrebbe illuminato le menti dei figli della Chiesa.
565. Per un uso più adeguato e perfetto di questa grande virtù della giustizia, i dottori le annettono un’altra parte o strumento, che chiamano epicheja. Con questa si regolano alcune opere che escono dalle norme e leggi comuni, poiché queste non prevengono tutti i casi che possono occorrere, né tutte le loro circostanze, per cui in certe occasioni è necessario operare con ragione superiore e straordinaria. La celeste Regina fu esperta ed usò di tale virtù in molti eventi della sua vita, sia prima che dopo l’ascensione del suo Unigenito al cielo, ma in modo ancor più speciale dopo, per stabilire le cose della Chiesa primitiva, come dirò a suo tempo, se piacerà all’Altissimo.
Insegnamento della Regina del cielo
566. Figlia mia, sebbene di questa estesa virtù della giustizia tu abbia conosciuto molto, tuttavia ne ignori ancora la maggior parte; tanta è la stima che merita! La carne mortale di cui sei rivestita ne ritarda la comprensione e non puoi esprimere a parole tutto quello che arrivi ad intendere. In ciò che ne hai appreso troverai comunque una norma più che sufficiente del modo con cui devi comportarti con le creature e dedicarti al culto dell’Altissimo. A tale riguardo ti avverto, o carissima, che la maestà suprema dell’Onnipotente s’indigna giustamente per l’offesa che le fanno i mortali dimenticandosi della venerazione, adorazione e riverenza a lui dovute. Inoltre è talmente grossolana, distratta e scortese quella che talora gli rendono, che merita castigo piuttosto che premio. Verso i principi e i magnati del mondo sanno benissimo mostrare profonda riverenza e quasi adorazione; sanno chiedere loro aiuto e sollecitare favori con tutti i mezzi e le attenzioni più squisite; sanno ringraziarli abbondantemente quando ottengono quel che desiderano e, anzi, dichiarano di voler essere loro grati tutta la vita. Ma quando si tratta del supremo Signore che dà loro l’essere, la vita e il movimento, che li conserva e nutre, che li redense e li sollevò alla dignità di figli volendo dare loro la sua stessa gloria che è un bene infinito e sommo, allora si dimenticano di questa Maestà che non vedono con gli occhi del corpo, come se dalla sua mano non venissero loro tutti i beni, si contentano di serbare di lui una tiepida memoria e di rivolgergli un qualche frettoloso ringraziamento, quasi che ciò fosse una gran cosa! Taccio poi l’enorme offesa che fanno al giustissimo reggitore dell’universo coloro che iniquamente rompono e pervertono tutto l’ordine della giustizia col loro prossimo, soffocando la ragione naturale e pretendendo di fare ai loro fratelli quello che non vorrebbero fosse fatto a loro stessi.
567. Aborrisci, figlia mia, vizi tanto esecrabili e, per quanto puoi con le tue forze, indirizza le tue opere in modo che suppliscano al servizio che altri negano all’Altissimo con questa loro cattiva corrispondenza ai suoi benefici. Tanto più, essendo tu consacrata, nel tuo stato, al culto divino, devi far di ciò la tua principale occupazione con grande affetto, rendendoti così in tutto simile agli spiriti angelici, che con venerazione si occupano incessantemente del suo culto. Porta poi rispetto a tutte le cose divine e consacrate, perfino agli ornamenti e ai vasi che servono al sacro ministero. Durante l’ufficio divino, l’orazione e il santo sacrificio, procura di stare sempre in ginocchio; domanda con fede e ricevi con umile riconoscenza, e questa devi mostrare verso tutte le creature, anche quando ti offendessero. Con tutti dimostrati pietosa, affabile, mite, sincera e veritiera, senza finzione né doppiezza, senza detrazione né mormorazione, senza giudicare alla leggera il tuo prossimo. E per adempiere bene quest’obbligo di giustizia, tieni sempre fisso nella memoria e nel cuore il proposito di fare al tuo prossimo ciò che vuoi si faccia a te, e molto più fa’ in modo di rammentarti quanto il mio Figlio santissimo ed io abbiamo fatto per tutti gli uomini.
CAPITOLO 11
La virtù della fortezza che ebbe Maria santissima
568. La virtù della fortezza si pone al terzo posto fra le quattro cardinali e serve per moderare l’irascibilità. La bramosia, la cui corrispettiva virtù è la temperanza, precede l’irascibilità, perché la tensione verso l’oggetto bramato oppone resistenza all’impeto collerico, che preclude il raggiungimento di ciò che si brama. Pertanto tratterò prima dell’irascibilità e della sua virtù corrispondente, la fortezza, perché questa elimina gli ostacoli che si frappongono al conseguimento dell’oggetto bramato. Perciò la fortezza è virtù più nobile della temperanza, della quale dirò nel capitolo seguente.
569. Il dominio che la virtù della fortezza esercita sull’irascibilità si riduce a due specie di attività. Queste sono: usare dell’ira secondo ragione e con le dovute circostanze che la rendano lodevole e apprezzabile, ossia rinunciare ad adirarsi reprimendo la passione, quando è più opportuno, dato che tanto il trattenerla quanto il darle libero sfogo può essere lodevole o no, a seconda del fine e di altre circostanze contingenti. La prima di queste attività o specie si chiama fortezza, benché alcuni dottori la chiamino intrepidezza. La seconda poi si chiama pazienza, che è la parte più nobile e più alta della fortezza, ed è quella che principalmente ebbero ed hanno i santi, sebbene le persone mondane, falsando il giudizio e i nomi, siano solite chiamare la pazienza pusillanimità e fortezza la presunzione, l’impazienza e la temerità, perché non conoscono gli atti veri di questa virtù.
570. Maria santissima non ebbe moti sregolati, dettati dall’irascibilità, che dovesse reprimere con la virtù della fortezza, perché nell’innocentissima Regina tutte le passioni erano ordinate e subordinate alla ragione e questa a Dio, che la guidava in tutte le azioni e i movimenti. Questa virtù le fu però necessaria per opporsi agli impedimenti che il demonio in diversi modi le metteva affinché non conseguisse tutto ciò che prudentemente ed ordinatamente desiderava per sé e per il suo Figlio santissimo. In questa valorosa resistenza e battaglia, nessuna fu più forte di lei fra tutte le creature, né tutte insieme poterono giungere alla fortezza di Maria nostra regina, dato che non ebbero tante lotte col comune nemico. Quando era necessario usare di questa fortezza o intrepidezza con le creature umane, ella era tanto dolce quanto forte, o – per meglio dire – era tanto forte quanto soavissima nell’agire, perché tra tutte le creature solo questa divina Signora seppe rappresentare nelle sue opere quell’attributo dell’Altissimo che, nel suo operare, unisce la soavità con la fortezza. Questo fu per la nostra Regina il modo di praticare la fortezza, senza conoscere nel suo generoso animo alcun timore disordinato, perché era superiore ad ogni cosa creata. Né tantomeno fu impavida e audace senza moderazione, non potendo cedere a questi estremi contrari alla virtù, perché con somma sapienza conosceva i timori che si dovevano vincere e l’ardire che si doveva fuggire; così, come unica donna forte, era vestita ad un tempo di fortezza e di bellezza.
571. Nella parte della fortezza che riguarda la pazienza, Maria santissima fu più ammirabile, poiché ella sola partecipò dell’eccellente pazienza di Cristo suo figlio santissimo, che consiste nel patire e soffrire senza colpa, e patire più di tutti quelli che hanno commesso colpe. Tutta la vita di questa celeste Regina fu un continuo sopportare tribolazioni, specialmente durante la vita e la morte del nostro redentore Gesù Cristo, tempo in cui la sua pazienza superò tutti i pensieri delle creature e solo il medesimo Dio, che gliela diede, può degnamente farla conoscere. Mai questa candidissima Colomba si sdegnò con impazienza contro creatura alcuna, e nessuna pena o molestia, delle immense che più, le parve grande, né mai si contristò, né cessò di riceverle tutte con allegrezza e rendimento di grazie. E se la pazienza, secondo l’ordine in cui la pone l’Apostolo, è il primo parto della carità e la sua primogenita, ne segue che la nostra Regina, essendo madre dell’amore, lo fu altresì della pazienza, che si vuole misurare con l’amore. Di fatto, quanto più amiamo e stimiamo il Bene eterno, tanto più ci determiniamo a patire, per conseguirlo e non perderlo, quanto di penoso può sopportare la pazienza. Per questo Maria santissima fu pazientissima al di sopra di tutte le creature, e fu madre di questa virtù per noi che, ricorrendo a lei, troveremo questa torre di Davide con mille scudi di pazienza, che da essa pendono, con i quali si armano gli uomini forti della Chiesa e i campioni della milizia di Cristo nostro Signore.
572. La nostra pazientissima Regina non diede mai segni esteriori di femminile debolezza o di ira, perché tutto prevedeva con la luce e la sapienza divina, benché questa non le togliesse il dolore, anzi l’accrescesse. In verità, nessun altro poté conoscere il peso delle colpe ed offese infinite contro Dio come lo conobbe questa Signora, ma non per questo si alterava il suo invincibile cuore. Né per la malvagità di Giuda, né per le ingiurie e le ignominie dei farisei cambiò mai atteggiamento e molto meno la disposizione interiore. E, benché nella morte del suo Figlio santissimo parve che tutte le creature e gli elementi sensibili volessero perdere la pazienza con i mortali, non potendo tollerare l’ingiuria e l’offesa del loro Creatore, tuttavia solo Maria, nmase immobile e pronta a ricevere Giuda, i farisei e i sacerdoti se dopo aver crocifisso Cristo nostro Signore avessero fatto ricorso a lei, Madre di pietà e misericordia.
573. La mansuetissima Imperatrice del cielo avrebbe ben potuto sdegnarsi e adirarsi con quelli che diedero al suo Figlio santissimo così vergognosa morte senza oltrepassare i limiti della ragione e della virtù, tanto più che lo stesso Signore castigò, e giustamente, questo peccato. Tuttavia, mentre mi trovavo in queste riflessioni, mi fu fatto intendere che l’Altissimo aveva disposto che questa gran Signora non avesse tali moti e atti, e ciò perché non voleva che fosse strumento di castigo e accusatrice dei peccatori colei che era stata eletta mediatrice e avvocata loro. Veramente Dio la fece Madre di misericordia, affinché attraverso di lei giungessero agli uomini tutte le misericordie che egli voleva elargire ai figli di Adamo e vi fosse chi degnamente moderasse l’ira del giusto giudice, intercedendo per i colpevoli. Questa Signora esercitò l’ira solo col demonio in ciò che fu necessario per la pazienza e la tolleranza e per vincere gli impedimenti che questo nemico ed antico serpente poteva opporre al bene operare.
574. Alla virtù della fortezza si riducono inoltre la magnanimità e la magnificenza, perché partecipano delle qualità di essa in qualche cosa, dando fermezza alla volontà nella materia che loro appartiene. La magnanimità consiste nell’operare cose grandi, alle quali segue l’onore grande della virtù, e per questo si dice che ha per materia i grandi onori. Da ciò derivano a questa virtù molte proprietà che hanno i magnanimi, come aborrire le adulazioni e le simulate ipocrisie, che solo gli animi abbietti e vili amano; non essere avidi, né interessati, né amici di ciò che è più utile, ma solo di ciò che è più onesto e grande; non parlare di se stessi con iattanza; occuparsi poco delle cose piccole impiegando le proprie forze più per quelle grandi; essere più inclini a dare che a ricevere, perché tutte queste cose sono degne di maggior onore. Ma non per questo questa virtù è contro l’umiltà, perché una virtù non può essere contraria all’altra. Infatti la maguanimità fa sì che con i doni e le virtù si renda l’uomo meritevole di grandi onori senza però desiderarli ambiziosamente e disordinatamente. Inoltre, l’umiltà insegna all’uomo a riferirli a Dio e a disprezzare se stesso per i suoi difetti e per la propria natura. A causa poi delle difficoltà che incontrano nelle opere grandi e lodevoli della virtù, essi ricercano una speciale fortezza che si chiama magnanimità. Il giusto mezzo di questa sta nel proporzionare le forze con le azioni grandi, affinché non le lasciamo per pusillanimità, né le intraprendiamo con presunzione o disordinata ambizione, o con brama di vanagloria, perché il magnanimo disprezza tutti questi vizi.
575. La magnificenza realizza anche opere grandi e può essere quella virtù comune che in tutte le materie virtuose compie cose grandi. Ma siccome vi è una particolare difficoltà nel fare grandi spese, anche quando sono giuste, si chiama in modo speciale magnificenza quella virtù che inclina a spese grandi regolandole con la prudenza, in modo che il cuore non sia misurato quando la ragione le consiglia e non sia prodigo quando ciò non conviene, distruggendo e consumando ciò che non è necessario. Inoltre, sebbene questa virtù sembri confondersi con la liberalità, tuttavia i filosofi le distinguono, perché il magnifico guarda unicamente alle cose grandi senza tenere conto di altro, mentre il liberale mira solo all’amore e all’uso moderato del denaro. Quindi, uno potrà essere liberale senza giungere ad essere magnifico, se si trattiene nel distribuire ciò che ha maggior grandezza e valore.
576. Queste due virtù della magnanimità e della magnificenza si trovarono nella Regina del cielo con alcune qualità che non poterono ottenere gli altri che ebbero tali virtù. Solo Maria non trovò resistenza né difficoltà nell’operare tutte le cose grandi e solo lei le fece tutte grandi, anche nelle materie piccole, e fu la sola a comprendere perfettamente la natura e la qualità di queste virtù, come di tutte le altre. Così poté dare ad esse la suprema perfezione, senza che questa fosse diminuita in lei né da inclinazioni contrarie, né dal non conoscere il modo di giungervi, né dall’attendere ad altre virtù, come avviene ai più santi e prudenti, i quali, quando non possono realizzare il tutto, scelgono ed operano ciò che sembra loro migliore. In tutte le opere virtuose questa Signora fu tanto magnanima che sempre si attaccò a ciò che era più grande e più degno di onore e di gloria. Gloria ella stessa meritava da tutte le creature, ma si mostrò magnanima nell’allontanarla da sé, riferendola solo a Dio ed operando nella stessa umiltà ciò che vi è di più grande e magnanimo in questa virtù. In Maria la sua magnanima umiltà, che operava in grado eroico, era come in concorrenza con le altre sue virtù parimenti magnanime, per cui erano unite insieme come altrettante pietre preziose, che con la loro bella varietà facevano a gara per trovare quale di esse ornasse meglio la figlia del Re divino, colei cioè che, al dire di Davide suo padre, portava la sua gloria dentro di sé.
577. Anche nella magnificenza la nostra Regina fu grande, perché, sebbene fosse povera, e, soprattutto nello spirito, senza amore alcuno a cosa terrena, con tutto ciò dispensò magnificamente quanto il Signore le diede, come accadde quando i re Magi offrirono preziosi doni al bambino Gesù e anche in seguito, nel tempo in cui visse in seno alla Chiesa, dopo l’ascensione del Signore al cielo. Ma la maggior magnificenza fu che, essendo ella signora di ogni cosa creata, dispose tutto affinché magnificamente, per quanto dipendeva da lei, si spendesse a beneficio dei bisognosi e per l’onore e il culto di Dio. Insegnò a molti questa virtù, essendo maestra in tutto perfetta nelle opere per compiere le quali i mortali devono lottare contro basse inclinazioni e vili costumi, senza neppure giungere a dare ad esse il grado di prudenza che si richiede. Comunemente i mortali, secondo la propria inclinazione, desiderano l’onore e la gloria della virtù ed essere reputati straordinari e grandi. Per siffatta inclinazione e brama fuorviano, tralasciando di indirizzare questa gloria della virtù al Signore di tutto. Sbagliano i mezzi e, se si presenta loro l’occasione di fare qualche opera di magnanimità o di magnificenza, vengono meno e non la fanno, perché sono di animo abbietto e vile. D’altronde, volendo comparire grandi, eccellenti e degni di venerazione, si appigliano ad altri mezzi falsamente proporzionati ed effettivamente viziosi, come il mostrarsi iracondi, gonfi, impazienti, cipigliosi, alteri e millantatori. Ora, siccome tutti questi vizi non sono magnanimità, anzi mostrano grettezza di cuore, essi non acquistano gloria né onore tra gli uomini saggi, ma piuttosto vituperio e disprezzo, poiché l’onore si trova più fuggendolo che cercandolo e più con le opere che con i desideri.
Insegnamento della Regina del cielo
578. Figlia mia, se con attenzione procuri, come io ti comando, di intendere la qualità e la necessità di questa virtù della fortezza, con essa avrai in mano le redini dell’irascibilità, che è una delle passioni che molto presto si muovono e turbano la ragione. Inoltre, avrai uno strumento col quale potrai operare ciò che vi è di più grande e perfetto nelle virtù, come tu desideri, e col quale potrai resistere e superare gli impedimenti dei tuoi nemici, che ti si oppongono per intimidirti quando si tratta di ciò che vi è di più difficile nella perfezione. Ma tieni ben presente, o carissima, che l’irascibilità serve alla bramosia per resistere a chi le impedisce ciò che brama; ne consegue che, se la bramosia diventa disordinata ed ama ciò che è vizioso e bene apparente, subito anche l’irascibilità lo diventa di conseguenza; quindi, invece di essere fortezza virtuosa, incorre in molti vizi esecrabili e brutti. Da ciò comprenderai come dall’appetito sregolato della propria eccellenza e gloria vana, causato dalla superbia e dalla vanità, nascono tanti vizi derivanti dall’ira, quali le discordie, i contrasti, le risse, la iattanza, i clamori, l’impazienza, la pertinacia ed altri vizi, che hanno come radice la bramosia, quali l’ipocrisia, la menzogna, il desiderio della vanità, la curiosità e il voler comparire in tutto più degli altri uomini e non per quello che si è veramente a causa dei propri peccati e delle proprie miserie.
579. Da tutti questi vizi così brutti ti vedrai libera se con forza mortifichi e trattieni i moti sregolati della bramosia mediante la temperanza, della quale parlerai qui di seguito. Quando, però, brami ed ami ciò che è giusto e conveniente, anche se ti devi servire, per conseguirlo, della fortezza e dell’irascibilità ben regolata, fallo in modo da non eccedere, perché chi vive soggetto al proprio amore sregolato corre sempre il pericolo di adirarsi per troppo zelo di virtù. E talvolta si maschera e cela questo vizio sotto il manto del buon zelo: la creatura si lascia ingannare, adirandosi per quello che essa brama per sé e volendo che sia creduto zelo di Dio e del bene del prossimo. Per questo è tanto necessaria e gloriosa la pazienza che nasce dalla carità e si accompagna con la larghezza e la magnanimità, poiché colui che ama veramente il sommo e vero Bene facilmente soffre la perdita dell’onore e della gloria apparente, disprezzandola da magnanimo come cosa vile e di nessun conto. Quantunque poi gliela diano le creature, non la stima, e negli altri travagli si mostra invincibile e costante; con questo si va guadagnando, per quanto può, il bene della perseveranza e della tolleranza.
CAPITOLO 12
La virtù della temperanza che ebbe Maria santissima.
580. Dei due moti che ha la creatura, l’uno di desiderare il bene sensibile, l’altro di ritirarsi dal male, quest’ultimo si modera con la fortezza, che, come ho detto, serve a far sì che la volontà non si lasci vincere dall’irascibilità, ma la vinca invece con coraggio, soffrendo qualunque male sensibile per conseguire il bene onesto. Per ordinare gli altri moti della bramosia serve la temperanza, l’ultima e la minore delle virtù cardinali, poiché il bene che ottiene non è così generale come quello cui sono volte le altre virtù, anzi la temperanza immediatamente mira al bene particolare di colui che la possiede. Vero è che i dottori e i maestri considerano anche la temperanza, in quanto significa una generale moderazione di tutti gli appetiti naturali e in questo senso è virtù generale e comune che comprende tutte le virtù che muovono ogni tipo di desiderio in modo conforme a ragione. Tuttavia, non parliamo adesso della temperanza in questa generalità, ma in quanto serve per governare la bramosia nella materia del tatto, dove il piacere stimola con maggior forza, e conseguentemente in al tre materie che provocano piacere, le quali imitano la sollecitazione del tatto, benché non con tanta forza.
581. In questa considerazione la temperanza occupa l’ultimo posto tra le virtù, perché il suo oggetto non è così nobile come quello delle altre. Tuttavia le si attribuiscono alcune eccellenze maggiori, in quanto essa ci allontana da oggetti più brutti e detestabili, quali sono la sregolatezza nei piaceri dei sensi, comune agli uomini e alle bestie. Perciò Davide dice che l’uomo si rende simile agli animali quando si lascia trasportare dalla passione del piacere. Questo è un vizio puerile, perché un bambino non segue la ragione, ma l’oggetto del suo desiderio, né si modera se non col castigo, che è necessario anche a frenare la bramosia in questi piaceri. Da tale disonore e bruttezza l’uomo viene liberato dalla virtù della temperanza, poiché questa gli insegna a governarsi non in forza del piacere ma della ragione. Perciò questa virtù meritò che le si attribuisse una certa onestà e decoro o bellezza, che nasce nell’uomo dal conservarsi nello stato della ragione contro una passione tanto indomita che poche volte ascolta la ragione e le ubbidisce; al contrario, l’asservimento dell’uomo al piacere animale gli procura grande disonore per la somiglianza che così acquista con gli animali bruti e con i bambini.
582. La temperanza racchiude in sé le virtù dell’asti nenza e della sobrietà contro i vizi della gola nel mangiare e dell’ubriachezza nel bere; l’astinenza poi comprende il digiuno. Queste sono le prime virtù della temperanza, perché all’appetito in primo luogo si presenta il cibo, oggetto del gusto, per la conservazione della natura. Dopo queste virtù seguono quelle che regolano la procreazione: la castità e la pudicizia con le loro componenti specifiche, cioè verginità e continenza contro i vizi della lussuria e dell’incontinenza, e le loro specie. A queste virtù, che sono le principali nella temperanza, ne seguono altre che moderano l’appetito in altri piaceri minori, e quelle che moderano il senso dell’odorato, dell’udito e della vista si riducono a quelle del tatto. Ma ve ne sono altre simili a loro in materie differenti; queste sono la clemenza e la mansuetudine, che governano l’ira e l’eccessiva severità nel castigare, contro il vizio della crudeltà disumana o bestiale in cui possono degenerare. Ve n’è un’altra, che è la modestia, che contiene in sé quattro virtù. La prima è l’umiltà, che trattiene l’uomo contro la superbia perché non brami disordinatamente la propria eccellenza. La seconda è la studiosità, che serve a non desiderare di sapere più di quello che conviene, e come conviene, contro il vizio della curiosità. La terza è la moderazione o austerità, che ha come fine di non bramare il fasto superfluo e l’ostentazione del vestito e degli ornamenti. La quarta è quella che modera il desiderio sfrenato negli svaghi e nei divertimenti, quali i giochi, le attività fisiche, le burle e i balli, ecc. E benché questa virtù non abbia un nome particolare, è però molto necessaria e si chiama generalmente modestia o temperanza.
583. Per manifestare l’eccellenza che queste virtù ebbero nella Regina del cielo, come ho detto delle altre, credo sempre che risultino scarsi i termini e le parole comuni con le quali parliamo delle virtù delle altre creature. Le grazie e i doni di Maria santissima ebbero maggior proporzione con quelle del suo dilettissimo Figlio, e queste con le perfezioni divine, di quanta tutte le virtù e la santità dei santi ne abbiano avuta con quella di questa sovrana Regina delle virtù. Così viene ad essere molto disuguale quanto di lei si può dire con le parole con cui intendiamo le grazie e le virtù degli altri santi, nei quali, per quanto esse fossero grandi e comprovate, si trovavano in persone imperfette soggette al peccato e al conseguente disordine. Infatti, se di queste il Siracide dice che non si può valutare il peso dell’eccellenza di un animo misurato, che diremo della temperanza della Signora delle grazie, delle virtù e della bellezza di cui la sua anima santissima era ricolma? Tutti i domestici di questa donna forte erano forniti di doppie vesti, perché le sue facoltà erano adorne di due abiti o perfezioni d’incomparabile bellezza e fortezza. L’uno era quello della giustizia originale, il quale subordinava gli appetiti alla ragione e alla grazia, l’altro era quello degli abiti infusi, che le aggiungevano nuova bellezza e virtù per operare con somma perfezione.
584. Tutti gli altri santi, che si distinsero nella bella virtù della temperanza, giunsero tutt’al più, seppur vi giunsero, ad assoggettare la bramosia indomita al giogo della ragione in modo che non desiderasse smodatamente cosa alcuna che in seguito dovessero ritrattare, dolenti di averla bramata. E se anche qualcuno, passando oltre, giunse perfino a negare all’appetito tutto ciò che può essere sottratto all’umana natura senza distruggerla, tuttavia non poté mai far sì che in tutti questi atti egli non sentisse qualche difficoltà che ritardasse la tensione della volontà, o almeno una tale resistenza da non poter ottenere con tutta pienezza quanto desiderava, dovendo perciò con l’Apostolo lamentarsi dell’infelice carico di questo pesante corpo. In Maria santissima non si trovava questo disaccordo, perché gli appetiti, senza recalcitrare o ribellarsi alla ragione, lasciavano operare tutte le virtù con tanta armonia e accordo che, fortificandola come esercito di schiere ben ordinate, facevano un coro di celestiale consonanza. E siccome non aveva appetiti disordinati da reprimere, esercitava la temperanza in modo tale che non poteva venirle in mente né immagine né memonà di moto sregolato. Anzi, imitando bene le divine perfezioni, i suoi atti venivano ad essere come originati e ritratti da quel supremo esempio e si rivolgevano a lui come a regola unica della loro perfezione e come a fine ultimo in cui terminavano.
585. L’astinenza e sobrietà di Maria santissima furono d’ammirazione agli angeli, perché, essendo Regina di ogni cosa creata ed insieme soggetta alle passioni naturali della fame e della sete, non ebbe mai appetenza di cibi che sarebbero stati convenienti al suo potere e alla sua grandezza, né usava del mangiare per il gusto, ma per la sola necessità, soddisfacendo a questa con temperanza tale che né eccedeva né poteva eccedere oltre quanto era necessario alla salute e al sostentamento della vita. Inoltre, prima di cibarsi, voleva sentire il dolore della fame e della sete, limitando il cibo in modo che anche la grazia dovesse in parte concorrere con lo scarso nutrimento naturale a sostenerla. Mai la mancanza di cibo le causò alcun disturbo; anche se ne prendeva meno di quello necessario al fabbisogno calorico, vi suppliva la divina grazia, poiché la creatura vive anche di essa e non di solo pane. L’Altissimo avrebbe certamente potuto sostentarla senza che ella mangiasse o bevesse, ma non lo fece, perché non era conveniente per lei perdere l’occasione di acquisire meriti nell’uso del mangiare e di essere esempio di temperanza, né lo era per noi esser privati di tanto bene e di tanti suoi meriti. Della qualità del cibo che usava e del tempo nel quale lo prendeva, si parla in diverse parti di questa Storia. Di volontà sua però non mangiò mai carne, non più che una sola volta al giorno, eccetto quando visse col suo sposo Giuseppe o quando accompagnava il suo santissimo Figlio nei suoi viaggi, perché in queste occasioni, per la necessità di adeguarsi agli altri, seguiva l’ordine che il Signore le dava, ma sempre era straordinaria nella temperanza.
586. Della purezza verginale e del pudore della Vergine delle vergini, non potrebbero parlare degnamente neppure i supremi serafini, poiché in questa virtù, che in essi è naturale, furono inferiori alla loro Regina e signora. Infatti, col privilegio della grazia e col potere dell’Altissimo, Maria santissima era più libera ed immune dal vizio contrario che non gli stessi angeli, i quali per loro natura non possono esserne toccati. Noi mortali non arriviamo in questa vita ad immaginare quanto grande fosse questa virtù nella Regina del cielo, perché ci ostacola molto il fango pesante che ottenebra all’anima nostra la candidezza e la cristallina luce della castità. La nostra gran Regina la ebbe in grado tale che avrebbe potuto meritatamente preferirla alla dignità di Madre di Dio, se non fosse stata appunto questa virtù che più la rendeva adeguata a questa ineffabile grandezza. Tanto che, misurando la purezza verginale di Maria dalla stima che ella ne fece e dalla dignità a cui ne fu sollevata, si comprenderà in parte quale fosse questa virtù nel suo virgineo corpo e nella sua anima. Propose di osservarla dalla sua concezione immacolata, ne fece voto dalla sua nascita e la osservò in maniera che non ebbe mai azione, né movimento, né gesto con cui la violasse o ne intaccasse il pudore. Perciò non parlò mai a un uomo se non per volontà di Dio, né questi, né le donne stesse guardava in viso e ciò non per il pericolo, ma per il merito, per l’esempio nostro e per la sovrabbondanza della divina prudenza, sapienza e carità.
587. Della sua clemenza e mansuetudine Salomone disse che la legge della clemenza era sulla sua lingua, perché mai la mosse se non per distribuire la grazia che era sparsa sulle sue labbra. La mansuetudine governa l’ira e la clemenza modera il castigo. La nostra mansuetissima Regina non ebbe ira da moderare, né usava di questa disposizione naturale più di quello che nel capitolo passato si è detto quanto agli atti della fortezza contro il peccato e il demonio. Ma contro le creature razionali non ebbe ira che fosse diretta a castigarle, né in occasione alcuna si mosse ad ira, né mai perse la perfettissima mansuetudine e l’immutabile ed inimitabile imperturbabilità interiore ed esteriore, né si notò differenza nell’espressione o nella voce o si videro in lei movimenti che indicassero qualche interno moto d’ira. Il Signore si servi di questa mansuetudine e clemenza come di strumento per esercitare la sua, dando corso per mezzo di essa a tutti i benefici e gli effetti delle eterne ed antiche misericordie; per tale fine era necessario che la clemenza di Maria signora nostra fosse strumento adeguato di quella che il medesimo Signore usa con le creature. Infatti, considerando attentamente e profondamente le opere della divina clemenza verso i peccatori, e che di tutte Maria santissima fu lo strumento idoneo con cui si disponevano ed eseguivano, si comprenderà in parte la clemenza di questa Signora. Tutti i suoi rimproveri furono fatti pregando, insegnando ed ammonendo piuttosto che castigando e questo domandò ella stessa al Signore. Infatti la sua provvidenza dispose così, affinché in questa eminentissima Regina la legge della clemenza risiedesse come nell’originale e si conservasse come in un tesoro, del quale sua Maestà si servisse e dal quale i mortali apprendessero questa virtù con le altre.
588. Quanto alle altre virtù che contiene la modestia, e specialmente quanto all’umiltà e all’austerità o povertà di Maria santissima, per dirne qualche cosa degnamente occorrerebbero molti libri e molte lingue d’angeli. Però, di quello che io posso arrivare a dirne, è piena questa Storia, perché in tutte le azioni della Regina del cielo rifulse sopra ogni virtù la sua incomparabile umiltà. Temo molto di offendere la grandezza di questa singolare virtù, cercando di restringere in limitati confini questo pelago d’umiltà, che poté ricevere ed abbracciare colui che è incomprensibile e senza limiti. Quanto sono giunti a conoscere e ad operare i santi e gli stessi angeli con questa virtù, non poté giungere a far sì che la loro umiltà uguagliasse anche in minima parte quella che ebbe la nostra Regina. Difatti, quale dei santi o degli angeli Dio poté chiamare sua Madre? E chi, al di fuori di Maria e dell’eterno Padre, poté chiamare suo figlio il Verbo incarnato? Ora, se colei che in questa dignità giunse ad essere simile all’Eterno e ne ebbe le grazie e i doni convenienti, si pose nella stima di sé comunque all’ultimo posto tra le creature e tutte le reputò superiori a se stessa; quale odore, quale fragranza inebriante dovette mandare allo stesso Dio questo umile nardo, contenente nel suo seno il supremo Re dei re?
589. Che le colonne del cielo si umilino e si confondano alla presenza dell’inaccessibile luce della Maestà infinita non fa meraviglia, dato che essi videro la rovina dei loro uguali ed essi stessi non ne furono preservati se non con benefici e ragioni comuni a tutti. Che i più forti ed invincibili santi si umiliassero, abbracciando il disprezzo e l’annientamento, riconoscendosi indegni di qualunque minimo beneficio della grazia e persino dello stesso ossequio e soccorso delle cose naturali, era giustissimo e conseguente, perché tutti pecchiamo ed abbiamo bisogno della gloria del medesimo Dio. Nessuno è stato mai così santo né così grande da non poter essere maggiore, né tanto perfetto da non mancare di qualche virtù, né tanto innocente da essere trovato irreprensibile agli occhi di Dio. E se anche si trovasse qualcuno in tutto interamente perfetto, rimarrebbero comunque tutti nella sfera della grazia comune e nessuno sarebbe superiore a tutti in tutto.
590. Quindi fu senza esempio e senza pari l’umiltà di Maria purissima. Infatti, essendo aurora della grazia, principio di tutto il bene delle creature, la suprema di esse, il prodigio delle perfezioni di Dio, il centro del suo amore, la sfera della sua onnipotenza, colei che lo chiamò figlio e si senù chiamare madre dallo stesso Dio, tuttavia si umiliò fino a mettersi al di sotto di ogni cosa creata. Ed ella che, godendo della maggiore eccellenza di tutte le opere di Dio in una semplice creatura, non ne aveva altra superiore sopra cui sollevarsi, nondimeno si umiliò talmente che si giudicava indegna della seppur minima stima, eccellenza o gloria che si potesse dare alla più piccola di tutte le creature razionali. Non solamente si reputava immeritevole della dignità di Madre di Dio e delle grazie relative, ma anche dell’aria che respirava, della terra che la sosteneva, dell’alimento che riceveva e di qualunque ossequio e servizio da parte delle creature e così, ritenendosi indegna di tutto, tutto gradiva come se realmente ne fosse indegna. E per dir molto in poche parole, il fatto che la creatura razionale non brami l’eccellenza che assolutamente non le appartiene o che per qualche titolo non si merita, non è poi un’umiltà molto generosa, benché l’infinita clemenza dell’Altissimo la riceva e si consideri obbligato da chi così si umilia. Ma la cosa mirabile è il fatto che si umilii più di tutte le creature insieme colei che, mentre le era dovuta tutta la maestà e l’eccellenza, non la bramò né la cercò e, pur nella sua dignità di Madre di Dio, si annientò nella stima di sé, meritando con questa umiltà di esser sollevata, quasi di diritto, al dominio ed alla signoria di tutto il creato.
591. A questa umiltà incomparabile si univano in Maria santissima le altre virtù racchiuse nella modestia, perché la brama di sapere più di quello che conviene di solito nasce dalla poca umiltà o carità, vizio senza profitto ed anzi di molto danno, come accadde a Dina, la quale con inutile curiosità, uscendo a vedere ciò che non le era utile, fu veduta con tanto danno del suo onore. Dalla stessa radice di superbia presuntuosa solitamente hanno origine la superflua ostentazione e il fasto nell’abbigliamento, nonché le sregolate azioni, i gesti e i movimenti corporali che servono alla vanità e alla sensualità, dando prova della leggerezza dell’animo, secondo queJlo che dice il Siracide: Il vestito di un uomo, la bocca sorridente e la sua andatura rivelano quello che è. Tutte le virtù contrarie a questi vizi in Maria santissima erano intatte e non conoscevano contraddizione o moto che le potesse ritardare o corrompere; anzi, come figlie e compagne della sua profondissima umiltà, carità e purezza, mostravano in questa sovrana Signora certi raggi più di divina che di umana creatura.
592. Era studiosissima senza curiosità, perché, pur ripiena di sapienza al di sopra dei medesimi cherubini, apprendeva e si lasciava istruire da tutti ritenendosi ignorante; e, quando usava della divina scienzà o indagava la divina volontà, era così prudente e lo faceva con fini così sublimi e nelle dovute circostanze, che sempre i suoi desideri ferivano il cuore di Dio e lo attiravano alla sua ben ordinata volontà. Non meno ammirabile fu poi nella povertà ed austerità; infatti, essendo Signora di tutto il creato, che aveva a sua disposizione, per imitare il suo Figlio santissimo, rinunciò a tutto ciò che lo stesso Signore pose nelle sue mani. Invero, come il Padre pose tutte le cose nelle mani del Verbo incarnato, così pure questo Signore le pose tutte nelle mani di sua Madre ed ella, per fare lo stesso, le lasciò tutte con l’affetto ed effettivamente per la gloria del suo figlio e Signore. Della modestia delle sue azioni, della dolcezza delle sue parole e di tutto il suo aspetto basta dire che, per l’ineffabile grandezza che ne traspariva, sarebbe stata reputata più che umana se la fede non avesse insegnato che era semplice creatura, così come confessò il saggio di Atene san Dionigi.
Insegnamento della Regina del cielo
593. Figlia mia, parlando della dignità di questa virtù della temperanza, hai detto qualcosa di quanto ne hai inteso e di come io la esercitavo, sebbene tu tralasci di dire molto di quanto occorrerebbe per far intendere la necessità grandissima che hanno i mortali di usare la temperanza nelle loro azioni. Fu pena del primo peccato che l’uomo perdesse il perfetto uso della ragione e che le passioni, divenute ad essa disubbidienti, si ribellassero a colui che si era ribellato al suo Dio disprezzandone il giustissimo precetto. Per riparare a questo danno fu necessaria la virtù della temperanza, che domasse le passioni, trattenendone e moderandone le sollecitazioni, che restituisse all’uomo la conoscenza della giusta misura nel desiderio, lo educasse e lo disponesse di nuovo a seguire la ragione quale essere capace di partecipare della divinità e non già a seguire il suo piacere, come fa un animale privo di ragione. Senza questa virtù non è possibile spogliarsi dell’uomo vecchio, né disporsi per i doni della grazia e sapienza divina, perché questa non entra in un’anima che abita un corpo soggetto al peccato. Soltanto colui che con la temperanza sa moderare le sue passioni, negando loro lo sfrenato piacere animale che appetiscono, potrà dire e sperimentare che il Re lo introduce nella cella del suo vino delizioso e nei tesori della sapienza e dei doni spirituali, perché questa virtù è come un deposito comune, pieno delle virtù più belle e fragranti al gusto dell’Altissimo.
594. E sebbene io voglia che ti dia molta pena per conseguirle tutte, tuttavia desidero che consideri particolarmente la bellezza e il buon odore della castità, la forza dell’astinenza nel mangiare e della sobrietà nel bere, la soavità e i buoni effetti della modestia nelle parole e nelle opere, nonché la nobiltà della povertà altissima nell’uso delle cose. Con queste virtù otterrai la luce divina, la pace e la tranquillità dell’anima, la serenità delle tue facoltà, il dominio delle tue inclinazioni e arriverai ad essere tutta illuminata dagli splendori della grazia e dei doni divini. Così dalla vita sensibile ed animale sarai sollevata alla vita angelica, che è quella che da lui che si era ribellato al suo Dio disprezzandone il giustissimo precetto. Per riparare a questo danno fu necessaria la virtù della temperanza, che domasse le passioni, trattenendone e moderandone le sollecitazioni, che restituisse all’uomo la conoscenza della giusta misura nel desiderio, lo educasse e lo disponesse di nuovo a seguire la ragione quale essere capace di partecipare della divinità e non già a seguire il suo piacere, come fa un animale privo di ragione. Senza questa virtù non è possibile spogliarsi dell’uomo vecchio, né disporsi per i doni della grazia e sapienza divina, perché questa non entra in un’anima che abita un corpo soggetto al peccato. Soltanto colui che con la temperanza sa moderare le sue passioni, negando loro lo sfrenato piacere animale che appetiscono, potrà dire e sperimentare che il Re lo introduce nella cella del suo vino delizioso 5 e nei tesori della sapienza e dei doni spirituali, perché questa virtù è come un deposito comune, pieno delle virtù più belle e fragranti al gusto dell’Altissimo.
594. E sebbene io voglia che ti dia molta pena per conseguirle tutte, tuttavia desidero che consideri particolarmente la bellezza e il buon odore della castità, la forza dell’astinenza nel mangiare e della sobrietà nel bere, la soavità e i buoni effetti della modestia nelle parole e nelle opere, nonché la nobiltà della povertà altissima nell’uso delle cose. Con queste virtù otterrai la luce divina, la pace e la tranquillità dell’anima, la serenità delle tue facoltà, il dominio delle tue inclinazioni e arriverai ad essere tutta illuminata dagli splendori della grazia e dei doni divini. Così dalla vita sensibile ed animale sarai sollevata alla vita angelica, che è quella che da te voglio e che tu stessa desideri con la virtù divina. Dunque, carissima, sii vigilante e attenta ad operare sempre con la luce della grazia e mai si muovano le tue facoltà solo per il loro piacere, ma sempre opera secondo ragione e a gloria dell’Altissimo in tutte le cose necessarie per la vita: nel mangiare, nel dormire, nel vestire, nel parlare, nell’ascoltare, nel desiderare, nel correggere, nel comandare e nel pregare; il tutto sia guidato in te dalla luce e dal compiacimento del tuo Signore e Dio e non dal tuo.
595. Per poi affezionarti maggiormente alla bellezza e alla grazia di questa virtù, rifletti sulla bruttezza dei suoi vizi contrari e considera, con la luce che ricevi, quanto brutto, riprovevole, orribile e spregevole sia il mondo agli occhi di Dio e dei santi per l’enormità di tanti abomini che gli uomini commettono contro questa amabile virtù. Osserva quanti seguono come bestie l’orrore della sensualità, altri la gola e l’ubriachezza, altri il gioco e la vanità, altri la superbia e la presunzione, altri l’avarizia e la brama di acquistare beni e infine tutti generalmente l’impeto delle proprie passioni. Così essi, non cercando che il piacere presente e momentaneo, accumulano per l’avvenire tormenti eterni e si privano della visione beatifica del loro Dio e Signore.
CAPITOLO 13
I sette doni dello Spirito Santo che ebbe Maria santissima.
596. I sette doni dello Spirito Santo – secondo la comprensione che ne ho – mi pare che aggiungano qualcosa alle virtù corrispondenti; per questo si distinguono da esse, benché abbiano lo stesso oggetto. È certo che qualunque beneficio del Signore si può chiamare dono o regalo della sua mano, anche se naturale. Adesso, però, non parliamo dei doni così in generale, sebbene siano virtù e doni infusi, perché non tutti quelli che hanno qualche virtù o più virtù hanno per questo grazia di doni in quella materia o almeno non arrivano a possedere le virtù in quel grado in cui si chiamano doni perfetti, come li intendono i Dottori nelle parole di Isaia, dove disse che su Cristo nostro salvatore si sarebbe posato lo Spirito del Signore, enumerando sette grazie, le quali comunemente si chiamano doni dello Spirito Santo. Essi sono: lo spirito di sapienza e d’intelletto, lo spirito di consiglio e di fortezza, lo spirito di conoscenza e di pietà e quello del timore di Dio. Questi doni si trovavano nell’anima santissima di Cristo, ridondando dalla divinità alla quale stava ipostaticamente unita, come nella fonte sta l’acqua che da essa sgorga per comunicarsi ad altri, perché tutti attingiamo alle sorgenti del Salvatore grazia su grazia e dono su dono ed in lui stanno nascosti i tesori della sapienza e della scienza di Dio.
597. I doni dello Spirito Santo corrispondono alle virtù cui si collegano. Benché quanto a questa correlazione i Dottori discorrano con qualche differenza, non ve ne può essere alcuna quanto al fine di tali doni, che consiste nel dare qualche speciale perfezione alle facoltà, affinché compiano alcune azioni ed opere assolutamente perfette ed eroiche nelle materie delle virtù; senza questa condizione, infatti, non si potrebbero chiamare doni particolari e più perfetti ed eccellenti del modo comune di operare che hanno le virtù. Questa loro perfezione deve consistere principalmente in qualche speciale o forte ispirazione e mozione dello Spirito Santo, che superi con più efficacia gli impedimenti e muova il libero arbitrio, dandogli maggiore forza affinché non operi debolmente, ma anzi con grande pienezza di perfezione e forza in quella specie di virtù alla quale appartiene il dono. A tutto questo non può giungere il libero arbitrio, se non è illuminato e mosso con speciale efficacia, virtù e forza dello Spirito Santo, che lo spinge fortemente, soavemente e dolcemente, affinché segua quella illuminazione e con libertà operi e voglia quella azione che pare sia fatta nella volontà con l’efficacia dello Spirito divino, come dice l’Apostolo. Perciò questa mozione si chiama istinto dello Spirito Santo; la volontà, infatti, sebbene operi liberamente e senza violenza, in queste opere si comporta molto come strumento volontario e molto somiglia a questo, perché opera con minore esame della prudenza comune con la quale operano le virtù, anche se non con minore intelligenza e libertà.
598. Mi farò intendere in parte con un esempio, avvertendo che, per muovere la volontà alle opere di virtù, concorrono due cose nelle facoltà. L’una è il peso o inclinazione che la stessa volontà ha in sé, che la muove cosi come la gravità porta la pietra o la leggerezza il fuoco, perché ciascuno vada verso il suo centro. Le virtù accrescono più o meno questa inclinazione nella volontà, come fanno i vizi a modo loro; infatti, volgendola all’amore pesano e l’amore è il suo peso che la porta liberamente. L’altra cosa che concorre in questa mozione è da parte dell’intelletto un’illuminazione nelle virtù, dalla quale la volontà è mossa e determinata; essa è proporzionata alle virtù ed agli atti della volontà. Per quelli ordinari servono la prudenza e la sua deliberazione ordinaria, ma per altri atti più elevati è necessaria una più alta e superiore illuminazione e mozione dello Spirito Santo, la quale appartiene ai doni. Poiché la carità è soprannaturale e procede dalla volontà divina come il raggio nasce dal sole, riceve un particolare influsso da Dio; essa muove a sua volta le altre virtù della volontà, e maggiormente quando opera con i doni dello Spirito Santo.
599. Conformemente a ciò, nei doni dello Spirito Santo mi pare di conoscere da parte dell’intelletto una speciale illuminazione, nella quale esso si comporta molto passivamente, volta a muovere la volontà. Ad essa corrispondono le sue virtù con qualche grado di perfezione che inclina, con forza superiore a quella ordinaria, ad opere molto eroiche. Come la pietra, se oltre al suo peso le si aggiunge un altro impulso, si muove più velocemente, così nella volontà, aggiungendo la perfezione, ossia l’impulso dei doni, i moti delle virtù sono più eccellenti e perfetti. Il dono della sapienza comunica all’anima un certo gusto, per mezzo del quale conosce ciò che è divino e ciò che è umano senza inganno, dando all’uno ed all’altro il proprio valore e peso, in opposizione al gusto che procede dall’ignoranza e stoltezza umana; questo dono appartiene alla carità. Il dono dell’intelletto chiarifica per penetrare le cose divine e conoscerle, contro la durezza e lentezza del nostro intelletto. Quello della conoscenza fa penetrare ciò che è più oscuro e rende maestri perfetti contro l’ignoranza. Questi due doni appartengono alla fede. Il dono del consiglio incammina, indirizza e trattiene dalla precipitazione umana, contro l’imprudenza; questo appartiene alla sua virtù propria, che è la prudenza. Quello della fortezza scaccia il timore disordinato e rinvigorisce la debolezza; appartiene alla virtù dallo stesso nome. Quello della pietà rende buono il cuore, gli toglie la durezza e lo ammorbidisce contro l’empietà e la durezza; appartiene alla virtù della religione. Il dono del timore di Dio umilia amorosamente contro la superbia; questo corrisponde all’umiltà.
600. Maria santissima possedeva tutti i doni dello Spirito Santo, avendo come un certo diritto ad essi in quanto madre del Verbo divino, da cui procede lo Spirito Santo, al quale tali doni si attribuiscono. Rapportando questi doni alla dignità speciale di madre, era conseguente che si trovassero in lei con la dovuta proporzione e con tanta differenza da tutte le altre anime quanta ve n’è tra il chiamarsi lei madre di Dio e tutte le altre semplicemente creature. Questo accadeva anche perché la grande Regina era assai vicina allo Spirito Santo per questa dignità e per l’impeccabilità, mentre tutte le altre creature se ne trovano molto lontane, sia per la colpa sia per la distanza dell’esistenza comune, senza altro rapporto o affinità con lo Spirito divino. Se in Cristo nostro redentore e maestro erano come nell’origine e nella fonte, si dovevano trovare anche in Maria sua degna madre come in un ricettacolo o mare da dove si distribuissero a tutte le creature, poiché dalla sua pienezza sovrabbondante si riversano su tutta la Chiesa. Salomone espresse ciò con un’altra metafora nei Proverbi, dicendo che la sapienza costruì una casa su sette colonne, imbandì la mensa, preparò il vino ed invitò gli inesperti ed i privi di senno per trarli fuori dalla stoltezza ed insegnare loro la prudenza. Non mi trattengo a spiegare questo, poiché nessun cattolico ignora che Maria santissima fu questa magnifica abitazione dell’Altissimo, edificata e fondata sopra questi sette doni per sua solidità e bellezza e per preparare in questa casa mistica il banchetto di tutta la Chiesa; in Maria, infatti, è pronta la mensa, affinché tutti noi piccolini ed ignoranti figli di Adamo arriviamo a saziarci dell’influsso e dei doni dello Spirito Santo.
601. Quando questi doni si acquistano mediante la disciplina e l’esercizio delle virtù superando i vizi contrari, il timore ha il primo posto; in Cristo Signore nostro, però, Isaia cominciò ad enumerarli dal dono della sapienza, che è il più alto, perché egli li ricevette come maestro e capo, non come discepolo che li apprendesse. Con questo stesso ordine li dobbiamo considerare nella sua Madre santissima, perché nei doni somigliò più lei al suo Figlio santissimo che le altre creature a lei. Il dono della sapienza contiene un’illuminazione saporosa, mediante la quale l’intelletto conosce la verità delle cose per le loro cause intime e supreme; e la volontà, con il gusto della verità del vero bene, discerne e separa questo bene da quello apparente e falso, perché è veramente sapiente colui che conosce senza inganno il vero bene per gustarlo e lo gusta conoscendolo. Questo gusto della sapienza consiste nel godere del sommo Bene per un’intima unione di amore, cui segue il sapore e gusto dei bene onesto, partecipato ed esercitato per mezzo delle virtù inferiori all’amore. Perciò non si chiama sapiente colui che conosce la verità solo speculativamente, benché abbia in questa conoscenza il suo diletto, né colui che opera atti di virtù per la sola conoscenza, e tanto meno se lo fa per altra causa. Se, però, opera con intimo amore unitivo per il gusto del sommo e vero Bene, che conosce senza inganno, ed in lui e per lui tutte le verità inferiori, allora questi sarà veramente sapiente. Tale conoscenza viene data alla sapienza dal dono dell’intelletto, che la precede ed accompagna; esso consiste in un intima penetrazione delle verità divine e di quelle che a questo ordine si possono ricondurre e collegare, perché lo Spirito scruta le profondità di Dio, come dice l’Apostolo.
602. Questo medesimo Spirito sarà necessario per intendere e dire qualcosa dei doni di sapienza ed intelletto che ebbe l’imperatrice del cielo, Maria. L’impeto del fiume della somma Bontà, trattenuto per tanti secoli, infine rallegrò questa città di Dio con la corrente che riversò nella sua anima santissima per mezzo dell’Unigenito del Padre e suo, che abitò in lei; fu come se – a nostro modo di intendere – avesse scaricato in questo pelago di sapienza l’infinito mare della Divinità, nello stesso momento in cui Maria poté invocare lo spirito della sapienza. Anzi, perché lo chiamasse venne a lei, affinché apprendesse tale sapienza senza finzione e la comunicasse senza invidia, come fece, poiché per mezzo della sua sapienza si manifestò al mondo la luce del Verbo eterno incarnato. Questa sapientissima Vergine conobbe la struttura del mondo e la forza degli elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, il loro alternarsi, la posizione degli astri, la natura degli animali e l’istinto delle fiere, i poteri degli spiriti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e la proprietà delle radici, tutto ciò che è nascosto, occulto e superiore al pensiero degli uomini, i misteri e le vie segrete dell’Altissimo. Maria santissima nostra regina conobbe e gustò tutto ciò con il dono della sapienza che, bevuta alla sua fonte originale, restò parola fatta del suo pensiero.
603. Qui ricevette questo effluvio della virtù di Dio, questa emanazione della sua carità sincera che la fece immacolata, preservandola dalla colpa che imbratta l’anima dei mortali, rendendola così specchio senza macchia della maestà di Dio. Qui attinse lo spirito che la sapienza contiene, spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, senza affanni, onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi. Tutte queste qualità di cui parlò l’autore del libro della Sapienza si trovarono in modo singolare e perfetto in Maria santissima, dopo che nel suo Figlio unigenito. Insieme con la sapienza le vennero tutti i beni e in tutto la precedevano questi altissimi doni di sapienza ed intelletto, affinché in tutte le azioni delle altre virtù fosse da essi guidata ed in tutte si vedesse l’impronta dell’incomparabile sapienza con la quale operava.
604. Degli altri doni si è già riferito qualcosa parlando delle virtù alle quali appartengono; ma, poiché tutto quanto possiamo intendere e dire è assai meno di quello che vi era in questa città mistica di Maria, troveremo sempre molto da aggiungere. Il dono del consiglio segue nell’ordine di Isaia quello dell’intelletto. Esso consiste in una illuminazione soprannaturale con la quale lo Spirito Santo tocca l’intimo dell’uomo, illuminandolo sopra ogni umana e comune intelligenza, affinché scelga ciò che è più utile, conveniente e giusto e respinga il contrario, conducendo la volontà, con le regole dell’eterna ed immacolata legge divina, all’unità di un solo amore ed alla conformità perfetta con la volontà del sommo Bene. Accogliendo questa ispirazione divina la creatura bandisce da sé la molteplicità e varietà delle inclinazioni e degli attaccamenti ai beni esteriori e terreni, che possono essere di intralcio al cuore impedendogli di ascoltare e seguire questo impulso e consiglio divino e di giungere a conformarsi a quell’esempio vivo di Cristo nostro Signore, il quale con altissimo consiglio disse all’eterno Padre: Non sia fatta la mia, ma la tua volontà.
605. Il dono della fortezza è una partecipazione o influsso della virtù divina, che lo Spirito Sant6 comunica alla volontà creata affinché, felicemente coraggiosa, si sollevi sopra tutto quello che la debolezza umana può e suole temere dalle tentazioni, dai dolori, dalle tribolazioni e dalle avversità. Sorpassando e vincendo tutto, essa acquista e conserva ciò che vi è di più arduo ed eccellente nelle virtù e, innalzandosi sempre più, trascende tutte le virtù, le grazie, le consolazioni interiori e spirituali, le rivelazioni, gli amori sensibili, per nobili ed eccellenti che siano. Tutto, insomma, lascia dietro di sé, estendendosi con divino sforzo fino ad arrivare a conseguire l’intima e suprema unione con il sommo Bene, al quale anela con desideri ardentissimi e dove veramente esce dal forte la dolcezza, avendo tutto vinto in colui che le dà la forza 16 . Il dono della conoscenza èuna capacità di discernere con rettitudine infallibile tutto quello che si deve credere ed operare con le virtù. Si differenzia dal consiglio perché questo sceglie e quella giudica, l’uno forma la scelta prudente e l’altra il giudizio retto. Si distingue, poi, dal dono dell’intelletto perché questo penetra le verità profonde riguardanti la fede e le virtù, come in una semplice intelligenza, mentre il dono della conoscenza sa ciò che da esse si deduce ed applica le azioni esterne delle facoltà alla perfezione della virtù, nella quale il dono della conoscenza è come radice e madre della discrezione.
606. Il dono della pietà è una virtù divina o influsso con il quale lo Spirito Santo ammorbidisce e in un certo modo fonde e scioglie la volontà umana, muovendola verso tutto ciò che appartiene al servizio dell’Altissimo ed al beneficio del prossimo. Con questa tenerezza e soave dolcezza la nostra volontà sta pronta e la nostra memoria attenta in ogni tempo, luogo e avvenimento a lodare e benedire il sommo Bene ed a rendere a lui grazie ed onore, come anche ad avere compassione tenera e amorosa delle creature, senza mancare di sovvenirle nelle loro tribolazioni e necessità. Questo dono della pietà non è trattenuto dall’invidia né conosce odio, avarizia, tiepidezza o meschinità, perché causa una forte e soave inclinazione per cui abbraccia con dolcezza e amore tutte le opere d’amore di Dio e del prossimo; anzi, rende benevolo, pieno di riguardo, premuroso e diligente chi lo possiede. Per questo l’Apostolo dice che l’esercizio della pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita eterna, perché è uno strumento nobilissimo della carità.
607. Viene in ultimo luogo il dono del timore di Dio, tanto lodato, magnificato e raccomandato ripetutamente nella Scrittura divina e dai santi Dottori come fondamento della perfezione cristiana e principio della vera sapienza, perché è il primo che resiste alla stoltezza arrogante degli uomini e quello che con maggiore forza la distrugge ed annienta. Questo dono così importante consiste in un’amorosa fuga ed in una nobilissima e pudica riservatezza con cui l’anima si ritira in se stessa e nella conoscenza della propria condizione e bassezza, considerandola in confronto con la suprema grandezza e maestà di Dio, e, non volendo sentire né pensare altamente di se stessa, teme, come insegnò l’Apostolo. Questo santo timore ha i suoi gradi, perché al principio si chiama iniziale ed in seguito filiale. L’anima, infatti, comincia a fuggire dalla colpa, come contraria al sommo Bene che ama con riverenza; passa, poi, ad abbassare e disprezzare se stessa, perché paragona la propria natura con la maestà di Dio, la propria ignoranza con la sua sapienza e la propria povertà con la sua infinita ricchezza. Trovandosi in tutto soggetta pienamente alla volontà divina, si umilia e sottomette anche a tutte le creature per Dio, muovendosi verso di lui e verso di loro con intimo amore e giungendo così alla perfezione dei figli di Dio, cioè alla suprema unione di spirito con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
608. Se mi dilungassi maggiormente nella spiegazione di questi doni, uscirei dal mio intento ed allungherei troppo questo discorso. Quello che ho detto mi pare sufficiente per capire la loro natura e le loro qualità. Inteso questo, si deve considerare che nella sovrana Regina del cielo tutti i doni dello Spirito Santo si trovarono non solamente nel grado sufficiente e ordinario che ciascuno di essi ha nel suo genere, perché ciò sarebbe comune agli altri santi, ma con speciale eccellenza e privilegio quale non poté aver luogo in nessuno di loro, né sarebbe stato conveniente ad altri inferiori a lei. Compreso, dunque, in che cosa consistono il timore santo, la pietà, la fortezza, la conoscenza ed il consiglio in quanto doni speciali dello Spirito Santo, il giudizio umano e l’intelletto angelico si estendano e pensino il grado dei doni più alto, nobile, eccellente, perfetto e divino. Si sappia che i doni di Maria si trovano al di là di quanto possono concepire tutte le creature insieme e che il più basso grado di essi corrisponde a quello più alto immaginato dal pensiero umano, come il più alto grado dei doni di questa Signora e regina delle virtù tocca, in qualche modo, il più basso grado delle eccellenze di Cristo e della Divinità.
Insegnamento della Regina santissima Maria
609. Figlia mia, questi nobilissimi ed eccellentissimi doni dello Spirito Santo che hai inteso sono un emanazione con cui la Divinità si comunica e si trasferisce nelle anime sante, per cui non ammettono limitazione da parte loro come l’hanno da parte del soggetto da cui sono ricevuti. Se le creature liberassero dagli affetti e dall’amore terreno il loro cuore, benché esso sia limitato, parteciperebbero senza misura del torrente della Divinità infinita, per mezzo degli inestimabili doni dello Spirito Santo. Le virtù purificano la creatura dalla bruttezza e dalla macchia dei vizi, se ne ha, e tramite esse questa comincia a ristabilire l’ordine armonico delle sue facoltà, perso prima per il peccato originale e dopo per quelli attuali suoi propri. Inoltre, le virtù aggiungono bellezza, forza e diletto nel bene operare. I doni dello Spirito Santo sollevano le stesse virtù ad un sublime grado di perfezione, ornamento e bellezza mediante il quale l’anima si dispone, si abbellisce e si rende graziosa per entrare nel talamo dello Sposo, dove in modo ammirabile resta unita alla Divinità in un solo spirito e nel vincolo dell’eterna pace. Da quel felicissimo stato esce fedelissima e sicura ad operare virtù eroiche e con esse torna a ritirarsi al medesimo principio da cui è uscita, che è lo stesso Dio; alla sua ombra riposa tranquilla e quieta, senza che la turbino gli impeti furiosi delle passioni ed i loro appetiti disordinati. Pochi, però, ottengono questa felicità e solo per esperienza la conosce chi la riceve.
610. Medita, perciò, o carissima, e considera con profonda attenzione come salirai al grado più alto di questi doni, perché la volontà del Signore e mia è che tu passi più avanti al banchetto che la sua dolcezza ti prepara con la benedizione dei doni; a questo fine, appunto, li hai ricevuti. Considera, dunque, che per l’eternità vi sono solamente due cammini: uno, che conduce alla morte eterna per il disprezzo delle virtù e per l’ignoranza della Divinità; l’altro, che porta alla vita eterna mediante la conoscenza fruttuosa dell’Altissimo, perché questa è la vita eterna, che si conoscano Dio e il suo Unigenito che egli ha inviato nel mondo. Battono il cammino della morte infiniti stolti, i quali non conoscono la loro stessa ignoranza, presunzione e superbia, accecati da una spaventosa insipienza. A quelli che, invece, chiamò misericordiosamente alla sua ammirabile luce, rigenerandoli come figli della luce, diede in questa generazione il nuovo essere che hanno per la fede, la speranza e la carità e che li fa suoi ed eredi della divina ed eterna felicità. Ricondottili così allo stato di figli, diede loro le virtù che si infondono nella prima giustificazione, affinché come figli della luce compissero proporzionatamente opere di luce, in base alle quali tiene pronti da dare i doni dello Spirito Santo. E come il sole materiale a nessuno nega il suo calore e la sua luce, se nel soggetto vi è capacità e disposizione per ricevere la virtù dei suoi raggi, così non nega se stessa né si nasconde ad alcuno la sapienza divina, che invita e chiama tutti, gridando in cima alle alture, sulle strade battute e nei sentieri più nascosti, presso le porte e nelle piazze delle città. La stoltezza dei mortali, però, li rende sordi, la loro empia malizia li fa dispregiatori e la loro incredula perversità li allontana da Dio, la cui sapienza non entra in un’anima che opera il male né abita in un corpo schiavo del peccato.
611. Ma tu, figlia mia, rifletti bene sulle tue promesse, sulla tua vocazione e sui tuoi desideri, perché la lingua che mente a Dio uccide l’anima; non volere provocarti la morte con gli errori della tua vita né attirarti la rovina con le opere delle tue mani, come per mezzo della divina luce sai che fanno i figli delle tenebre. Temi l’onnipotente Dio e Signore con timore santo, umile e ben ordinato ed in tutte le tue azioni determina la tua condotta con questo maestro. Offri il tuo cuore duttile, arrendevole e docile alla disciplina ed alle opere di pietà. Giudica con rettitudine la virtù ed il vizio. Fatti animo con invincibile fortezza per operare ciò che è più arduo e sublime e per soffrire ciò che è più avverso e difficile nelle tribolazioni. Scegli con discrezione i mezzi per l’esecuzione di queste opere. Considera la forza della luce divina, con la quale trascenderai tutto il sensibile, salirai alla conoscenza altissima dei segreti della sapienza divina ed apprenderai a dividere l’uomo nuovo da quello vecchio. Ti renderai capace di ricevere la sapienza quando, entrando nella cella del vino del tuo Sposo, sarai inebriata del suo amore ed in te sarà ordinata la sua carità etema .
CAPITOLO 14
Si spiegano le forme ed i modi delle visioni divine che aveva la Regina del cielo e gli effetti che operavano in lei.
612. Anche se è operata dallo Spirito Santo, la grazia delle visioni divine, delle rivelazioni e delle estasi – non parlo della visione beatifica – si distingue dalla grazia giustificante e dalle virtù che santificano e perfezionano l’anima nelle sue azioni. Siccome non tutti i giusti ed i santi hanno necessariamente visioni o rivelazioni divine, si prova che la santità e le virtù possono stare senza questi doni. Da ciò consegue anche che le rivelazioni non si devono misurare in base alla santità e alla perfezione di quelli che le ricevono, ma alla volontà di Dio che le concede a chi più gli piace 1 quando conviene e nel grado in cui la sua sapienza le distribuisce, operando sempre con peso e misura, per i fini che vuole raggiungere nella sua Chiesa. Dio può comunicare visioni e rivelazioni maggiori e più alte al meno santo, e minori al maggiore. Anzi, può concedere il dono della profezia, con gli altri doni dati gratuitamente, a persone non sante; alcune estasi possono anche avere origine da una causa che non sia precisamente virtù della volontà. Quindi, quando si confronta l’eccellenza dei profeti, non si parla della santità, che solo Dio può ponderare, ma della luce della profezia e del modo di riceverla; da questo si può giudicare quale sia più o meno elevato, secondo differenti ragioni. Il principio su cui si fonda questo insegnamento è che la carità e le virtù che rendono santi e perfetti quelli che le hanno appartengono alla volontà, mentre le visioni, le rivelazioni ed anche alcune estasi riguardano l’intelletto, la cui perfezione non santifica l’anima.
613. Sebbene la grazia delle visioni divine sia distinta dalla santità e dalle virtù, per cui possono separarsi, la volontà e provvidenza divina molte volte le unisce secondo il fine ed il motivo che ha nel comunicare questi doni gratuiti delle rivelazioni particolari. Di fatto, alcune volte le ordina al beneficio pubblico e comune della Chiesa, come dice l’Apostolo. Questo accadde ai profeti che, ispirati da Dio con rivelazioni dello Spirito Santo e non di loro propria immaginazione, parlarono e profetizzarono per noi i misteri della redenzione e della legge evangelica. Quando le rivelazioni e visioni sono di questa specie non è necessario che siano congiunte con la santità, poiché Balaam fu profeta e non era santo. Tuttavia la Provvidenza divina volle, come più conveniente ed opportuno, che ordinariamente i profeti fossero santi, per non depositare facilmente e spesso lo spirito di profezia e le rivelazioni divine in vasi immondi – benché in qualche caso particolare Dio lo facesse come onnipotente – ed anche perché alla verità divina ed al suo insegnamento avrebbe derogato molto la cattiva vita dello strumento, oltre che per molte altre ragioni.
614. Altre volte le rivelazioni e visioni divine non sono tanto generali e non sono indirizzate immediatamente al bene comune, ma a quello particolare di chi le riceve. Come le prime sono effetto dell’amore che Dio ebbe ed ha per la sua Chiesa, così queste rivelazioni particolari hanno per causa l’amore speciale con cui Dio ama l’anima alla quale le comunica per istruirla e sollevarla ad un più alto grado di amore e perfezione. Mediante queste rivelazioni lo spirito della sapienza attraverso le età entra nelle anime sante per formare amici di Dio e profeti. Come ne è causa efficiente l’amore divino tutto speciale verso alcune anime, così ne sono causa finale ed effetto la santità, la purezza e l’amore delle medesime anime; il beneficio di queste rivelazioni e visioni, poi, è il mezzo con il quale si ottiene tutto questo.
615. Non voglio dire con ciò che le rivelazioni e visioni divine siano necessarie ed assolutamente indispensabili per rendere santi e perfetti, perché molti lo sono con altri mezzi senza questi benefici. Se, però, è verissimo che dipende solo dalla volontà divina concedere o negare ai giusti questi doni particolari, da parte nostra e da parte del Signore ci sono alcune ragioni, che conosciamo, per le quali è opportuno che sua Maestà li comunichi tanto frequentemente a molti suoi servi. La prima tra le altre è che da parte della creatura ignorante il modo più proporzionato e conveniente, affinché si innalzi alle cose eterne, si introduca in esse e si spiritualizzi per giungere alla perfetta unione con il sommo Bene, è la luce soprannaturale circa i misteri e gli arcani dell’Altissimo, che viene comunicata mediante particolari rivelazioni, visioni ed illuminazioni che l’anima riceve nella solitudine e nell’estasi; per questo il Signore stesso la invita con ripetute promesse e carezze. Di questi misteri è piena la sacra Scrittura, in particolare il Cantico dei Cantici.
616. La seconda ragione è da parte del Signore, perché l’amore è impaziente e non sopporta indugio nel comunicare i suoi beni e segreti all’amato e all’amico. Non vi chiamo più servi […]; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi, disse agli Apostoli il Maestro della verità eterna. Di Mosè, poi, si dice che Dio parlava con lui come con un amico. Anche i santi Patriarchi e Profeti non ricevettero dallo Spirito divino solamente le rivelazioni generali, ma anche molte altre particolari e private, a testimonianza dell’amore che Dio portava loro, come si rileva dalla richiesta di Mosè, quando lo pregò che gli lasciasse vedere la sua faccia. A questo accennano pure i titoli che l’Altissimo dona alle anime elette, chiamandole con il nome di sposa, amica, colomba, sorella, perfetta, diletta, bella ed in altri modi. Tutti questi titoli, benché esprimano la forza dell’amore divino ed i suoi effetti, significano meno di ciò che il supremo Re fa con quelli che vuole così onorare, perché solo questo Signore ha il potere di fare tutto quello che vuole e sa volere come sposo, come amico, come padre e come infinito e sommo bene, senza restrizione né misura.
617. Questa verità non perde il suo credito perché non è intesa dalla sapienza carnale o perché alcune anime, infatuate da tale sapienza, si sono lasciate ingannare con alcune visioni e rivelazioni false dall’angelo di Satana mascherato da angelo di luce. Questo danno non solo fu molto frequente nelle donne per la loro ignoranza e le loro passioni, ma anche in molti uomini in apparenza forti ed istruiti; però, in tutti nacque da una cattiva radice. Non parlo di quelli che con diabolica ipocrisia hanno finto rivelazioni, visioni ed estasi false, senza averle, ma di quelli che con inganno le hanno patite e ricevute dal demonio, benché non senza grave colpa e consenso. Dei primi si può dire che cercano di ingannare e dei secondi che al principio sono ingannati, perché il serpente antico, che li conosce non mortificati nelle passioni e sa i loro sensi interiori poco esercitati nella conoscenza delle cose divine, introduce in loro con sottilissima astuzia una nascosta presunzione di essere molto favoriti da Dio e toglie loro il timore umile, gonfiandoli con vana curiosità di cose sublimi e rivelazioni ed inducendoli a desiderare di avere visioni estatiche e di distinguersi particolarmente in questi favori. Per questo aprono la porta al demonio ed egli entra a riempirli di errori e di illusioni, intorpidendo loro i sensi con una confusa tenebra interiore, cosicché non intendono né conoscono più cosa divina né vera se non qualcuna che il nemico presenta loro per dare credito ai suoi inganni e per coprire il suo veleno.
618. Questo pericoloso inganno si previene temendo con umiltà, non desiderando sapere cose alte e non valutando il proprio profitto nel tribunale appassionato del proprio giudizio e della propria prudenza, ma rimettendolo a Dio ed ai suoi ministri e confessori dotti, che esaminano bene l’intenzione; non vi è dubbio, infatti, che così si conoscerà se l’anima desidera questi favori per virtù e perfezione o per la gloria esteriore degli uomini. Più sicuro, però, è non desiderarli mai e temere sempre il pericolo, che è grande in tutti i tempi e maggiore al principio. La devozione e le dolcezze sensibili – supposto che vengano dal Signore, perché talvolta il demonio le imita – non sono mandate da sua Maestà perché l’anima è capace del cibo solido dei più grandi segreti e favori, ma come alimento da fanciulli, affinché essa più efficacemente si ritiri dai vizi rigettando ciò che è sensibile e non perché immagini di essere assai avanzata nelle virtù, dato che anche i rapimenti che risultano da meraviglia suppongono più ignoranza che amore. Quando, però, l’amore arriva ad essere estatico, fervoroso, ardente, pronto, vivace, inaccessibile, intollerante di altra cosa fuori di quello che ama e con ciò acquista dominio su ogni affetto umano, allora l’anima si trova disposta per ricevere la luce delle rivelazioni e delle visioni divine; e tanto più vi si dispone quanto meno le brama, illuminata da questa luce divina che la fa credere indegna anche di minori benefici. Gli uomini sapienti non devono meravigliarsi che le donne siano state tanto favorite da Dio con questi doni, perché esse sono ferventi nell’amore, perché Dio sceglie ciò che è più debole come testimone più sicuro del suo potere ed anche perché esse non hanno conoscenza della teologia come gli uomini dotti, se non l’infonde loro l’Altissimo, per illuminare il loro debole ed ignorante giudizio.
619. Intesa questa dottrina – quando non vi fossero state in Maria santissima altre speciali ragioni – conosceremo che le divine rivelazioni e visioni comunicatele dall’Altissimo furono più alte, ammirabili, frequenti e divine di quelle che diede a tutto il resto dei santi. Questi doni, come anche gli altri, si devono misurare con la sua dignità, santità e purezza e con l’amore che suo Figlio e tutta la beatissima Trinità portavano a lei che era madre del Figlio, figlia del Padre e sposa dello Spirito Santo. Con questi titoli le venivano comunicati gli influssi di Dio, essendo Cristo Signore nostro e sua Madre con infinito eccesso più amati che tutto il resto dei santi angeli e uomini. Ricondurrò le visioni divine che ebbe la nostra sovrana Regina a cinque gradi o generi e di ciascuno riferirò quello che potrò, come mi è stato manifestato.
Visione chiara dell’essenza divina concessa a Marta santissima
620. La prima e più elevata visione fu quella beatifica dell’essenza divina. Mentre era viatrice, Maria la ebbe chiaramente e di passaggio molte volte, che enumererò dal principio di questa Storia, nei tempi e nelle occasioni in cui ella ricevette questo beneficio, che è il maggiore che una creatura possa ricevere. Quanto agli altri santi, alcuni Dottori dubitano se nella carne mortale siano arrivati a vedere Dio in modo chiaro ed intuitivo; ma, lasciando da parte le opinioni circa gli altri, non vi può essere dubbio quanto alla Regina del cielo, a cui si farebbe ingiuria misurandola con la regola comune agli altri santi. Molti favori e grazie maggiori di quelle che in loro erano possibili ebbero luogo di fatto nella Madre della grazia; e la visione beatifica è possibile, almeno di passaggio, nei viatori, qualunque ne sia il modo. La prima disposizione che si ricerca nell’anima che deve vedere il volto di Dio è la grazia santificante in grado molto perfetto e non ordinario. Quella che l’anima santissima di Maria aveva dal primo istante fu sovrabbondante e con tanta pienezza che eccedeva la grazia dei supremi serafini. Per vedere Dio, ad essa si deve accompagnare una grande purezza nelle facoltà, in modo che non rimanga in esse traccia o effetto alcuno della colpa. Allo stesso modo un vaso in cui si dovesse porre un liquido purissimo, se ne avesse contenuto uno impuro, dovrebbe prima essere lavato, pulito e purificato bene, per non farvi restare più alcun odore. Poiché dal peccato e dai suoi effetti – soprattutto di quelli attuali – l’anima resta come infetta e contaminata, e quindi sproporzionata ed incapace di unirsi con la Bontà infinita in visione chiara ed amore beatifico, prima deve essere lavata e purificata in maniera che non le restino traccia, odore o sapore di peccati, né vizi, né inclinazione per essi. Ciò non si intende solo degli effetti dei peccati mortali, ma anche delle macchie che lasciano i peccati veniali; anch’essi causano nell’anima la loro particolare bruttezza, come se – a nostro modo di intendere – un cristallo purissimo venisse toccato dal fiato, che subito lo appanna e rende opaco. Tutto, insomma, si deve purificare e rinnovare per vedere Dio chiaramente.
621. Oltre a questa purezza, che è come negazione di macchia, se la natura di colui che deve vedere Dio beatificamente si trova corrotta per la colpa originale, è necessario purificare l’impulso che orienta al peccato in modo che il primo sia soppresso o tenuto a freno, come se la creatura non lo avesse. Essa, infatti, quando vede Dio, non deve avere principio né causa prossima che la inclini al peccato o ad imperfezione alcuna, poiché al libero arbitrio deve essere diventato come impossibile tutto ciò che ripugna alla somma santità e bontà. Da questo e da quanto dirò in seguito si conoscerà la difficoltà di questa disposizione, mentre l’anima vive nella carne mortale. La ragione che io comprendo per cui questo altissimo beneficio deve essere concesso con molto ritegno, e non senza grande causa e molto riguardo, è che nella creatura soggetta al peccato vi sono due sproporzioni e distanze immense, se si compara con la natura divina. L’una consiste nel fatto che Dio è invisibile, infinito, atto purissimo e semplicissimo, mentre la creatura è corporea, terrena, corruttibile e grossolana. L’altra è quella causata dal peccato, che è lontano senza misura dalla somma Bontà. Questa sproporzione e distanza è maggiore della prima, ma si devono togliere entrambe perché possano unirsi estremi tanto lontani quali sono Dio e la creatura, pervenendo questa a congiungersi nel modo supremo con la divinità e ad assimilarsi a Dio stesso, vedendolo e godendolo come egli è.
622. La Regina del cielo aveva tutta questa disposizione di purezza e mancanza di colpa o imperfezione in grado più alto che gli stessi angeli, perché non la toccarono né il peccato originale né quello attuale né gli effetti di alcuno di essi. La grazia e protezione divine poterono in lei per questo più di quanto poté negli angeli la natura, in virtù della quale essi erano liberi dal contrarre difetti. Per questa parte Maria santissima non aveva sproporzione alcuna né ostacolo dovuto a colpa che la ritardasse dal vedere Dio. Per l’altra parte poi, oltre ad essere immacolata, la sua grazia nel primo istante superava quella degli angeli e dei santi ed i suoi meriti erano proporzionati ad essa; nel primo atto, infatti, ella meritò più di tutti loro con i più efficaci ed ultimi atti che fecero per arrivare alla visione beatifica della quale godono. Conforme a ciò, se riguardo agli altri santi è giusto che sia loro differito il premio della gloria, che meritano, finché arrivi il termine della’ loro vita mortale e con esso anche il momento di riceverlo, non può parere contro giustizia che con Maria santissima non s’intenda così rigorosamente questa legge, ma con lei l’Altissimo abbia altra provvidenza, per cui l’ebbe mentre viveva nella carne mortale. L’amore della beatissima Trinità non poteva sopportare tanta dilazione verso questa Signora da stare senza manifestarsi a lei molte volte, tanto più che ella lo meritava più di tutti gli angeli, i serafini ed i santi, che con minore grazia e con meno meriti godevano del sommo bene. Oltre a questa ragione ve n’era un’altra per cui era opportuno che la Divinità le si manifestasse chiaramente, cioè l’essere stata eletta come Madre di Dio, per cui conveniva che conoscesse con l’esperienza e con l’anticipata fruizione il tesoro della divinità infinita che doveva vestire di carne mortale e portare nel suo grembo verginale, affinché in seguito sapesse trattare il suo Figlio santissimo come Dio vero, della cui vista aveva già goduto.
623. L’anima, pur con tutta la purezza e l’integrità di cui si è detto, aggiunta anche la grazia che la santifica, non è ancora proporzionata e pronta per la visione beatifica. Le mancano altre disposizioni ed altri effetti divini, che la Regina del cielo riceveva quando godeva di questo beneficio e di cui tanto più avrebbe bisogno qualunque altra anima alla quale fosse elargito questo favore nella carne mortale. Trovandosi dunque l’anima limpida e santificata, come ho detto, viene ritoccata dall’Altissimo come con un fuoco spiritualissimo, che la riscalda e raffina come fa il fuoco materiale con l’oro, nel modo in cui Isaia fu purificato dai serafini. Questo beneficio opera due effetti nell’anima: l’uno è che la spiritualizza separandola da – a nostro modo di intendere – ciò che è impuro e terreno in lei e nell’unione con il corpo materiale; l’altro è che riempie tutta l’anima di una nuova luce, che scaccia oscurità e tenebre, come il chiarore dell’aurora dissipa la notte. Questa nuova luce resta in suo possesso, lasciandola illuminata e piena di nuovi splendori di questo fuoco. Ad essa seguono altri effetti nell’anima. Di fatto, se ha o ha avuto colpe, le piange con incomparabile dolore di contrizione, talmente grande che non può arrivarvi altro dolore umano, perché tutti, a paragone di quello che qui si sente, sono poco penosi. Quindi, subito sente un altro effetto di questa luce, cioè la purificazione dell’intelletto da tutte le immagini di cose terrene e visibili o sensibili, acquistate per mezzo dei sensi; queste, infatti, sono d’impedimento all’intelletto per vedere chiaramente il sommo spirito della Divinità. È, quindi, necessario purificarlo e sgombrarlo da quelle immagini e raffigurazioni terrene che lo occupano, impedendogli non solo la visione chiara ed intuitiva di Dio, ma anche quella astrattiva, per la quale èugualmente necessario che sia purificato.
624. Nell’anima purissima della nostra Regina, non avendo ella colpe da piangere, queste illuminazioni e purificazioni producevano soltanto gli altri effetti, cominciando ad elevare e proporzionare la natura stessa, affinché non stesse così distante dal fine ultimo e non percepisse gli effetti dei sensi e la dipendenza dal corpo. Allo stesso tempo, causavano in quell’anima candidissima nuovi sentimenti e moti di umiliazione per la conoscenza di se stessa, cioè del niente della creatura comparata con il Creatore e con i suoi benefici; per questo il suo cuore infiammato si muoveva a molti altri atti eroici di virtù. Il beneficio di una tale luce produrrebbe simili effetti in altre anime, se Dio la comunicasse loro per disporle alle visioni della sua divinità.
625. La nostra ignoranza potrebbe giudicare che le disposizioni già riferite bastino per arrivare alla visione beatifica; ma non è così, perché si richiede un’altra qualità o luce più divina, prima del lumen gloriae. Questa nuova purificazione è simile a quelle che ho riferito, ma differisce negli effetti, perché solleva l’anima ad uno stato più alto e sereno, dove con maggiore tranquillità sente una pace dolcissima, che non percepiva nello stato delle disposizioni e purificazioni anteriori. In esse, infatti, si sente ancora qualche pena ed amarezza delle colpe, se ci sono state, o un tedio della stessa natura terrena e vile, effetti non conciliabili con lo stato in cui l’anima si trova così vicina ed assimilata alla somma felicità. Mi pare che le prime purificazioni servano per mortificare e questa, di cui sto parlando, per vivificare e sanare la natura; l’Altissimo fa come il pittore, che prima delinea l’immagine, poi subito le dà i primi colori in abbozzo e quindi gli ultimi per farla uscire alla luce.
626. A compimento di tutte queste purificazioni e disposizioni, con i loro stupendi effetti, Dio comunica l’ultima, che è il lumen gloriae. Questa luce eleva, conforta e finisce di proporzionare l’anima affinché possa vedere e godere Dio beatificamente. Solo in essa le si manifesta la Divinità, la quale altrimenti non può essere veduta da creatura alcuna. La natura da sola non può giungere al conseguimento di tale luce e disposizione, né alla visione di Dio, perché tutto ciò supera le sue forze.
627. Con tutta questa bellezza di ornamenti era preparata colei che era Sposa dello Spirito Santo, Figlia del Padre e Madre del Figlio per entrare nel talamo della Divinità, quando veniva ammessa a godere di passaggio della sua vista e fruizione intuitiva. Poiché tutti questi benefici corrispondevano alla sua dignità ed alle sue grazie, non può essere compreso da ragione o pensiero creato – tanto meno da quello di una donna ignorante come sono io – quanto sublimi e divine fossero nella nostra Regina queste illuminazioni; molto meno, poi, si può ponderare e misurare il godimento di quell’anima santissima, superiore al gaudio più sublime dei supremi serafini e santi. Se di qualunque giusto, sia pure il minore tra quelli che godono Dio, è verità infallibile che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo quelle cose che Dio ha preparato, che sarà per i santi più grandi? E se lo stesso Apostolo che disse questo confessò di non poter esprimere quello che aveva ascoltato, che dirà la nostra limitatezza della Santa dei santi e madre di colui che è la gloria dei santi? Dopo l’anima del suo Figlio santissimo, che era insieme uomo e Dio vero, ella fu colei che negli infiniti mari e recessi della Divinità vide e conobbe il maggior numero di misteri arcani. A lei più che a tutti i beati furono aperti i tesori infiniti e le ampiezze dell’eternità di quell’oggetto inaccessibile che né principio né fine possono limitare. Lì questa città di Dio fu riempita di gioia ed allagata dal torrente della Divinità, che la inondò a tal punto con l’impeto della sua sapienza e grazia che queste la spiritualizzarono e divinizzarono.
Visione astrattiva di Dio che aveva Maria santissima
628. Il secondo genere di visioni di Dio che ebbe la Regina del cielo fu quello astrattivo, che è molto differente da quello intuitivo e ad esso inferiore; per questo era più frequente, benché non quotidiano od incessante. L’Altissimo comunica questa conoscenza o visione non scoprendosi in se stesso immediatamente all’intelletto creato, ma mediante qualche velo o certe immagini nelle quali si manifesta. Essendoci una separazione fra l’oggetto e l’intelletto, questa vista è molto inferiore alla visione chiara intuitiva e non mostra la presenza reale, anche se la contiene intellettualmente con condizioni inferiori. Benché la creatura sappia che si trova vicina alla Divinità ed in lei scopra gli attributi, le perfezioni e quei segreti divini che come in uno specchio volontario Dio vuole mostrarle e manifestarle, non sente né conosce nel sommo modo possibile la sua presenza, né la gode a soddisfazione ed a sazietà.
629. Tuttavia questo beneficio è grande, raro e, dopo la visione chiara, il maggiore. Benché non richieda il lumen gloriae, essendo sufficiente la luce delle immagini, né occorra l’ultima disposizione e purificazione alla quale segue il lumen gloriae, tutte quelle antecedenti, che precedono la visione chiara, sono necessarie anche per questa, perché con essa l’anima entra negli atri della casa del Signore Dio eterno. Gli effetti di questa visione sono ammirabili perché, oltre allo stato nel quale l’anima si trova già così innalzata sopra se stessa, la inebria di una ineffabile soavità e dolcezza, con la quale l’infiamma dell’amore divino e la trasforma in esso, causandole una tale dimenticanza e un tale distacco da tutto ciò che è terreno e da se stessa che non vive più in sé, ma in Cristo, e Cristo in lei. Inoltre, da questa visione le resta una luce che, se ella non la perdesse per sua negligenza o tiepidezza o per qualche colpa, la guiderebbe sempre al più alto grado della perfezione, insegnandole le più sicure vie dell’eternità. Così, sarebbe per lei come il fuoco perpetuo del santuario e come la luce della città di Dio.
630. Questa visione divina causava questi ed altri effetti nella nostra sovrana Regina in grado così eminente che io non posso spiegare il mio concetto con termini ordinan. Ci lascia però intendere qualcosa il considerare lo stato di quell’anima purissima, dove non era impedimento di tiepidezza, né ostacolo dovuto a colpa, né trascuratezza, né dimenticanza, né negligenza, né ignoranza, né una minima inavvertenza; anzi, era piena di grazia, ardente nell’amore, diligente nell’operare, costante ed incessante nel lodare il Creatore, sollecita ed alacre nel dargli gloria e disposta totalmente in modo che il braccio dell’Onnipotente operasse in lei senza incontrare contraddizione o difficoltà alcuna. Ebbe il beneficio di questo genere di visione nel primo istante della sua concezione, come ho detto a suo luogo, ed in seguito molte altre volte nel corso della sua vita santissima, come anche ho già detto in parte ed in parte dirò più avanti.
Visioni e rivelazioni intellettuali di Maria santissima
631. Il terzo genere di visioni o rivelazioni divine che ebbe Maria santissima fu quello intellettuale. Sebbene la conoscenza o visione astrattiva di Dio si possa chiamare anch’essa rivelazione intellettuale, io le dono un altro posto tutto suo e più alto, per due ragioni. L’una è che il suo oggetto è unico e supremo tra le cose intelligibili, mentre queste più comuni rivelazioni intellettuali hanno molti e vari oggetti, perché si estendono a cose materiali e spirituali, nonché alle verità ed ai misteri intelligibili. L’altra ragione è che la visione astrattiva dell’essenza divina viene prodotta per mezzo di immagini altissime, infuse e soprannaturali di quell’oggetto infinito. La comune rivelazione e visione intellettuale, invece, alcune volte si forma per mezzo di immagini degli oggetti rivelati infuse nell’intelletto, mentre altre volte queste non sono necessarie per intendere tutto, perché possono servire quelle dell’immaginazione o fantasia della persona che ha la visione; con esse l’intelletto, illuminato con nuova luce e virtù soprannaturale, può intendere i misteri che Dio gli rivela. Così accadde a Giuseppe in Egitto ed a Daniele in Babilonia. Anche Davide ebbe questo genere di rivelazioni. Dopo la conoscenza di Dio, è il modo di visione più nobile e sicuro, perché né i demoni né gli stessi angeli buoni possono infondere questa luce soprannaturale nell’intelletto, benché possano muovere le immagini per mezzo della fantasia.
632. Questa forma di rivelazione intellettuale fu comune ai Profeti santi dell’antico e del nuovo Testamento, perché la luce della profezia perfetta, come essi ebbero, va a terminare nella comprensione di qualche mistero. Senza questa luce intellettuale non sarebbero stati profeti in modo perfetto né avrebbero parlato profeticamente; per questo, infatti, non basta fare profezie. Così, Caifa ed i soldati che non vollero dividere la tunica di Cristo Signore nostro, benché mossi da impulso divino, non erano perfettamente profeti, perché non parlavano profeticamente, cioè con luce divina e comprensione del mistero. È’ vero che anche i profeti santi e perfettamente tali, che si chiamavano veggenti per la luce interiore con la quale contemplavano i segreti nascosti, potevano fare qualche azione profetica senza conoscere i misteri che comprendeva o senza conoscerne qualcuno; ma in quell’azione non erano tanto perfettamente profeti quanto in quelle nelle quali profetizzavano con comprensione soprannaturale. Questa rivelazione intellettuale ha molti gradi, ma non è questo il luogo per spiegarli. E benché il Signore la possa comunicare da sola, senza carità o grazia e senza le virtù, di solito è accompagnata da esse, come avveniva nei Profeti, negli Apostoli e negli altri giusti, quando Dio manifestava loro come ad amici i suoi segreti, e come ancora succede quando le rivelazioni intellettuali sono dirette al maggior bene di chi le riceve, come si è detto sopra. Per questo, tali rivelazioni ricercano una disposizione molto buona nell’anima che deve essere sollevata ad esse ed ordinariamente Dio non le comunica se non quando l’anima si trova quieta, in pace, distaccata dagli affetti terreni e con le facoltà ben ordinate per ottenere gli effetti di questa luce divina.
633. Nella Regina del cielo queste rivelazioni intellettuali furono molto differenti da quelle dei santi e dei profeti, perché sua Altezza le aveva continue, quando non godeva di altre visioni di Dio più alte. Oltre a ciò, lo splendore e l’estensione di questa luce intellettuale ed i suoi effetti furono incomparabili in Maria santissima, perché conobbe più misteri, verità e segreti dell’Altissimo che tutti i santi Patriarchi, Profeti ed Apostoli e più che gli stessi angeli tutti insieme, conoscendo ogni cosa con maggiore profondità, chiarezza, stabilità e sicurezza. Con essa penetrava dallo stesso essere di Dio e dai suoi attributi fino alla minima delle sue opere e creature, senza che le rimanesse celato niente in cui non conoscesse la partecipazione della grandezza del Creatore e la sua divina disposizione e provvidenza. Per questo, solo Maria santissima poté dire pienamente che il Signore le aveva manifestato le cose invisibili e nascoste della sua sapienza, come affermò il Profeta. Non è possibile riferire gli effetti che queste rivelazioni intellettuali causavano nella sovrana Signora, ma tutta questa Storia servirà a spiegarli. Queste visioni nelle altre anime sono di ammirabile utilità e profitto, perché illuminano altamente l’intelletto, infiammano con incredibile ardore la volontà, disingannano, staccano, sollevano e spiritualizzano la creatura. Talvolta pare che anche lo stesso corpo terreno e pesante si alleggerisca e si assottigli, emulando santamente l’anima. La Regina del cielo in questo genere di visioni ebbe un altro privilegio che riferirò nel capitolo seguente.
Visioni immaginarie della Regina del cielo Maria santissima
634. Occupano il quarto posto le visioni immaginarie. Esse si formano per mezzo di immagini sensibili, causate o mosse nell’immaginazione o fantasia, le quali rappresentano gli oggetti in modo materiale e sensitivo, come cosa che si guarda con gli occhi del corpo, si ascolta, si tocca o si gusta. Sotto questa forma di visioni i profeti dell’antico Testamento – particolarmente Ezechiele, Daniele e Geremia – manifestarono grandi misteri che l’Altissimo rivelò loro per mezzo di esse. In simili visioni l’evangelista Giovanni scrisse la sua Apocalisse. Per la parte che hanno di sensitivo e corporeo, sono inferiori alle precedenti; per questo il demonio le può contraffare quanto alla rappresentazione, muovendo le immagini della fantasia, ma non le imita quanto alla verità egli che è padre della menzogna. Queste visioni si devono molto schivare, esaminandole con la dottrina certa dei santi e dei maestri, perché se il demonio conosce qualche vivo desiderio di esse nelle anime che si dedicano all’orazione ed alla devozione, se Dio lo permette, le ingannerà facilmente. Anzi, per quanto detestassero il pericolo di queste visioni, i santi stessi furono assaliti con esse dal demonio travestito da angelo di luce, come sta scritto nelle loro vite per nostra istruzione e ammonimento.
635. Dove queste visioni e rivelazioni immaginarie furono ricevute senza pericolo alcuno, con tutta sicurezza e con ogni qualità divina, fu in Maria santissima, la cui luce interiore non poteva venire oscurata né attaccata da tutta l’astuzia del serpente. La nostra Regina ebbe molte visioni di questo genere. In esse le furono manifestate molte opere che il suo Figlio santissimo faceva quando stava lontano da lei, come diremo nel corso della sua vita. Per visione immaginaria conobbe anche molte altre creature e misteri nelle occasioni in cui era necessario, secondo la volontà e la dispensazione dell’Altissimo. Siccome, poi, questo beneficio e gli altri che la Principessa del cielo riceveva avevano fini altissimi, in ordine tanto alla sua santità, purezza e merito quanto al bene della Chiesa in cui questa madre della grazia era maestra e cooperatrice della redenzione, gli effetti di queste visioni e della loro comprensione erano ammirabili e portavano sempre incomparabili frutti di gloria dell’Altissimo ed aumento di nuovi doni e nuove grazie nell’anima santissima di Maria. Dirò quanto suole succedere nelle altre creature con queste visioni parlando di quelle corporee, perché di queste due specie si deve formare uno stesso giudizio.
Visioni divine corporee di Maria santissima
636. L’ultimo e quinto grado delle visioni e rivelazioni è quello che avviene per mezzo dei sensi corporali esteriori; per questo, tali visioni si chiamano corporee. Possono succedere in due maniere. L’una è propriamente e veramente corporea, cioè quando con corpo reale e dotato di peso si presenta alla vista o al tatto qualche cosa dell’altra vita, come Dio, un angelo, un santo, il demonio, un’anima o altro. Si forma a tale scopo, per opera e virtù degli angeli buoni o cattivi, qualche corpo immateriale ed apparente, il quale, benché non sia corpo naturale e vero di colui che rappresenta, è veramente un corpo di aria condensata con le sue dimensioni quantitative. Ci può essere un altra maniera di visione corporea più impropria e come illusoria del senso della vista, cioè quando non è corpo reale quello che si vede, ma sono certe immagini di corpo, di colore e simili, che un angelo può causare negli occhi alterando l’aria circostante. Colui che le riceve giudica di vedere qualche corpo reale presente, mentre esso non c’èì e ci sono solo immagini con le quali si altera la vista con un inganno ad essa impercettibile. Questo genere di visioni illusorie non è proprio degli angeli buoni né delle apparizioni divine, anche se è possibile che lo sia e tale poté essere la voce che udì Samuele. Ordinariamente, però, le simula il demonio per quello che contengono di inganno, specialmente per gli occhi. Per questo, come anche perché la Regina non ebbe questo tipo di visioni, parlerò soltanto di quelle veramente corporali, che ella aveva.
637. Nella Scrittura si trovano molte visioni corporee avute dai Santi e dai Patriarchi. Adamo vide Dio rappresentato dall’angelo, Abramo i tre angeli, Mosè il roveto e molte volte il Signore stesso. Hanno avuto molte volte visioni corporee ed immaginarie anche dei peccatori, come Caino e Baldassar; che vide la mano sul muro. Tra le visioni immaginarie, il Faraone ebbe quella delle vacche e Nabucodonosor quella dell’albero 35 e della statua; ed altre simili si trovano nelle divine Scritture. Da questo si conosce che per queste visioni corporee ed immaginarie non si ricerca santità in colui che le riceve. È vero, però, che chi ha qualche visione immaginaria o corporea senza ottenere luce su di essa non si chiama profeta; la visione non è perfetta rivelazione in colui che vede o riceve solo le immagini sensitive, ma in colui che ne ha anche la comprensione, che, come disse Daniele, è necessaria nella visione. Così furono profeti Giuseppe e lo stesso Daniele, ma non il Faraone, Baldassar e Nabucodonosor. Come visione, poi, sarà più elevata ed eccellente quella che verrà con comprensione più grande ed alta, anche se quanto a ciò che appare sono superiori quelle che rappresentano Dio e la sua Madre santissima, e dopo quelle dei santi secondo i loro gradi.
638. Per ricevere visioni corporee è certo che i sensi si devono trovare disposti. Quanto a quelle immaginarie, molte volte Dio le manda in sogno, come fece con il santissimo Giuseppe sposo di Maria purissima, con i re Magi, con il Faraone e con altri. A volte si possono ricevere anche stando nei sensi corporali, perché essi non disturbano. Il modo più comune e connaturale a queste visioni ed a quelle intellettuali, però> è che Dio le comunichi in qualche estasi o rapimento dai sensi esteriori, perché allora le facoltà interiori si trovano più raccolte e disposte per la comprensione delle cose sublimi e divine, anche se i sensi esteriori sono soliti essere di minore impedimento nelle visioni intellettuali che in quelle immaginarie, perché queste sono più vicine all’esteriore di quelle dell’intelletto. Per questa ragione, quando le rivelazioni intellettuali sono immagini infuse o quando l’affetto non ci toglie i sensi, si ricevono molte volte altissime rivelazioni di misteri grandi e soprannaturali senza perdere i sensi.
639. Nella Regina del cielo questo succedeva molte volte e quasi frequentemente, perché, sebbene avesse molte estasi per la visione beatifica – per la quale sono sempre necessarie nei viatori – ed anche per alcune visioni intellettuali ed immaginarie, ordinariamente rimaneva nei suoi sensi; tuttavia, in tale stato aveva rivelazioni più alte che non tutti i Santi ed i Profeti nelle loro maggiori estasi, nelle quali videro tanti misteri. Neppure per le visioni immaginarie i sensi esteriori disturbavano la nostra grande Regina, perché il suo grande cuore e la sua estesa sapienza non venivano arrestati dagli effetti di ammirazione o di amore che sono soliti rapire i sensi in tutti gli altri Santi e Profeti. Che sua Maestà abbia avuto visioni corporee degli angeli risulta dall’annunciazione del santo arcangelo Gabriele. Sebbene, poi, nel corso della sua vita santissima gli Evangelisti non ne accennino altre, il giudizio prudente e cattolico non può dubitarne, poiché la Regina dei cieli e degli angeli doveva essere servita dai suoi vassalli, come in seguito diremo spiegando il continuo ossequio che le facevano quelli della sua custodia ed altri in forma corporale e visibile ed in modo diverso, come si vedrà nel capitolo seguente.
640. Le altre anime devono essere molto circospette e guardinghe in questo genere di visioni corporali, perché sono soggette a pericolosi inganni ed illusioni del serpente antico. Chi non ne avrà mai desiderio eviterà gran parte del pericolo. Se, poi, trovandosi l’anima scevra da questo e da altri affetti sregolati, le accadrà qualche visione corporale o immaginaria, si trattenga molto dal credere e dall’eseguire ciò che vuole la visione, perché sarebbe segno molto cattivo. È proprio del demonio il volere subito, senza riflessione e consiglio, che vi si dia credito e si ubbidisca; non suggeriscono questo gli angeli santi, come maestri di ubbidienza, verità, prudenza e santità. Altri indizi e segni per conoscere la sicurezza e verità o l’inganno di queste visioni si ricavano dalla loro causa e dai loro effetti; ma non mi trattengo in questo, per non allontanarmi dal mio intento e perché mi rimetto ai dottori e maestri.
Insegnamento della Regina del cielo
641. Figlia mia, la luce che hai ricevuto in questo capitolo ti offre una norma certa su cui regolarti nelle visioni e rivelazioni del Signore. Consiste in due cose. L’una nel sottoporle con cuore umile e sincero al giudizio ed all’esame dei tuoi padri spirituali e superiori, domandando all’Altissimo con viva fede che dia loro luce, affinché intendano la sua volontà divina ed in tutto te la insegnino. L’altra sta nel tuo intimo e consiste nel considerare attentamente gli effetti che le visioni e rivelazioni producono, per discernerle con prudenza e senza inganno. Se chi opera in esse è la virtù divina sentirai, infatti, che questa, infiammandoti di amore casto e riverente verso l’Altissimo, ti muoverà e indurrà a prendere coscienza della tua bassezza, a detestare la vanità terrena, a desiderare il disprezzo delle creature, a patire con allegrezza, ad amare la croce e portarla con cuore coraggioso e magnanimo, a desiderare l’ultimo posto, ad amare chi ti perseguiterà, a temere il peccato ed aborriilo anche se molto leggero, ad aspirare a ciò che c’è di più puro, perfetto e raffinato nella virtù, a contrastare le tue inclinazioni, ad unirti al sommo e vero Bene. Questi saranno segni infallibili che è veramente l’Altissimo che ti visita per mezzo delle sue rivelazioni, insegnandoti ciò che c’è di più santo nella legge cristiana ed il modo più perfetto di imitare lui e me.
.642. Per non tralasciare di mettere in pratica questo insegnamento che la benignità dell’Altissimo ti offre, carissima, non dimenticarlo mai e non perdere di vista il beneficio che egli ti ha fatto istruendoti con tanto amore e tanta tenerezza. Rinuncia ad ogni attenzione e consolazione umana, ai diletti ed ai piaceri che il mondo ti offre. Resisti con forte risolutezza a tutto ciò che chiedono le inclinazioni terrene, benché siano cose lecite e piccole, perché io voglio che tu, voltando le spalle a qualunque cosa sensibile, ami solo il patire. Ti hanno insegnato, ti insegnano e ti insegneranno questa scienza e filosofia divina le visite dell’Altissimo, per mezzo delle quali tu sentirai la forza del fuoco divino, che non si deve mai estinguere in te per tua colpa o tiepidezza. Sta’ attenta, dilata il tuo cuore e cingiti di fortezza per ricevere e per operare cose grandi. Non venire meno alla fede in queste ammonizioni, ma credile costantemente, apprezzale e scrivile nel tuo cuore con umile affetto e con stima nell’intimo della tua anima, come inviate dal tuo Sposo che è fedelissimo e come donate da me che sono la tua Maestra e signora.
CAPITOLO 15
Si spiega un altro genere di visione e comunicazione che Maria santissima aveva con gli angeli santi che l’assistevano.
643. Tanta è la forza e l’efficacia della grazia divina e dell’amore che causa nella creatura che può cancellare in lei l’immagine del peccato e dell’uomo terreno e formare un essere nuovo a immagine dell’uomo celeste, la cui vita sia nei cieli, intendendo, amando ed operando come creatura non terrena, ma celeste e divina. La forza dell’amore, infatti, ruba il cuore e l’anima dal soggetto che sta animando e li pone e trasforma in quello che amano. Questa verità cristiana, creduta da tutti, intesa dai dotti e sperimentata dai santi, nella nostra grande Regina e signora si deve considerare compiuta con privilegi così singolari che non si può comprendere o spiegare né con l’esempio di altri santi né con l’intelletto degli angeli. Maria santissima, come madre del Verbo, era signora di tutto il creato; ma, essendo immagine viva del suo Figlio unigenito, ad imitazione di lui usò così poco delle creature visibili, delle quali era signora, che nessuno ebbe di loro meno parte di lei, tranne quel tanto che fu precisamente necessario per il servizio dell’Altissimo e per la vita naturale del suo Figlio santissimo e sua.
644. A tale dimenticanza ed a tale allontanamento da ogni cosa terrena doveva corrispondere la vita in ciò che era celeste; questa, poi, doveva essere proporzionata alla dignità di Madre di Dio e di signora dei cieli. La relazione con gli uomini era debitamente trasformata nella comunicazione con gli angeli. Per questo era necessario e conseguente che la Regina e signora degli angeli fosse singolare e privilegiata nel servizio dei suoi vassalli, trattando e comunicando con loro in modo differente da quello di tutte le altre creature umane, per quanto sante. Nel capitolo ventitreesimo del primo libro ho detto qualcosa circa le apparizioni ordinarie e diverse con cui gli angeli santi ed i serafini destinati ed assegnati per sua custodia si manifestavano alla nostra Regina e signora; nel capitolo precedente, poi, ho spiegato in modo generale le maniere e le forme delle visioni divine che sua Altezza aveva. Devo solo avvertire che, sempre in quella sfera e specie di visioni, le sue erano molto più eccellenti e divine nella sostanza, nel modo e negli effetti che causavano nella sua anima santissima.
645. Per questo capitolo ho riservato un altro modo più singolare e privilegiato concesso dall’Altissimo alla sua Ma dre santissima per comunicare con i santi angeli della sua custodia e con gli altri che da parte dello stesso Signore in diverse occasioni la visitavano. Questo genere di visione e comunicazione era quello che le gerarchie angeliche hanno fra loro; in esse ciascuno degli spiriti celesti conosce gli altri per se stessi senza altra immagine che muova il suo intelletto fuorché la medesima sostanza e natura dell’angelo che è conosciuto. Inoltre, gli angeli superiori illuminano quelli inferiori, informandoli dei misteri nascosti, che l’Altissimo rivela e manifesta loro immediatamente, affinché tale conoscenza si vada derivando e comunicando dal più alto al più basso; questo ordine, infatti, si addice alla grandezza e maestà infinita del supremo Re e governatore di tutto il creato. Da ciò si intenderà come questa illuminazione o rivelazione tanto ordinata sia tutt’altro dalla gloria essenziale degli angeli santi, sia perché quest’ultima la ricevono tutti immediatamente da Dio, la cui visione e fruizione si comunica a ciascuno in misura dei suoi meriti, sia perché un angelo non può rendere un altro essenzialmente beato, illuminandolo o rivelandogli qualche mistero, perché in tal caso l’illuminato non vedrebbe Dio faccia a faccia e senza questo non potrebbe essere beato né conseguire il suo fine ultimo.
646. Siccome, però, l’oggetto è infinito ed è specchio volontario, essendo lo stesso Dio, oltre a quanto appartiene alla conoscenza beatifica dei santi, ha infiniti segreti e misteri, che può rivelare ed in effetti rivela, specialmente per il governo della sua Chiesa e del mondo. È in queste illuminazioni che si osserva l’ordine gerarchico che dico. Essendo esse fuori della gloria essenziale, negli angeli l’esserne privi non si chiama ignoranza né privazione di conoscenza, ma assenza o mancanza di conoscenza; e la rivelazione si chiama illuminazione, purgazione o purificazione da tale assenza di conoscenza. Accade – a nostro modo di intendere – come se i raggi del sole penetrassero molti cristalli posti in ordine, i quali parteciperebbero tutti di una medesima luce comunicata dai primi fino agli ultimi, toccando sempre prima ai più immediati. Solo una differenza si trova in questo esempio, cioè che i vetri o cristalli rispetto ai raggi si comportano passivamente, senza altra attività che quella del sole, che li illumina tutti con una sola azione, mentre gli angeli santi sono passivi nel ricevere l’illuminazione dai superiori ed allo stesso tempo attivi nel comunicarla agli inferiori. Comunicano queste illuminazioni con lode, ammirazione ed amore, poiché tutto deriva dal supremo sole di giustizia, Dio eterno ed immutabile.
647. l’Altissimo introdusse la sua Madre santissima in questo ordine ammirabile di rivelazioni divine, affinché godesse dei privilegi che hanno come loro propri i servitori del cielo. A questo scopo, per illuminarla destinò i serafini dei quali ho parlato nel capitolo quattordicesimo del primo libro, che erano tra i più alti e vicini a Dio. Avevano questo incarico anche altri angeli della sua custodia, secondo quanto la volontà divina disponeva, quando e come era necessario e conveniente. La loro e nostra Regina conosceva per se stessi tutti questi angeli ed altri, senza dipendenza dai sensi e dalla fantasia e senza impedimento del corpo mortale e terreno. Mediante questa vista e conoscenza i serafini e gli altri angeli la illuminavano e purificavano, rivelando alla loro Regina molti misteri che per questo ricevevano dall’Altissimo. Benché questo genere di visioni intellettuali e di illuminazioni non fosse continuo in Maria santissima, fu molto frequente, specialmente quando per causarle maggiori meriti e diversi sentimenti di amore il Signore le si nascondeva o si allontanava, come dirò più innanzi. Allora gli angeli eseguivano con maggiore attività e frequenza questo servizio, continuando rordine secondo il quale si illuminavano gli uni gli altri fino ad arrivare alla Regina, dove terminava.
648. Questo modo d’illuminazione non derogava alla dignità di Madre di Dio e di signora degli angeli, perché in questo favore e nella maniera di parteciparne non si deve badare alla nobiltà e santità della nostra celeste principessa, nella quale era superiore a tutti gli ordini angelici, ma allo stato ed alla condizione della sua natùra, in cui ella era inferiore, perché viatrice e di natura umana, corporea e mortale. Per questo, vivendo in una carne passibile e con la necessità naturale dell’uso dei sensi, venire sollevata al modo di essere e di agire degli angeli fu un grande privilegio, benché degno della sua santità e dignità. Io credo che la mano onnipotente dell’Altissimo abbia esteso questo favore ad altre anime nella vita mortale, benché non così frequentemente come alla sua Madre santissima, né con simile abbondanza di luce, né con altre qualità tanto eccellenti come nella regina. Se molti Dottori non senza grande fondamento concedono la visione beatifica a san Paolo, a Mosè e ad altri santi, sarà molto più credibile che alcuni viatori abbiano avuto questa conoscenza delle nature angeliche. Questo beneficio, infatti, non è altro che vedere intuitivamente la sostanza dell’angelo; così, quanto a questa visione, tale chiarezza concorda con il primo tipo di visioni di cui ho detto nel capitolo precedente e, quanto all’essere intellettuale, con il terzo spiegato sopra, benché non si effettui per mezzo di immagini impresse.
649. Veramente questo beneficio non è ordinario né comune, ma molto raro e straordinario; così, ricerca nell’anima grande disposizione di purezza e limpidezza di coscienza. Non può stare insieme con affetti terreni né con volontarie imperfezioni né con effetti del peccato, poiché l’anima per entrare negli ordini degli angeli ha bisogno di una vita più angelica che umana; se mancasse, infatti, questa somiglianza e concordanza di sentimenti, si scorgerebbe una terribile sproporzione fra gli estremi di questa unione. Tuttavia, con la grazia divina la creatura, benché di corpo terreno e corruttibile, può negarsi tutta alle sue passioni ed inclinazioni depravate e morire al visibile cancellandone le immagini e la memoria, così da vivere più nello spirito che nella carne. Quando arriverà a godere della vera pace, tranquillità e quiete dello spirito, che apportino una serenità dolce, amorosa e soave con il sommo Bene, allora sarà meno indisposta per venire sollevata alla visione degli spiriti angelici con chiarezza intuitiva, per ricevere da loro le rivelazioni divine, che essi si comunicano fra sé, e per avvertire gli effetti ammirabili che da questa visione derivano.
650. Quelli della nostra celeste Regina, essendo proporzionati alla sua purezza ed al suo amore, non possono essere compresi dalla mente umana. Incomparabile era la luce divina che riceveva dalla vista dei serafini, perché in un certo modo riverberava in loro 1 immagine di Dio come in specchi spirituali e purissimi, in cui Maria santissima la conosceva, con i suoi attributi e con le sue perfezioni infinite. In alcuni effetti le si manifestava anche, in modo ammirabile, la gloria che gli stessi serafini godevano, perché di questo molto si conosce vedendo chiaramente la sostanza dell’angelo. Dalla vista di tali oggetti era tutta accesa nella fiamma dell’amore divino e rapita molte volte in estasi miracolose. Qui con i medesimi serafini ed angeli prorompeva in cantici di incomparabile gloria e lode di Dio, con meraviglia degli stessi spiriti celesti. Sebbene, infatti, fosse illuminata da loro nel suo intelletto, nella volontà li lasciava molto inferiori e, con maggiore efficacia di amore che loro, velocemente saliva ed arrivava ad unirsi all’ultimo e sommo Bene, da cui immediatamente riceveva nuovi influssi del torrente della divinità con cui era alimentata 3 . Se i serafini non avessero avuto presente l’oggetto infinito che era il principio ed il termine del loro amore beatifico, avrebbero potuto essere discepoli di Maria santissima loro regina nell’amore divino, come ella era loro discepola nelle illuminazioni dell’intelletto che riceveva.
651. Inferiore a questo genere di visione immediata delle nature spirituali ed angeliche, e comune ad altre anime, è la visione intellettuale per immagini infuse nel modo della visione astrattiva di Dio, di cui sopra ho’ detto. La Regina del cielo ebbe alcune volte questo modo di visione angelica, ma non tanto ordinariamente come l’altro, perché, sebbene per le altre anime giuste questo beneficio di conoscere gli angeli ed i santi per immagini intellettuali infuse sia molto raro e stimabile, nella Regina degli angeli non era necessario, dato che ella comunicava con loro e li conosceva più altamente, tranne quando il Signore disponeva che si nascondessero e le mancasse quella vista immediata per maggiore merito ed esercizio; allora, li vedeva con visioni intellettuali o immaginarie, come ho detto nel capitolo precedente. Nelle altre anime queste visioni angeliche per immagini producono effetti divini, perché quegli esseri celesti sono conosciuti come effetti ed ambasciatori del supremo Re e con loro l’anima ha dolcissimi colloqui intorno al Signore ed a quanto c’è di celeste e terreno, venendo su tutto illuminata, istruita, corretta, guidata, diretta e spinta a sollevarsi all’unione d’amore perfetta con Dio e ad operare ciò che vi è di più puro, perfetto, santo ed elevato in materia di cose spirituali.
Insegnamento della Regina del cielo Marta santissima
652. Figlia mia, ammirabili sono l’amore, la fedeltà e la cura degli spiriti angelici nell’assistere i mortali nelle loro necessità; e molto abominevoli sono la dimenticanza, l’ingratitudine e la villania degli uomini nel non riconoscere il debito che hanno verso di loro. Nelle profondità segrete dell’Altissimo, il cui volto vedono con chiarezza beatifica, questi spiriti celesti conoscono l’infinito e paterno amore del Padre che sta nei cieli per gli uomini terreni e lì stimano in modo giusto e degno il sangue dell’Agnello, con il quale gli uomini sono stati riscattati 5 , conoscendo così quanto valgoho le anime redente con il tesoro della Divinità. Da questo nascono negli angeli santi la vigilanza e l’attenzione che pongono nel custodire e beneficare le anime, tanto stimate dall’Altissimo, che le ha raccomandate alla loro custodia. Voglio che tu intenda come attraverso questo altissimo ministero degli angeli i mortali riceverebbero influssi grandi di luce e di favori incomparabili del Signore, se ad essi non mettessero impedimento con i peccati e le abominazioni e con la dimenticanza di un beneficio tanto stimabile. Poiché chiudono la strada che Dio con ineffabile provvidenza ha scelto per incamminarli verso la felicità eterna, sono molti quelli che si dannano e che con la protezione degli angeli si salverebbero, se non rendessero inutile questo beneficio e rimedio.
653. O figlia mia carissima, poiché molti uomini sono così pigri nel considerare le opere paterne del mio figlio e Signore, da te io voglio in questo una singolare riconoscenza, avendoti egli tanto liberalmente favorita assegnandoti angeli che ti custodiscano. Stai, dunque, con loro ed ascolta con riverenza i loro insegnamenti. Lasciati guidare dalla loro luce, rispettali come ambasciatori dell’Altissimo e chiedi il loro favore affinché, purificata dalle tue colpe, libera dalle imperfezioni ed infiammata di amore divino, tu possa giungere ad uno stato così spiritualizzato da essere atta a trattare con loro ed essere loro compagna, partecipando delle loro divine illuminazioni, che l’Altissimo non ti negherà se da parte tua ti disponi come io voglio.
654. Poiché hai desiderato sapere, con approvazione dell’ubbidienza, la ragione per cui gli angeli santi comunicavano con me con tanti generi di visioni, ti rispondo spiegandoti meglio ciò che con la luce divina hai inteso e scritto. La causa di questo fu da parte dell’Altissimo il suo liberale amore verso di me nel favorirmi e da parte mia lo stato di viatrice che io avevo nel mondo, perché questo non poteva essere né conveniva che fosse uniforme nelle azioni delle virtù, per mezzo delle quali la divina sapienza disponeva di sollevarmi sopra ogni cosa creata. Dovendo procedere, come viatrice umana e dotata di sensi, con varietà di avvenimenti e di opere virtuose, alcune volte operavo come spiritualizzata e senza impedimento di sensi, e gli angeli trattavano ed agivano con me come tra sé, mentre altre volte era necessario patire ed essere afflitta nella parte sensibile dell’anima o nel corpo ed altre ancora soffrivo necessità, solitudine ed abbandono interiore. Secondo la vicissitudine di questi effetti e stati, ricevevo i favori e le visite degli angeli, con i quali molte volte parlavo attraverso l’intelligenza, altre per visione immaginaria, altre per mezzo del corpo e dei sensi, come richiedevano lo stato ed il bisogno e come disponeva l’Altissimo.
655. Le mie facoltà e i miei sensi furono illuminati e fortificati in tutte queste maniere da influssi e favori divini, affinché io conoscessi per esperienza tutte le attività di questo genere e per mezzo di tutte ricevessi gli influssi della grazia soprannaturale. Circa questi favori, figlia mia, voglio farti osservare che, anche se l’Altissimo verso di me fu così magnifico e misericordioso, nel favorirmi tanto la sua giustizia guardò non solo alla mia dignità di madre, ma anche alle mie opere ed alla disposizione con la quale collaborai da parte mia, assistendomi la sua divina grazia. Di fatto, se egli santificò tutte le mie facoltà con tante grazie, visioni ed illuminazioni, fu anche a titolo di ricompensa, perché esse per amore suo si erano private di tutto ciò che era dilettevole, umano e terreno, avendo io allontanato i miei sensi da ogni rapporto con le creature, avendo nnunciato a tutto ciò che era sensibile e creato ed essendomi rivolta al sommo bene dandomi con tutte le mie forze e la mia volontà in potere del solo suo amore. Quello che in premio delle mie opere io ricevetti nella carne mortale fu così tanto che tu non lo puoi intendere né scrivere, mentre vivi nella carne. Tanta è la liberalità e la bontà dell’Altissimo che fin d’ora ci dà questo premio come pegno di quello che ci tiene riservato nella vita eterna.
656. È vero che, quanto a me, il braccio dell’Onnipotente con questi mezzi intese dispormi in modo che, cominciando fin dalla mia concezione, tutto si andasse preparando in me degnamente per l’incarnazione del Verbo nel mio grembo e le mie facoltà ed i miei sensi restassero santificati e proporzionati al legame e alla comunicazione che io dovevo avere con il Verbo incarnato. Tuttavia, l’Altissimo è tanto fedele con chi sa guadagnarsi la sua benevolenza che anche alle altre anime non negherebbe i suoi benefici e favori secondo l’equità della sua divina provvidenza, se si disponessero a mia imitazione vivendo non secondo la carne, ma con vita spirituale, pura e lontana dal contagio delle cose terrene.
CAPITOLO 16
Continua l’infanzia di Maria santissima nel tempio; il Signore la predispone a soffrire tribolazioni e muore suo padre san Gioacchino.
657. Abbiamo lasciato la nostra celeste principessa Maria alla metà del primo anno della sua infanzia nel tempio, volgendo altrove il discorso per dare qualche notizia delle virtù che, bambina negli anni ma adulta in sapienza, esercitava con le sue facoltà, come anche dei doni e delle rivelazioni divine che riceveva dalla mano dell’Altissimo.
La santissima bambina cresceva in età ed in grazia davanti a Dio e agli uomini, ma con tale corrispondenza che sempre la devozione superava la natura; mai la grazia si misurò con l’età, ma con la volontà divina e con gli alti fini ai quali la destinava l’impetuosa corrente della Divinità, che si andava a riversare e placare in questa città di Dio. L’Altissimo continuava ad assicurare i suoi doni e favori rinnovando sempre le meraviglie del suo braccio onnipotente, come se fossero state riservate per la sola Maria santissima. Sua Altezza corrispondeva in quella tenera età, colmando il cuore del Signore di perfetto ed adeguato compiacimento e gli angeli santi del cielo di ammirazione. Gli spiriti celesti osservavano tra l’Altissimo e la piccola Principessa una certa gara e competizione. Il potere divino, per arricchirla, traeva ogni giorno dai suoi tesori benefici nuovi ed antichi 1 riservati solo per Maria purissima; ella d’altra parte, siccome era terra benedetta, non solo non lasciava infruttuoso in se stessa il seme dell’eterna parola e dei suoi doni e favori, né solamente dava cento per uno come i più grandi santi, ma con stupore del cielo, sebbene tenera bambina, superava in amore, gratitudine, lode ed in tutte le virtù possibili i più eccelsi ed ardenti serafini, senza che ci fossero tempo, luogo, occasione o ministero in cui non operasse il sommo della perfezione allora a lei possibile.
658. Nei teneri anni della sua infanzia, quando già si era manifestata la sua capacità di leggere le Scritture, lo faceva molto spesso. Essendo piena di sapienza, confron~va nel suo cuore ciò che cono&ceva per mezzo delle rivelazioni divine con ciò che nelle Scritture era manifestato per beneficio di tutti. Durante questa lettura e questi arcani confronti, faceva suppliche ed orazioni continue e fervorose per la redenzione del genere umano e per l’incarnazione del Verbo. Leggeva più di frequente le profezie di Isaia e di Geremia ed i Salmi, trovando lì maggiormente espressi e ripetuti i misteri del Messia e della legge di grazia. Su ciò che di essi intendeva e comprendeva, poi, era solita interrogare gli angeli e proporre loro questioni altissime ed ammirabili. Molte volte parlava del mistero dell’umanità santissima del Verbo con incomparabile tenerezza, prendendo come oggetto dei suoi discorsi il suo dover essere bambino, nascere e venire allevato come gli altri uomini e dover nascere da madre vergine, crescere, patire e morire per tutti i figli di Adamo.
659. A queste parole e domande i suoi angeli e serafini rispondevano illuminandola di nuovo, confermandola e riscaldando il suo cuore ardente e verginale con nuove fiamme di amore divino, ma nascondendole sempre la sua dignità altissima, benché ella si offrisse molte volte con umiltà profondissima come schiava del Signore e della felice madre che egli doveva scegliere per nascere nel mondo. Altre volte, interrogando gli angeli santi, diceva con ammirazione: «Principi e signori miei, è possibile che il Creatore debba nascere da una creatura e la debba avere come madre, che l’Onnipotente ed infinito, colui che ha creato i cieli e non può essere contenuto in essi, debba chiudersi nel grembo di una donna e rivestirsi di una natura così limitata quale è quella terrena? Dunque colui che veste di bellezza gli elementi, i cieli ed i medesimi angeli si deve rendere passibile? E deve esserci nella nostra stessa natura umana una donna tanto fortunata da poter chiamare suo figlio colui che l’ha fatta dal niente e da sentirsi chiamare madre da colui che è increato e creatore di tutto l’universo? Oh, miracolo inaudito! Come avrebbe potuto la capacità terrena concepire un’idea così magnifica, se lo stesso Autore non l’avesse manifestata? Oh, meraviglia delle sue meraviglie! Oh, felici e beati gli occhi che lo vedranno ed i secoli che lo meriteranno!». A queste esclamazioni piene di amore gli angeli rispondevano spiegandole i misteri divini, eccetto quello che riguardava lei.
660. Ognuno dei sublimi, umili e ardenti affetti della bambina Maria era quel «capello della sposa» che feriva il cuore di Dio con saetta di amore così dolce che, se non fosse stato conveniente attendere l’età adatta ed opportuna per concepire e partorire il Verbo incarnato, il compiacimento dell’Altissimo – a nostro modo di intendere – non avrebbe potuto contenersi senza prendere subito la nostra umanità nel suo grembo. Non lo fece, benché ella dalla sua fanciullezza quanto alla grazia e ai meriti ne fosse già capace, per dissimulare e nascondere meglio il mistero dell’incarnazione e affinché l’onore della sua Madre santissima stesse ancora più al sicuro, corrispondendo il suo parto verginale all’età naturale delle altre donne. Il Signore, intanto, si rendeva sopportabile questa dilazione con gli affetti e con i graditi cantici che – a nostro modo di intendere – attentamente ascoltava dalla sua Figlia e sposa, la quale in breve doveva essere degna madre dell’eterno Verbo. Furono tanti e così sublimi i cantici ed i salmi composti dalla nostra Regina e signora che, secondo la luce datami su questo, se fossero stati scritti la santa Chiesa ne avrebbe molti più di quelli che ha ricevuto da tutti i Profeti ed i Santi. Maria purissima, infatti, espresse e comprese tutto ciò che essi scrissero ed oltre a ciò intese e disse molto di più di quanto essi giunsero a conoscere. L’Altissimo, però, dispose che la sua Chiesa militante avesse con sovrabbondanza negli scritti degli Apostoli e dei Profeti tutto quello che era necessario e riservò scritto nella sua mente divina tutto ciò che aveva rivelato alla sua Madre santissima, per manifestarne poi nella Chiesa trionfante quella parte che sarebbe stata conveniente alla gloria accidentale dei beati.
661. In ciò la benignità divina volle anche assecondare la volontà santissima di Maria nostra signora, la quale, per accrescere la sua prudentissima umiltà e per lasciare ai mortali questo raro esempio in virtù tanto eccellenti, sempre volle nascondere il segreto del Re. Quando, poi, fu necessario rivelarlo in qualche parte per ossequio di sua Maestà e per vantaggio della Chiesa, procedette con prudenza così divina che, essendo maestra, mai cessò di essere umilissima discepola. Di fatto nella sua fanciullezza consultava gli angeli santi e seguiva il loro consiglio; dopo la nascita del Verbo incarnato, tenne come esempio e maestro in tutte le sue azioni lo stesso suo unigenito; alla fine dei suoi misteri, dopo che fu salito al cielo, ella che era la grande Regina dell’universo ubbidiva agli Apostoli, come nel corso della Storia diremo. Fu questa una delle ragioni per cui san Giovanni evangelista copri di tanti enigmi i misteri che scrisse circa questa signora nell’Apocalisse, affinché si potessero intendere tanto della Chiesa militante quanto di quella trionfante.
662. L’Altissimo determinò che la pienezza delle grazie e delle virtù di Maria precedesse il culmine dei suoi meriti, estendendosi ad opere ardue e magnanime, nel modo possibile ai suoi teneri anni. Quindi, in una delle visioni nelle quali le si manifestò, sua Maestà le disse: «Sposa e colomba mia, io ti amo con infinito amore e voglio che tu faccia ciò che è più gradito agli occhi miei e dia intera soddisfazione al mio desiderio. Tu non ignori, figlia mia, il tesoro nascosto che racchiudono le tribolazioni e le pene che la cieca ignoranza dei mortali aborrisce. Tu sai che il mio Unigenito, quando si vestirà della natura umana, insegnerà il cammino della croce con la parola e con l’esempio, lasciandola in eredità ai miei eletti, come egli stesso la sceglierà per sé. Tu sai che stabilirà la legge di grazia sul fondamento fermo e nobile dell’umiltà e pazienza della croce, perché così richiede la condizione della natura degli uomini, tanto più dopo che per iJ peccato è rimasta depravata e male inclinata. È anche conforme alla mia equità e provvidenza che i morta-li giungano all’acquisto della corona di gloria attraverso le tribolazioni e la croce, mezzi con i quali la dovrà meritare anche il mio Figlio unigenito incarnato. Per tale ragione intenderai, sposa mia, che, avendoti eletta con la mia destra per mia delizia ed avendoti arricchita con i miei doni, non sarebbe giusto che la mia grazia stesse oziosa nel tuo cuore, che il tuo amore fosse privo del suo frutto o che ti mancasse l’eredità dei miei eletti. Per questo, voglio che ti disponga a patire tribolazioni e pene per amore mio».
663. A questa proposta l’invincibile principessa Maria rispose con cuore più costante di quello di tutti i santi e martiri. Disse a sua Divinità e maestà: «Signore Dio mio e re altissimo, ho dedicato tutte le mie azioni e facoltà e l’essere stesso che ho ricevuto dalla vostra bontà infinita alla vostra divina volontà, perché questa si adempia in tutto secondo l’elezione della vostra infinita sapienza e bontà. Se, o Signore, permettete anche a me di fare qualche scelta, io voglio solo patire per vostro amore fino alla morte. Vi supplico, mio Bene, di fare di questa vostra schiava un sacrificio ed olocausto di pazienza gradito agli occhi vostri. Io confesso il mio debito verso di voi, o Signore e Dio onnipotente e liberalissimo, perché nessuna delle creature vi deve quanto me; anzi, tutte insieme non vi sono tanto obbligate quanto me sola, sebbene io sia la più insufficiente a contraccambiare come desidero la vostra magnificenza. Perciò, se accettate il patire a titolo di una qualche ricompensa, vengano pure su di me le tribolazioni e tutti i dolori della morte. Vi chiedo solo la vostra divina protezione e, prostrata dinanzi al trono reale della vostra maestà infinita, vi supplico di non abbandonarmi. Ricordatevi, Signore mio, delle promesse fedeli che per mezzo dei nostri antichi Padri e Profeti avete fatto a tutti i vostri fedeli, cioè di favorire il giusto, stare con il tribolato, consolare l’afflitto, fargli ombra e difenderlo nella prova della tribolazione. Vere sono le vostre parole, infallibili e certe le vostre promesse, tanto che il cielo e la terra passeranno prima che passino esse, né la malizia della creatura potrà estinguere la vostra carità verso colui che spererà nella vostra misericordia. Si compia dunque perfettamente in me la vostra santa volontà».
664. L’Altissimo accettò questo sacrificio mattutino della tenera sposa e bambina Maria santissima e con aspetto compiaciuto le disse: «Bella sei nei tuoi pensieri, figlia del Principe, colomba mia e diletta mia; io accolgo i tuoi desideri, graditi agli occhi miei, e voglio che nel loro adempimento tu sappia come già si avvicina il tempo in cui, per mia divina disposizione, tuo padre Gioacchino deve passare dalla vita mortale a quella immortale ed eterna. La sua agonia sarà molto breve, subito riposerà in pace e sarà posto con i santi nel limbo, dove attenderà la redenzione di tutto il genere umano». Questo avviso del Signore non alterò né turbò il cuore regale della principessa del cielo, Maria; ma, siccome l’amore dei figli verso i genitori è un giusto debito della natura, e nella santissima bambina esso aveva tutta la sua perfezione, ella non poteva evitare il dolore naturale di restare priva del suo santissimo padre Gioacchino, che santamente amava come figlia. La tenera e dolce bambina senù questa dolorosa commozione, compatibile con la serenità del suo magnanimo cuore. Per questo, operando in tutto con grandezza d’animo e dando alla grazia ed alla natura ciò che a ciascuna spettava, fece una fervorosa orazione per suò padre Gioacchino. Chiese al Signore che, come onnipotente e Dio vero, lo guardasse nel transito della sua felice morte, difendendolo dal demonio specialmente in quell’ultima ora, conservandolo e stabilendolo nel numero degli eletti, poiché nella sua vita aveva confessato e magnificato il suo santo nome. Quindi, per vincolare maggiormente a ciò sua divina Maestà, la fedelissima figlia si offrì di patire per il suo padre santissimo Gioacchino tutto quello che il Signore avrebbe ordinato.
665. Sua Maestà accettò questa preghiera e consolò la divina Bambina, assicurandola che egli avrebbe assistito suo padre, come misericordioso e pietoso rimuneratore di quelli che lo amano e lo servono, e che lo avrebbe collocato tra i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe. Quindi, la predispose di nuovo a ricevere e patire tribolazioni. Otto giorni prima della morte del santo patriarca Gioacchino, Maria santissima ebbe un nuovo avviso del Signore, con cui egli le dichiarò il giorno e l’ora in cui doveva monre. Così in effetti accadde, dopo solo sei mesi da quando la nostra Regina era entrata a vivere nel tempio. Avvertita di questo, sua Altezza chiese ai dodici angeli – dei quali si è detto sopra che sono quelli che san Giovanni nomina nell’Apocalisse – di assistere suo padre Gioacchino nella sua infermità e di confortarlo e consolarlo in essa, come fecero. Poi, per l’ultima ora del suo transito inviò tutti quelli della sua custodia e domandò al Signore che li rendesse visibili a suo padre per sua maggiore consolazione. L’Altissimo glielo concesse subito ed in tutto assecondò il desiderio della sua eletta, unica e perfetta, cosicché il grande patriarca, il fortunato Gioacchino, vide i mille angeli santi che custodivano sua figlia Maria. La grazia dell’Onnipotente superò le sue domande ed i suoi desideri, poiché per suo ordine gli angeli dissero a Gioacchino queste parole:
666. «Uomo di Dio, l’Altissimo ed onnipotente sia tua salvezza eterna e ti invii dal suo luogo santo l’aiuto necessario ed opportuno per la tua anima. Maria, tua figlia, ci manda per assisterti in questa ora, nella quale devi pagare al tuo Creatore il debito della morte naturale. Ella èfedelissima e intercede con potenza per te presso l’Altissimo, nel cui nome e nella cui pace puoi partire consolato e felice da questo mondo, poiché ti ha fatto padre di una figlia così benedetta. Benché sua Maestà incomprensibile, per i suoi imperscrutabili giudizi, non ti abbia manifestato fino ad ora la dignità nella quale deve costituire tua figlia, vuole che tu la conosca adesso, perché lo magnifichi e lodi, unendo il giubilo del tuo spirito per tale notizia al dolore ed alla tristezza naturale della morte. Maria, tua figlia e nostra regina, è l’eletta dal braccio onnipotente affinché nel suo grembo si vesta di carne e forma umana il Verbo divino. Ella sarà la felice Madre del Messia e la benedetta fra tutte le donne, superiore ad ogni creatura ed inferiore solamente a Dio. Si, la tua figlia fortunatissima deve essere la riparatrice di quanto il genere umano ha perduto per la prima colpa e l’alto monte su cui si deve formare e stabilire la nuova legge di grazia. Ecco, dunque, che tu lasci già nel mondo la sua restauratrice ed una figlia per mezzo della quale Dio gli prepara il rimedio opportuno. Per questo, puoi partirne con giubilo della tua anima. Ti benedica il Signore da Sion e ti dia l’eredità dei santi, affinché tu arrivi alla visione ed al godimento della felice Gerusalemme».
667. Quando gli angeli santi dissero a Gioacchino queste parole, si trovava presente la sua santa sposa Anna, che lo assisteva al suo capezzale; ella udì ed intese tutto per divina disposizione. In quello stesso momento il santo patriarca Gioacchino perse la parola e, entrando per il sentiero comune ad ogni uomo, cominciò ad agonizzare con una meravigliosa lotta fra il giubilo di una così lieta notizia ed il dolore della morte. In questo conflitto, con le facoltà interiori fece molti e fervorosi atti di amore per Dio, di fede, di ammirazione, di lode, di riconoscenza, di umiliazione e di altre virtù, che esercitò eroicamente. Assorto così nella conoscenza appena ricevuta di un mistero così divino, giunse al termine della sua vita naturale con la preziosa morte dei santi. La sua anima santissima fu portata dagli angeli al limbo dei santi Padri e dei giusti. Così, l’Altissimo ordinava che, per nuova consolazione e luce della lunga notte in cui questi vivevano, l’anima del santo patriarca Gioacchino fosse il nuovo messaggero di sua Maestà, mandato ad annunziare a quei giusti che già spuntava il giorno dell’eterna luce e già ne era apparsa l’aurora, cioè Maria santissima figlia sua e di Anna, da cui sarebbe ben presto nato il sole della Divinità, Cristo redentore di tutto il genere umano. I santi Padri ed i giusti del limbo ascoltarono queste felici notizie e per il giubilo che ne sentirono innalzarono nuovi cantici di lode all’Altissimo.
668. Come ho riferito sopra, questa felice morte del patriarca san Gioacchino avvenne mezzo anno dopo che sua figlia Maria santissima era entrata nel tempio; quindi, ella aveva tre anni e mezzo d’età quando restò senza padre naturale sulla terra. L’età del patriarca era di sessantanove anni, ripartiti così: a quarantasei anni prese in sposa sant’Anna; venti anni dopo il matrimonio ebbero Maria santissima; aggiungendo i tre anni e mezzo che aveva allora sua Altezza, questi anni tutti insieme fanno sessantanove e mezzo, giorno più o giorno meno.
669. Defunto il santo patriarca, padre della nostra Regina, gli angeli santi della sua custodia tornarono subito alla sua presenza e le diedero notizia di tutto ciò che era avvenuto nel transito di suo padre. Subito la prudentissima bambina si rivolse a sollecitare con orazioni la consolazione di sua madre sant’Anna, domandando al Signore che la guidasse ed assistesse come padre nella solitudine in cui si trovava per la mancanza del suo sposo Gioacchino. Sant’Anna inviò a lei l’avviso della morte, che diedero prima alla maestra della nostra divina Principessa, affinché dandole tale notizia la consolasse, come fece. La sapientissima bambina stette ad ascoltarla, come se non sapesse ancora nulla, con gratitudine, con pazienza e con la calma di una regina. Siccome, però, in tutto era perfettissima, se ne andò subito al tempio a rinnovare a Dio l’offerta della lode, della preghiera, dell’umiltà, della pazienza e di altre virtù, procedendo sempre con passi tanto veloci quanto belli agli occhi di Dio. Poi, per conferire anche a queste azioni, come a tutte le altre, la massima perfezione, pregò i santi angeli di accompagnarla e sostenerla nel glorificare l’Altissimo.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
670. Figlia mia, pensa molte volte nel segreto del tuo cuore alla stima che devi avere delle tribolazioni, veri benefici che l’arcana provvidenza di Dio dispensa con giustizia ed equità ai mortali. Questi sono i giudizi giusti in se stessi, più stimabili delle pietre preziose e dell’oro e più dolci del favo del miele per chi giudica secondo ragione. Voglio, anima, che tu sappia che per la creatura patire ed essere tribolata senza colpa, o non per la colpa, è beneficio tale che non può esserne degna senza grande misericordia dell’Altissimo; invece, che Dio faccia patire qualcuno per le sue colpe, benché sia misericordia, è molto giusto.
671. Se l’oro fugge dal crogiolo, il ferro dalla lima, il grano dal mulino o dalla trebbia, l’uva dal torchio, tutti saranno inutili e non si conseguirà il fine per cui furono creati. Quanto, dunque, si ingannano i mortali nel supporre di poter divenire puri e degni di godere Dio eternamente rimanendo pieni di brutti vizi e di abominevoli colpe, senza il crogiolo e la lima delle tribolazioni! Anche se fossero innocenti non sarebbero capaci né degni di conseguire il bene infinito ed eterno per premio e per corona, per cui, come saranno tali dimorando nelle tenebre in disgrazia di Dio? Eppure, i figli della perdizione impiegano tutta la loro sollecitudine nel conservarsi indegni e nemici di Dio e nel rigettare da sé la croce dei dolori, che sono il cammino per fare ritorno a Dio. Essi, infatti, sono luce per l’intelletto, disinganno delle apparenze, alimento dei giusti, mezzo unico della grazia, prezzo della gloria e soprattutto eredità legittima che il mio figlio e Signore elesse per sé e per i suoi, nascendo e vivendo sempre in mezzo alle sofferenze e morendo in croce.
672. È da ciò, figlia mia, che tu devi misurare il valore del patire, che i mondani non arrivano a capire perché sono indegni di questa conoscenza divina e, ignorandola, la disprezzano. Rallegrati e consolati nelle tribolazioni e, quando l’Altissimo si degnerà di inviartene qualcuna, procura di uscirle subito incontro, per riceverla come benedizione sua e come pegno del suo amore e della sua gloria. Dilata il tuo cuore con la magnanimità e la costanza, affinché nella sofferenza tu rimanga la stessa che sei nella prosperità e nei propositi. Poiché il Signore ama chi è lo stesso nel dare come nell’offrire, non compiere con malinconia ciò che hai promesso con allegrezza. Sacrifica, dunque, il tuo cuore e le tue facoltà in olocausto di pazienza. Anzi, quando l’Altissimo nel luogo del tuo pellegrinaggio ti tratterà come sua e ti segnerà con il sigillo della sua amicizia, che sono le pene e la croce delle tribolazioni, canta la sua giustizia con nuovi cantici di allegrezza e di lode.
673. Sappi intanto, o carissima, che il mio Figlio santissimo ed io desideriamo avere tra le creature qualche anima di quelle che sono arrivate al cammino della croce, a cui poter insegnare ordinatamente questa divina scienza, deviandola dalla sapienza mondana e diabolica in cui i figli di Adamo con cieca pertinacia cercano di avanzare allontanando da sé la salutare disciplina delle tribolazioni. Se, dunque, desideri essere nostra discepola, entra in questa scuola dove si insegnano la dottrina della croce e come cercare solo in questa il riposo e le vere delizie. Con questa sapienza non possono stare né l’amore terreno dei piaceri sensibili e delle ricchezze né la vana ostentazione e pompa che affascina gli occhi ottenebrati dei mondani, avidi di vanagloria e di quella falsa distinzione e grandezza che si attira l’ammirazione degli ignoranti. Tu invece, figlia mia, ama e scegli per te la parte migliore, cioè di essere nascosta e dimenticata dal mondo. Forse che io non ero Madre dello stesso Dio incarnato e quindi signora di ogni cosa creata insieme al mio figlio santissimo? E forse che egli non è una maestà infinita? Eppure, io fui poco conosciuta ed egli fu molto disprezzato dagli uomini. Se non fosse questo l’insegnamento più stimabile e sicuro, non l’avremmo dato con l’esempio e con le parole. Senza dubbio questa è luce che risplende nelle tenebre, amata dagli eletti ed aborrita dai reprobi.
CAPITOLO 17
La principessa del cielo Maria santissima comincia a patire nella sua fanciullezza; Dio le si nasconde; suoi dolci lamenti di amore.
674. L’Altissimo, che con infinita sapienza dispone della vita dei suoi con misura e peso, determinò di esercitare la nostra divina Principessa con alcune tribolazioni proporzionate alla sua età ed al suo stato di piccolina, benché sempre grande nella grazia, che voleva accrescerle con tale mezzo e con essa la gloria. La nostra bambina era piena di sapienza e di grazia, ma conveniva che vi aggiungesse lo studio dell’esperienza, affinché, avanzando in essa, imparasse la scienza del patire, la quale con l’uso arriva alla sua perfezione ed al suo massimo valore. Nel breve corso dei suoi teneri anni aveva goduto delle delizie dell’Altissimo e delle sue carezze, come anche delle dimostrazioni di affetto degli angeli santi, dei suoi genitori, della sua maestra e dei sacerdoti, perché agli occhi di tutti era graziosa ed amabile. Conveniva ormai che del bene che possedeva cominciasse ad avere una nuova conoscenza, quella che si acquista con la lontananza e la privazione di detto bene e con il nuovo uso delle virtù causato da tale privazione, confrontando lo stato dei favori e delle carezze con quello della solitudine, dell’aridità e delle tribolazioni.
675. La prima delle sofferenze che la nostra Principessa patì fu la sospensione da parte del Signore delle continue visioni che le comunicava; questo dolore fu tanto maggiore quanto più era nuovo ed insolito e quanto più sublime e prezioso era il tesoro che ella perdeva di vista. Le si nascosero anche gli angeli santi e con il ritiro di tanti e così eccellenti e divini oggetti, che nel medesimo tempo si occultarono alla sua vista benché non si allontanassero dalla sua compagnia e protezione, quell’anima purissima restò, a suo parere, come deserta e sola nella notte oscura della lontananza del suo amato, che prima la rivestiva di brillantissima luce.
676. Tale cosa risultò nuova alla nostra Bambina, poiché il Signore, sebbene l’avesse già avvertita che avrebbe ricevuto tribolazioni, non le aveva indicato quali sarebbero state. Siccome, poi, il candido cuore della semplicissima Colomba niente poteva pensare né operare che non fosse frutto della sua umiltà e carità incomparabile, si disfaceva tutta nell’esercizio di queste due virtù. Con l’umiltà attribuiva alla sua ingratitudine il non avere meritato la presenza ed il possesso del bene perduto e con l’infiammato amore lo sollecitava e cercava con tali e tanti sentimenti pieni di amore e con tale dolore che non ci sono parole sufficienti per spiegarli. Allora, in quel nuovo stato, si rivolse tutta al Signore e gli disse:
677. «Dio altissimo e Signore dell’intero creato, infinito nella bontà e ricco di misericordia, padrone mio, confesso che una così vile creatura non ha potuto meritare i vostri favori e la mia anima con intimo dolore si spaventa del vostro dispiacere e della propria ingratitudine. Se questa si è frapposta per eclissarmi il sole che mi animava, vivificava ed illuminava e se io sono stata tiepida nel corrispondere a tanti benefici, Signore e pastore mio, fate che io conosca la colpa della mia scortese noncuranza. Se, poi, come ignorante e semplice pecorella, non ho saputo essere grata né operare ciò che era più accetto agli occhi vostri, me ne sto prostrata a terra e nella polvere, affinché voi, mio Dio che abitate nelle altezze, vi degniate di sollevarmi come povera e derelitta. Le vostre mani onnipotenti mi hanno plasmato e non potete ignorare di che cosa siamo formati e in quali vasi depositate i vostri tesori. L’anima mia viene meno nella sua amarezza ed in assenza di voi che siete la sua dolce vita nessuno può dare sollievo al mio deliquio. Ah, dove me ne andrò lontano da voi? Dove volgerò i miei occhi senza la luce che mi illuminava? Chi mi preserverà dalla morte senza voi che siete la vita?».
678. Si rivolgeva pure agli angeli santi e, continuando senza cessare i suoi lamenti di amore, parlava loro dicendo: «Principi celesti, messaggeri del supremo Re delle altezze ed amici fedelissimi dell’anima mia, perché anche voi mi avete abbandonata? Perché mi private della vostra dolce vista e mi negate la vostra presenza? Non mi stupisco, però, miei signori, del vostro sdegno, mentre per mia disgrazia ho meritato di incorrere in quello del vostro e mio Creatore. Luminari dei cieli, illuminate in questa mia ignoranza il mio intelletto e, se ho colpa, correggetemi; ma impetrate dal mio Signore che mi perdoni. Nobilissimi servitori della celeste Gerusalemme, doletevi della mia afflizione e del mio abbandono. Ditemi: dove è andato il mio amato? Ditemi: dove si è nascosto? Ditemi: dove lo ritroverò senza andare vagando qua e là dietro i greggi di tutte le creature? Ohimé, nemmeno voi mi rispondete, sebbene tanto cortesi, nemmeno voi che certamente conoscete dove si trova il mio Sposo, perché mai vi allontana dal contemplare il suo volto e la sua bellezza».
679. Si rivolgeva, poi, al resto delle creature e con rinnovate ansie di amore parlava loro e diceva: «Senza dubbio anche voi, che siete armate contro gli ingrati verso Dio, sarete sdegnate, essendo riconoscenti, contro chi non è stato tale. Se per la bontà del mio e vostro Signore mi ammettete tra voi, benché io sia la più vile, non potete però soddisfare il mio desiderio. Molto belli e spaziosi siete voi, o cieli; belli e risplendenti anche voi, pianeti ed astri tutti; grandi ed invincibili voi, elementi; e tu, o terra, sei adornata e vestita di piante odorose e di erbe; innumerevoli sono i pesci delle acque ed ammirabili i flutti del mare; leggeri e veloci gli uccelli; nascosti i minerali; forti gli animali; e il tutto unito insieme forma una bella scala ininterrotta ed una dolce armonia per arrivare alla conoscenza del mio amato. Sono, però, lunghi giri questi per chi ama e, quando sono passata rapidamente attraverso tutti, alla fine mi fermo e mi trovo lontana dal mio Bene. Con la conoscenza certa che mi date voi, o creature, della sua bellezza senza misura, non si acquieta affatto il mio slancio, non si tempra il dolore, non si modera la mia pena; anzi, cresce il mio affanno, aumenta il desiderio, s’infiamma il cuore e nell’amore non saziato la mia vita terrena viene meno. Oh, quanto mi sarebbe più dolce morire che vivere senza te, mia vita! Oh, quanto mi è penosa la vita senza te, mia anima e mio diletto! Ora che farò? Dove mi volgerò? E come vivo ora? Anzi, come non muoio, dal momento che mi è venuto a mancare colui che è la mia vita? Quale virtù senza di lui mi sostiene? Voi tutte, o creature, che con la vostra costante conservazione e con le vostre perfezioni mi date tanti segni del mio Signore, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore!».
680. La nostra divina Signora formava nel suo cuore e ripeteva con la lingua molti altri discorsi, che non possono essere compresi dal pensiero creato, perché solo la sua prudenza ed il suo amore giunsero a ponderare e sentire quanto comporti l’allontanamento di Dio da un anima che lo abbia già conosciuto e gustato in tale grado. Se gli angeli, quasi presi da gelosia nel loro santo amore, si meravigliavano di vedere in una semplice creatura e tenera bambina tanta varietà di atti prudentissimi di umiltà, fede ed amore e di sentimenti e slanci del cuore, chi potrà mai spiegare il gradimento ed il compiacimento del Signore per l’anima della sua eletta e per tutte le sue elevazioni, ciascuna delle quali feriva il cuore di sua Maestà e procedeva da un privilegio di grazia e di amore maggiore di quello concesso ai medesimi serafini? Se tutti loro, poi, alla vista della Divinità non sapevano esercitare né imitare le azioni di Maria santissima né osservare le leggi dell’amore con tanta perfezione come lei quando lo stesso Dio le stava lontano e nascosto, chi potrà mai descrivere quale era il compiacimento che riceveva tutta la santissima Trinità quando le era presente? Mistero imperscrutabile è questo per la nostra limitatezza; però, dobbiamo riverirlo con ammirazione ed ammirarlo con riverenza.
681. La nostra candidissima Colomba non trovava dove potersi posare, dando pace al suo cuore; i suoi sentimenti, infatti, con inconsolabili gemiti e reiterati voli, si libravano su tutte le creature. Andava molte volte al Signore con lamenti e sospiri di amore; quindi, ritornava, sollecitava gli angeli della sua custodia e risvegliava tutte le creature, come se tutte fossero dotate di ragione; poi, saliva con il suo intelletto illuminato e con il suo ardentissimo affetto a quell’altissima abitazione dove prima il sommo Bene le veniva incontro e godevano reciprocamente le sue ineffabili delizie. Intanto, il supremo Signore ed innamorato sposo, che si lasciava allora possedere ma non godere dalla sua diletta, sempre infiammava più e più quel purissimo cuore con il solo possederlo, aumentando i suoi meriti e possedendolo di nuovo con diversi e misteriosi doni, affinché più posseduto più ancora l’amasse, e più amato e posseduto lo cercasse per vie nuove e con rinnovate ansie di infiammato amore. «L’ho cercato – diceva la divina Principessa – e non l’ho trovato; mi alzerò di nuovo e, guardando meglio per le vie e le piazze della città di Dio, rinnoverò le mie ricerche. Le mie mani hanno stillato mirra, le mie attenzioni non bastano e le mie opere nulla possono se non aumentare il mio dolore. Ho cercato l’amato del mio cuore; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Già il mio diletto si è allontanato. L’ho chiamato, ma non mi ha risposto; ho girato intorno gli occhi per ritrovarlo, ma le guardie della città, le sentinelle e tutte le creature mi hanno molestato ed offeso con la loro vista. Figlie di Gerusalemme, anime sante e giuste, io vi prego, io vi supplico, se incontrate il mio diletto, di dirgli che vengo meno e che muoio per amore suo».
682. La nostra Regina per alcuni giorni si profuse continuamente in questi dolci ed amorosi lamenti. Quell’umile nardo spargeva fragranze così soavi, temendosi disprezzato dal Signore, mentre questi, invece, si stava riposando nella parte più nascosta del suo fedelissimo cuore. La divina Provvidenza, per sua maggiore gloria e per fare sovrabbondare i meriti nella sua sposa, prolungò questo termine per qualche tempo. In esso la divina Signora patì più tormenti spirituali che tutti i santi insieme, poiché ondeggiava tra i sospetti ed i timori di avere perso Dio e di essere caduta dalla sua grazia per propria colpa; e nessuno può giungere a conoscere quanta e quale fosse l’angoscia di quell’ardente cuore, che tanto seppe amare. Solo Dio poteva ponderarla e, per sentirla, lasciava il suo cuore tra quei sospetti e timori di averlo smarrito per propria colpa.
Insegnamento che mi diede la mia Signora e regina
683. Figlia mia, qualunque bene è tanto più stimato dalle creature quanto più si sa che esso è un vero bene. Poiché il vero Bene è uno solo e tutti gli altri non sono che beni falsi ed apparenti, soltanto questo vero e sommo bene deve essere conosciuto come tale ed apprezzato. Tu giungerai a stimarlo e ad amarlo come merita quando lo gusterai, lo conoscerai e lo apprezzerai sopra ogni cosa creata. Il dolore di perderlo è proporzionato a questa stima e a questo amore; così, intenderai in parte gli effetti che io provai quando si allontanò da me il Bene eterno, lasciandomi dubbiosa se per caso lo avessi colpevolmente perduto. Senza dubbio, molte volte il dolore di questi sospetti e la forza dell’amore mi avrebbero privata della vita, se il Signore stesso non me l’avesse conservata.
684. Pondera, dunque, adesso quale dovrebbe essere il dolore di perdere Dio realmente per i peccati, se in un anima che non sente i cattivi effetti della colpa può causare tanto dolore la lontananza del vero bene, benché in realtà non l’abbia perso, anzi lo possegga anche se nascosto all’occhio della sua ragione. Questa sapienza, però, non penetra nella mente degli uomini carnali; anzi, con stoltissima cecità essi stimano l’apparente e finto bene e si dolgono ed affliggono quando manca loro. Del sommo e vero Bene, poi, non si formano concetto né stima alcuna, perché non lo hanno mai gustato né conosciuto. Sebbene il mio Figlio santissimo abbia scacciato da loro questa spaventosa ignoranza contratta per il primo peccato, meritando loro la fede e la carità per conoscere e gustare in qualche modo il bene che non avevano mai sperimentato, pure, ahimè, perdono la carità e la pospongono a qualunque diletto; e la fede, restando oziosa e morta, non giova. Così vivono i figli delle tenebre, come se dell’eternità avessero soltanto una finta o dubbiosa cognizione.
685. Temi, o anima, questo pericolo, su cui non si riflette mai abbastanza. Vigila e ivi sempre attenta e preparata contro i nemici, che non dormono mai. La tua meditazione di giorno e di notte sia su come devi lavorare per non perdere il sommo Bene che ami. Non ti conviene dormire né sonnecchiare tra nemici invisibili. Se, poi, talvolta il tuo amato ti si nasconderà, aspetta con pazienza e cercalo con sollecitudine senza riposare, perché non conosci i suoi occulti giudizi. Intanto, durante il tempo della lontananza e della tentazione, tieni preparato l’olio della carità e della retta intenzione, affinché non ti manchi e tu non sia riprovata con le vergini stolte e smemorate.
CAPITOLO 18
Si continua a parlare di altre tribolazioni della nostra Regina e pecialmente di alcune che il Signore permise per mezzo delle creature e del serpente antico.
686. L’Altissimo continuava a rimanere nascosto agli occhi della Principessa del cielo. A tale tormento, che era il maggiore, ne aggiunse anche altri, perché, infiammandosi sempre più il castissimo amore della divina Signora, le si accrescesse il merito, la grazia e la corona. Intanto il grande drago e serpente antico Lucifero stava attento alle opere eroiche di Maria santissima e, sebbene di quelle interne non potesse essere testimone oculare, perché gli rimanevano nascoste, tuttavia guardava a quelle esteriori troppo sublimi e perfette per non tormentare la superbia e lo sdegno di questo invidioso nemico. Soprattutto lo crucciavano inconcepibilmente la purezza e la santità della bambina Maria.
687. Mosso dunque da questo furore, radunò un conciliabolo nell’inferno per consultare su questo affare i più ragguardevoli principi delle tenebre e, riunitili, propose loro questo ragionamento: «Il gran trionfo che oggi abbiamo nel mondo con la possessione di tante anime che abbiamo soggiogato alla nostra volontà, temo e sospetto che si debba vedere disfatto e annientato per mezzo di una donna e non possiamo ignorare questo pericolo, avendolo saputo al momento della nostra creazione ed essendoci stata in seguito notificata la sentenza che la donna ci avrebbe schiacciato il capo. Per questo ci conviene stare all’erta e non essere affatto trascurati. Avete già notizia di una bambina che è nata da Anna, va crescendo in età e ad un tempo si va segnalando nelle virtù. Io ho posto tutta la mia attenzione alle sue azioni ed opere e non ho riconosciuto, nel tempo in cui comunemente gli altri cominciano a ragionare e a sentire le passioni naturali, che in lei si scoprano gli effetti del nostro seme e della nostra malizia, come si scorge negli altri figli di Adamo. La vedo sempre composta e perfettissima, senza poterla piegare né indurre ai trastulli peccaminosi ed umani o naturali agli altri bambini. Da questi indizi sospetto che questa sia l’eletta ad essere la Madre di colui che deve farsi uomo».
688. «Però non posso persuadermi del tutto di ciò, perché ella è nata come gli altri, soggetta alle leggi comuni della creatura e i suoi genitori hanno fatto l’offerta e hanno pregato affinché a loro e a lei fosse condonata la colpa, quando è stata portata al tempio come tutte le altre bambine. Ciononostante, benché non sia l’eletta contro di noi, nella sua infanzia si scorgono grandi principi che promettono per l’avvenire celebre virtù e santità. Né io posso tollerare il suo modo di procedere con tanta prudenza e discrezione. La sua sapienza mi fa ribollire, la sua modestia mi irrita, la sua pazienza mi fa sdegnare, la sua umiltà mi opprime e mi annienta e in tutto ella mi provoca ad un intollerabile furore, cosicché io l’aborrisco più di tutti gli altri figli di Adamo. Ha un non so che di virtù speciale, per cui alcune volte, volendo avvicinarmi a lei, non posso, e se le insinuo delle suggestioni, non le riceve. Insomma, tutta la mia solerzia con lei sinora si è vanificata, rimanendo senza effetto alcuno. Qui importa a tutti trovare un rimedio ed impiegare la massima cura affinché il nostro principato non vada in rovina. Io desidero più la distruzione di quest’anima sola che non quella di tutto il mondo. Or dunque ditemi voi: quali mezzi, quali provvedimenti prenderemo noi per superarla e per farla finita una volta per tutte con costei? Io da parte mia offro i premi della mia liberalità a chi sappia farlo».
689. Si esaminò il caso in quel confuso conciliabolo, organizzato soltanto a nostro danno, e, tra i molti pareri, uno di quegli orribili consiglieri disse: «Principe e signore nostro, non ti crucciare per una cosa così da poco, perché una debole donnicciola non sarà tanto potente e invincibile quanto lo siamo noi tutti che ti seguiamo. Tu ingannasti Eva, precipitandola dal felice stato in cui si trovava, e per mezzo di lei vincesti il suo capo Adamo. Dunque, come non supererai questa sua discendente nata dopo la sua prima caduta? Ripromettiti fin d’ora la vittoria e per ottenerla si determini, benché resista molte volte, di perseverare nel tentarla; se sarà necessario che deroghiamo perciò in qualche cosa alla nostra grandezza e presunzione, non vi si badi, purché la inganniamo; e se ciò non bastera, faremo in modo di toglierle l’onore o anche di troncarle la vita».
690. Altri demoni rivolsero ancora a Lucifero le seguenti parole: «Abbiamo esperienza, o principe potente, che per rovinare molte anime è mezzo efficace il valerci di altre creature. Questo è un ottimo espediente per operare tutto ciò che con le nostre sole forze non possiamo. Per questa via disporremo e provocheremo la rovina di questa donna, osservando perciò il tempo e le circostanze più opportune che ci presenterà ella medesima col suo procedere. Ma soprattutto importa che applichiamo la nostra sagacia ed astuzia a far sì che cominci a perdere una volta la grazia con qualche peccato. Così, appena le mancherà questo appoggio e questo scudo dei giusti, la perseguiteremo e tra tutti la cattureremo come colei che, trovandosi sola senza Dio in se stessa, non ha chi possa liberarla dalle nostre mani. Quindi ci daremo da fare per farla disperare del rimedio».
691. Lucifero gradì questi consigli e incoraggiamenti che gli diedero i suoi seguaci, cooperatori nella malvagità. Ed egli a sua volta inculcò e comandò loro che i più astuti nella malizia accompagnassero lui che si costituiva di nuovo condottiero di così ardua impresa, non volendo affidarla ad altre mani che alle proprie. Così, quantunque assistessero altri demoni, Lucifero in persona fu sempre il primo nel tentare Maria e il suo Figlio santissimo: questi nel deserto ed entrambi nel corso della loro vita, come vedremo più avanti.
692. Per tutto questo tempo la nostra divina Principessa permaneva nelle sue pene ed afflizioni per la lontananza del suo amato, quand’ecco che la squadra infernale la investì in gran numero per tentarla. Ma la virtù divina, che le faceva scudo, impedì gli sforzi di Lucifero perché non potesse avvicinarsi troppo a lei, né mettere in opera tutto ciò che intentava; solo, col permesso dell’Altissimo, le insinuava nella mente molte suggestioni e vari pensieri di somma iniquità e malizia. Infatti il Signore non impedì che la Madre della grazia, sebbene senza peccato, fosse tentata in tutto, come doveva succedere in seguito al suo Figlio santissimo.
693. In questo nuovo conflitto non si può facilmente concepire quanto patisse il purissimo e candidissimo cuore di Maria vedendosi circondata da suggestioni così aliene e lontane dalla sua ineffabile purezza e dall’altezza dei suoi divini pensieri. E poiché il serpente antico vide la gran Signora piangente e afflitta, si animò grandemente e concepì maggiori speranze, essendo accecato dalla sua stessa superbia, perché non conosceva il segreto del cielo. Perciò, animando i suoi infernali ministri, disse loro: «Perseguitiamola adesso, perseguitiamola, poiché si scorge che già otteniamo il nostro intento e già ella sente la tristezza, strada alla disperazione». In tale inganno l’assalirono con nuovi pensieri di scoraggiamento e di diffidenza, combattendola con terribili immaginazioni. Ma tutto invano, dato che la pietra della virtù generosa, quanto più è percossa con forza, tanto più manda fuori scintille e fuoco di amore divino. La nostra invincibile Regina rimase talmente superiore e immobile contro le squadre dell’inferno, che dentro di sé non si alterò affatto, né si lasciò influenzare da tante suggestioni, se non in quanto ne prese occasione per confermarsi ancor più nelle sue incomparabili virtù e per far avvampare maggiormente la fiamma del divino incendio di amore che ardeva nel suo cuore.
694. Il drago ignorava l’imperscrutabile sapienza e prudenza della nostra celeste Principessa, per cui, sebbene la riconoscesse forte e imperturbabile nelle sue facoltà e sebbene sentisse la resistenza della virtù divina, con tutto ciò perseverava nella sua antica superbia, dando assalto alla Città di Dio in diversi modi. Così questo astuto nemico, senza cambiare l’intenzione, cambiava le insidie e, tuttavia, le sue macchinazioni venivano sempre ad essere come quelle di una debole formica contro un muro diamantino. La nostra Principessa era quella donna forte, di cui il cuore del marito può fidarsi senza timore di restare deluso nei suoi desideri. Suo ornamento era la fortezza che la colmava di bellezza; sua veste, che aumentava il suo splendore, erano la purezza e la carità. L’immondo ed arrogante serpente non poteva soffrire questo oggetto, la cui vista lo accecava e turbava con sempre nuova confusione. Così decise di toglierle la vita e in ciò molto si sforzò tutta quella imponente schiera di spiriti maligni. In tale impresa impiegarono un certo tempo, senza però migliore riuscita che nelle altre.
695. La conoscenza di questa segreta e sacra battaglia mi causò grande ammirazione, considerando da una parte il grande furore di Lucifero contro Maria santissima nei suoi primi anni e, dall’altra, l’occulta e vigilante protezione dell’Altissimo per difenderla. Vedo quanto il Signore stesse attento alla sua eletta ed unica sposa fra le creature e osservo, allo stesso tempo, tutto l’inferno rivolto con furore contro di lei con un tale sdegno, quale fino allora non aveva posto in opera contro alcun’altra creatura; e la facilità con la quale il potere divino rendeva vana tutta la potenza e l’astuzia infernale. O più che infelice e misero Lucifero! Quanto è più grande la tua arroganza e superbia della tua forza! Per certo sei debole e inabile ad un’impresa così stolta; diffida ormai di te stesso e non ti ripromettere tanti trionfi, poiché una tenera bambina ti ha schiacciato il capo ed in tutto ti ha lasciato vinto e deluso. Confessa che poco vali e meno sai, poiché non hai conosciuto il più grande mistero del Re, dalla cui potenza sei stato umiliato con lo strumento stesso che hai disprezzato, cioè una donna per sua condizione naturale debole e bambina. Oh, come sarebbe grande la tua ignoranza, se i mortali si valessero della protezione dell’Altissimo, nonché dell’esempio, dell’imitazione e dell’intercessione di questa vittoriosa e trionfatrice Signora degli angeli e degli uomini!
696. Fra queste tentazioni e battaglie che si andavano alternando, era incessante e fervorosa l’orazione di Maria santissima, che diceva al Signore: «Ora, Dio mio altissimo, che sono nella tribolazione, starete con me; ora, che con tutto il mio cuore vi chiamo e custodisco i vostri precetti, arriveranno le mie domande ai vostri orecchi; ora, che patisco così gran violenza, risponderete per me. Voi, Signore e Padre mio, voi siete la mia fortezza e il mio rifugio e per il vostro santo nome mi libererete dal pericolo e mi guiderete per il cammino sicuro, sostenendomi come figlia vostra». Ripeteva anche molti misteri della sacra Scrittura, specialmente i salmi che parlano contro i nemici invisibili, e con queste armi insuperabili, senza perdere un atomo della pace, uniformità e conformità interna, anzi, confermandosi ancor più in essa, tenendo sollevato il suo purissimo spirito nelle altezze, combatteva, respingeva e vinceva Lucifero, con incomparabile compiacimento del Signore e con accrescimento dei suoi meriti.
697. Superate queste tentazioni e lotte, incominciò un nuovo duello del serpente per mezzo ed intervento delle creature. A questo scopo egli gettò nascostamente alcune scintille d’invidia e di gelosia contro Maria santissima nel cuore delle giovani sue compagne, che vivevano nel tempio. Il rimedio a questo contagio era ancor più difficile in quanto provocato dalla precisione con cui la nostra divina Principessa attendeva all’esercizio di tutte le virtù, crescendo in sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini. Infatti, quando punge l’ambizione, gli stessi splendori della virtù, che si vede in altri, abbagliano e offùscano l’intelletto, accendendo la fiamma dell’invidia. Il drago infondeva nell’animo di quelle ignare giovani molte suggestioni interiori, persuadendole che in presenza di quel sole, che era Maria santissima, esse restavano oscurate e poco stimate, che le loro negligenze venivano ad essere maggiormente notate dalla maestra e dai sacerdoti e che solo Maria sarebbe stata preferita nello stato e nelle richieste di matrimonio e nella stima di tutti.
698. Le compagne della nostra Regina accolsero nel loro cuore questa cattiva semente ed essendo poco pratiche ed esercitate nelle battaglie spirituali, la lasciarono tanto crescere che arrivò a mutarsi in una ripugnanza interiore contro la purissima Maria. Questo odio poi passò a sdegno, con cui la guardavano e trattavano non potendo soffrire la modestia della candida colomba, perché il drago incitava quelle incaute, rivestendole dello stesso furore che egli aveva concepito contro la madre delle virtù. Continuando poi la tentazione, venne a manifestarsi negli effetti, e le giovani giunsero a parlarne fra loro, non sapendo da quale spirito erano spinte. Perciò concertarono di molestare e perseguitare la Principessa del mondo, non conosciuta da loro per tale, sino a farla cacciare dal tempio. Per questo, chiamandola in disparte, le dissero parole molto offensive, trattandola in modo assai imperioso da simulatrice ed ipocrita, quasi che mirasse soltanto a guadagnarsi con artificio la grazia della maestra e dei sacerdoti e a screditare le altre compagne, mormorando contro di esse ed esagerando le loro mancanze, mentre ella era la più inutile di tutte; le dissero anche che per questo l’aborrivano come il demonio.
699. La prudentissima Vergine ascoltò queste e molte altre ingiurie senza turbarsi affatto e, con umiltà, rispose: «Amiche e signore mie, avete certamente ragione nel dire che io sono la più piccola e la più imperfetta di tutte, ma voi mie sorelle, come più avvedute, dovete perdonare i miei difetti ed ammaestrare la mia ignoranza, dirigendomi in modo che riesca a fare ciò che è meglio e a darvi soddisfazione. Io vi supplico, amiche, che quantunque sia tanto inutile, non mi neghiate la vostra grazia, né crediate di me che non desideri meritarla, perché vi amo e riverisco come serva, e lo sarò in tutto ciò in cui vi piacerà fare esperienza della mia buona volontà. Comandatemi, dunque, e ditemi ciò che da me volete».
700. Queste umili e soavi parole della modestissima regina Maria non ammorbidirono il cuore indurito delle sue amiche e compagne, possedute già dalla furiosa rabbia che il drago aveva contro di lei; anzi, questi, sdegnandosi maggiormente, le incitava ed irritava ancor più, come se col dolce antidoto s’inasprisse di più la morsicatura e il veleno serpentino sparso contro la donna, che gli era stata mostrata come segno grande nel cielo. Questa persecuzione continuò molti giorni, senza che l’umiltà, la pazienza, la modestia e la tolleranza della divina Signora bastassero a moderare l’odio delle sue compagne. Anzi, il demonio si spinse a infondere loro molte suggestioni piene di temerità, cioè che mettessero le mani sulla mansuetissima agnellina, la maltrattassero e le togliessero persino la vita. Ma il Signore non permise che pensieri tanto sacrileghi avessero effetto e il massimo a cui si spinsero fu l’ingiuriarla a parole, dandole alcune spinte. Questa battaglia avveniva in segreto senza che ne giungesse notizia alla maestra e ai sacerdoti; nel frattempo la santissima Maria acquistava incomparabili meriti e doni dall’Altissimo, per la materia che le si offriva di esercitare tutte le virtù verso sua Maestà e verso le creature che la perseguitavano e aborrivano. Verso queste fece atti eroici di carità ed umiltà, rendendo bene per male, benedizioni per maledizioni, fervide preghiere per bestemmie e praticando la divina legge in ciò che ha di più perfetto e sublime. Verso l’Altissimo esercitò le più eccellenti virtù, pregando per le creature che la perseguitavano, umiliandosi con ammirazione degli angeli, come se fosse stata la più vile dei mortali e meritevole di ciò che operavano contro di lei. Ella eseguiva tutte queste opere con tale perfezione da superare ogni giudizio umano, e con un tal merito da superare il merito più alto dei serafini.
701. Avvenne un giorno che quelle donne, invasate dalla tentazione diabolica, condussero la principessa Maria in una stanza isolata e, giudicando di poter agire indisturbate, la caricarono d’ingiurie e di offese smisurate per irritare la sua mansuetudine e distoglierla dalla sua immutabile modestia, facendole fare qualche gesto sgarbato. Ma non potendo la Regina delle virtù essere schiava di vizio alcuno nemmeno per un istante, mostrò più invincibile la sua pazienza quando era più necessaria, per cui rispose loro con tanta maggior grazia e dolcezza. Quelle, offese di non conseguire il loro malvagio intento, alzarono così alte grida che furono udite nel tempio, dove l’insolito baccano provocò grande sorpresa e confusione. Al rumore accorsero i sacerdoti e la maestra e, permettendo il Signore questa nuova afflizione della sua sposa, chiesero con gran severità la ragione di quella inquietudine. Poiché la mansuetissima colomba taceva, le altre giovani risposero con molto sdegno e dissero: «Maria di Nazaret, con la sua indole orribile, ci disturba e ci inquieta tutte e, quando non siete presenti, ci affligge e provoca; per cui, se non uscirà dal tempio, non sarà possibile mantenerci tutte in pace con lei. Se la sopportiamo diventa altera, se la riprendiamo si burla di tutte prostrandosi ai nostri piedi con finta umiltà, e poi con le sue mormorazioni semina la discordia e la confusione tra tutte noi».
702. I sacerdoti e la maestra condussero in un’altra stanza la Signora del mondo, e qui la ripresero con severità corrispondente al credito che avevano prestato in quel momento alle sue compagne e, avendola esortata ad emendarsi e a procedere come chi viveva nella casa di Dio, la minacciarono che, se non l’avesse fatto, l’avrebbero congedata e cacciata via dal tempio. Questo era il maggior castigo che potevano darle, quand’anche avesse avuto qualche colpa, mentre invece era innocente in tutto ciò che le si imputava. Chi avesse intelligenza per conoscere almeno in parte la profondissima umiltà di Maria santissima, intenderebbe qualcosa degli effetti che questi misteri operavano nel suo candidissimo cuore, perché ella si giudicava la più vile delle creature e la più indegna di vivere fra loro, indegna persino di calpestare la terra. A questa minaccia la prudentissima Vergine, tra le lacrime, rispose ai sacerdoti dicendo: «Signori, io gradisco il favore che mi fate col correggere ed istruire me, così imperfetta e vile, ma vi supplico di perdonarmi, giacché siete ministri dell’Altissimo, e di guidarmi in tutto, non tenendo conto dei miei difetti, in modo che io riesca meglio per l’avvenire a compiacere sua Maestà, nonché le mie sorelle e compagne, perché con la grazia del Signore propongo di nuovo di fare così e comincerò da oggi in poi».
703. La nostra Regina aggiunse altre ragioni, piene di soavissimo candore e dolcissima modestia, dopodiché la maestra e i sacerdoti la lasciarono, avvertendola di nuovo con lo stesso insegnamento nel quale ella era sapientissima maestra. Subito se ne andò dalle sue compagne e, prostrandosi ai loro piedi, domandò loro perdono, come se i difetti che le imputavano avessero potuto entrare in lei che era madre dell’innocenza. Esse allora l’accolsero meglio, giudicando che le sue lacrime fossero effetto del castigo e della riprensione dei sacerdoti e della maestra, che avevano attirati al loro intento sregolato. Di conseguenza il drago, che nascostamente ordiva questa tela, innalzò a maggior alterigia e presunzione gli incauti cuori di tutte quelle donne e, come avevano già fatto con i sacerdoti, proseguirono con maggiore audacia a screditare e a mettere loro contro la purissima Vergine. A tal fine escogitarono nuove frottole e menzogne con l’istinto del medesimo demonio, ma l’Altissimo non permise mai che si dicesse o si presumesse cosa molto grave o disdicevole di colei che egli aveva eletto Madre santissima del suo Unigenito. Permise solamente che lo sdegno e l’inganno delle giovani del tempio arrivasse ad esagerare molto alcuni piccoli, seppur finti, difetti che le imputavano, e al massimo che esse facessero alcuni gesti femminili e scomposti sufficienti a dichiarare la loro inquietudine. E ciò affinché, per tale irrequietezza e per i rimproveri della maestra e dei sacerdoti, la nostra umilissima Signora avesse occasione di esercitare le virtù, aumentare i doni dell’Altissimo e giungere al colmo dei meriti.
704. Ciò appunto faceva la nostra Regina con pieno compiacimento agli occhi del Signore, che si ricreava all’odore soavissimo di quell’umile nardo, maltrattato e disprezzato dalle creature che non lo conoscevano. Ella ripeteva i suoi lamenti e gemiti per la lontananza prolungata del suo diletto e in una di queste occasioni gli disse: «Sommo bene e Signore mio di misericordia infinita, se voi che siete il mio padrone e il mio creatore mi avete abbandonata, non è molto che tutto il resto delle creature mi aborrisca e si rivolti contro di me. Ben lo merita la mia ingratitudine ai vostri benefici, ma sempre vi riconosco e vi confesso mio rifugio e mio tesoro. Voi solo siete il mio bene, il mio amore, il mio riposo, e se siete tale, ed io invece vi tengo lontano, come potrà riposare il mio cuore afflitto? Le creature fanno con me ciò che devono, ma non giungono a trattarmi come merito, perché voi, Signore e Padre mio, nell’affliggere siete parco e nel premiare liberalissimo. Serva, o Signore, a scontare le mie negligenze il dolore di avervi io costretto a nascondervi al mio cuore, pagate con larga mano il bene che le vostre creature mi fanno guadagnare, obbligandomi a conoscere meglio la vostra bontà e la mia vita. Sollevate, o Signore, questa indigente dalla polvere della terra e rinnovate colei che è povera e vilissima tra le creature; veda io il vostro divino volto e sarò salva».
705. Non è possibile né necessario riferiré tutto ciò che accadde alla nostra grande Principessa in questa prova delle sue virtù. Basti dire per ora che ella può servire a noi da vivo esempio per sopportare con generosità di cuore qualunque tribolazione; a noi, dico, che abbiamo bisogno di pene e di duri colpi per soddisfare ai nostri peccati e per domare la nostra dura cervice col giogo della mortificazione. Non commise colpa, né si trovò inganno nella nostra innocentissima colomba, eppure con umile silenzio e tolleranza si contentò di essere disprezzata e perseguitata senza aver provocato ciò. Vergognamoci dunque, alla sua presenza, noi tutti che reputiamo insopportabile ingiuria, fino al punto di vendicarci, un’offesa insignificante! L’Altissimo avrebbe certamente potuto allontanare dalla sua eletta e Madre qualunque persecuzione e contrarietà; se però in questo avesse usato del suo potere, non lo avrebbe potuto manifestare nel conservarla illesa tra le persecuzioni, né le avrebbe dato pegni così sicuri del suo amore, né ella avrebbe ottenuto il dolce frutto di amare i nemici e i persecutori. Noi invece ci rendiamo indegni di tanto bene quando nelle prove alziamo il grido contro le creature ed il cuore superbo contro Dio, che in tutto le governa, non volendo assoggettarci al nostro creatore e salvatore, che sa ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra salvezza.
Insegnamento della regina del cielo Maria santissima
706. Poiché tu, figlia mia, vai riflettendo sull’esempio che si vuole ricavare da questi avvenimenti, io voglio appunto che questo ti serva da ammaestramento dottrinale da racchiudere nel tuo cuore con stima, allargandolo per ricevere con letizia le persecuzioni e le calunnie delle creature, se parteciperai a questo beneficio. I figli della perdizione, i quali servendo alla vanità non sanno qual tesoro sia il patire ingiurie e il perdonarle, si fanno un onore della vendetta, quantunque essa, anche nei termini della legge naturale, sia la maggiore viltà e il più brutto di tutti i vizi, perché si oppone più degli altri alla ragione naturale e nasce da cuore non umano, ma brutale e ferino. Al contrario, colui che perdona le ingiurie e le dimentica, benché non abbia la fede divina né la luce del Vangelo, per mezzo di questa magnanimità si fa superiore e come re della medesima natura, perché conserva di questa ciò che essa ha di più nobile ed eccellente e non paga il vilissimo tributo di farsi bestia irrazionale con la vendetta.
707. Infatti, se il vizio della vendetta si oppone tanto alla natura, considera ora, o carissima, quale opposizione avrà con la grazia e quanto odioso e spregevole sarà il vendicativo agli occhi del mio Figlio santissimo, che si fece uomo, morì e patì solo per perdonare e perché il genere umano ottenesse il perdono delle ingiurie commesse contro il medesimo Signore. A questa sua intenzione e alle sue opere, anzi alla sua stessa natura e bontà infinita, si oppone il vendicativo. Così facendo, egli distrugge completamente, per quanto dipende da lui, Dio stesso insieme con le sue opere. Perciò egli merita con questo peccato, in modo tutto particolare, che Dio distrugga lui. Tra colui che perdona e sopporta le ingiurie e il vendicativo, vi è la stessa differenza che c’è tra il figlio unico ed erede e il nemico mortale: questo provoca tutta la forza dell’indignazione divina e l’altro merita tutti i beni e li acquista, perché in questa grazia è immagine perfettissima del Padre celeste.
708. Voglio, o anima, che tu comprenda come il patire le ingiurie con uniformità di cuore e il perdonarle interamente per il Signore è cosa più gradita ai suoi occhi che se di tua volontà facessi rigide penitenze e spargessi il tuo stesso sangue. Umiliati, dunque, davanti a quelli che ti perseguitano, amali e prega per loro di vero cuore e con questo indurrai il cuore di Dio ad amarti, giungerai alla perfezione della santità e vincerai tutto l’inferno. Con l’umiltà e la mansuetudine io confondevo quel dragone che tutti perseguita: non potendo il suo furore tollerare quelle virtù, fuggiva dalla mia presenza più veloce della folgore. Così, mediante tali virtù, ottenni vittorie grandi per l’anima mia e gloriosi trionfi a esaltazione della Divinità. Quando qualche creatura si muoveva contro di me, io non mi sdegnavo contro di lei, perché sapevo per certo che quella era uno strumento dell’Altissimo, guidato dalla sua provvidenza per il mio stesso bene e questa consapevolezza, come anche il considerare che quella era creatura del mio Signore e capace della sua grazia, mi portava ad amarla con sincerità e forza, né mi acquietavo fino a che non l’avessi ricompensata di tale beneficio col procurarle, per quanto mi era possibile, la salvezza eterna.
709. Con tutto l’impegno, dunque, sforzati di imitarmi in ciò che hai compreso e scritto. Mostrati mansuetissima, pacifica e grata verso coloro che ti saranno molesti; stimali sinceramente nel tuo cuore e non vendicarti del Signore, vendicandoti dei suoi strumenti; non disprezzare la stimabile gemma delle ingiurie; ma, per quanto dipende da te, rendi loro sempre bene per male, benefici per offese, amore per odio, lode per insulti, benedizioni per maledizioni; così sarai figlia perfetta del tuo Padre, sposa amata del tuo Signore, mia carissima e mia amica.
CAPITOLO 19
L’Altissimo dà luce ai sacerdoti circa l’innocenza di Maria santissima; a lei fa intendere che è già vicino il felice transito di sua madre sant’Anna; come vi si trovò presente.
710. L’Altissimo non dormiva né prendeva sonno tra i dolci gemiti della sua diletta sposa Maria, sebbene fingesse di non udirli, ricreandosi con essi nel prolungato esercizio delle sue pene, che le erano occasione di trionfi così gloriosi e di essere tanto ammirata e lodata dagli spiriti celesti. Perdurava intanto il fuoco lento di quella persecuzione, affinché la divina fenice Maria si rinnovasse molte volte nelle ceneri della sua umiltà e il suo purissimo cuore e spirito rinascessero a nuovo essere e stato della divina grazia. Tuttavia, quando giunse il momento opportuno di mettere termine alla cieca invidia e gelosia di quelle giovani ingannate, affinché le loro menzogne non andassero a discredito di colei che doveva essere l’onore di tutta la natura e della grazia, il Signore stesso parlò in sogno al sacerdote e gli disse: «La mia ancella Maria è gradita ai miei occhi, è perfetta ed eletta e non ha colpa in quello che le si attribuisce». La medesima rivelazione ebbe Anna, la maestra delle giovani. Al mattino subito il sacerdote e la maestra parlarono insieme circa la divina luce e l’avvertimento che entrambi avevano ricevuto. Per questa conoscenza del cielo si pentirono dell’inganno subito e chiamarono la principessa Maria, domandandole perdono di aver dato credito alla falsa relazione delle educande, proponendole inoltre tutto ciò che parve loro conveniente per sottrarla e difenderla dalla persecuzione che le facevano e dalle pene che le procuravano.
711. Colei che era Madre dell’umiltà ascoltò questa proposta e rispose al sacerdote e alla maestra: «Signori, sono io quella a cui si devono i rimproveri e vi supplico di far sì che io meriti di ascoltarli, poiché come bisognosa li domando e li stimo. La compagnia delle mie sorelle educande è molto amabile e non voglio perderla per i miei demeriti, giacché tanto devo a tutte per avermi tollerata e, in contraccambio a tale beneficio, bramo di servirle maggiormente. Tuttavia, se mi ordinate un’altra cosa, sono qui per ubbidire alla vostra volontà». Questa risposta di Maria santissima consolò e confortò ancor più il sacerdote e la maestra, che approvarono la sua umile domanda, però da allora in poi attesero con più cura a lei, guardandola con nuova riverenza e affetto. L’umilissima vergine domandò al sacerdote la mano e la benedizione ed anche alla maestra, come era solita fare, e con questo la lasciarono. Ma come all’assetato avviene che i suoi sensi se ne corrano dietro all’acqua cristallina che si allontana da lui, così restò il cuore di Maria signora nostra tra la brama e il dolore di quell’esercizio del patire, poiché come assetata ed infiammata nell’amore divino giudicava che, per la cura che il sacerdote e la maestra volevano usarle, le sarebbe mancato per l’avvenire il tesoro dei patimenti.
712. La nostra Regina si ritirò subito e parlando da sola con l’Altissimo gli disse: «Perché, Signore ed amato mio padrone, tanto rigore con me? Perché una così lunga assenza e tanta dimenticanza di chi senza di voi non vive? E se nella mia lunga solitudine senza la vostra dolce e amorosa visione mi consolavano i pegni certi del vostro amore, quali erano le piccole pene che pativo, come vivrò adesso nel mio deliquio senza questo sollievo? Perché, o Signore, così presto sospendete la mano in questo favore? Chi al di fuori di voi poteva cambiare il cuore della mia maestra e dei sacerdoti miei signori? Veramente io non meritavo il beneficio dei loro caritatevoli rimproveri, né sono degna di sopportare angustie, perché non sono nemmeno degna della vostra bramata visione e deliziosa presenza. Ma se non ho potuto vincolarvi, Padre e Signore mio, io emenderò le mie negligenze e se volete dare qualche sollievo alla mia debolezza, nessun’altra cosa potrà sollevarmi finché manchi all’anima mia la gioia del vostro volto; però in tutto aspetto con cuore sottomesso, o sposo mio, che si faccia il vostro divino beneplacito».
713. Avendo i sacerdoti e la maestra conosciuto la verità, le giovani, mitigate anche dal Signore, cessarono di molestare la nostra celeste Principessa, e il demonio fu trattenuto dall’istigarle. Tuttavia la lontananza con cui Dio si teneva nascosto alla divina sposa durò dieci anni – cosa mirabile! -, sebbene l’Altissimo la sospendesse alcune volte svelando il suo volto, affinché la sua diletta avesse qualche sollievo. Ma non furono molte le visioni che le accordò in questo tempo e queste avvennero con minor delizia rispetto ai primi anni della sua infanzia. Questa lontananza del Signore fu però opportuna, perché, mediante l’esercizio di tutte le virtù, la nostra Regina, divenuta praticamente perfetta, si disponesse alla dignità che l’Altissimo le preparava. Se invece avesse goduto sempre della vista di sua Maestà nei modi in cui successivamente sarebbe stato sempre possibile – come si è detto sopra nel capitolo quattordicesimo di questo libro – non avrebbe potuto soffrire secondo l’ordine comune ad ogni semplice creatura.
714. Tuttavia, durante questa sorta di ritiro e lontananza del Signore, quantunque a Maria santissima mancassero le visioni intuitive ed astrattive della divina Essenza e quelle degli angeli, l’anima sua santissima e le sue facoltà avevano più doni di grazia e maggiore luce soprannaturale di quanta ne abbiano ottenuta e ricevuta tutti i santi, poiché in questo mai si raccorciò con lei il braccio dell’Altissimo. Ma in confronto delle visioni frequenti che ella ebbe nei primi anni, chiamo io lontananza e ritiro del Signore l’essere stata senza di esse tanto tempo. Questa privazione incominciò otto giorni prima della morte di suo padre san Gioacchino e subito seguirono le persecuzioni dell’inferno e poi quelle delle creature, finché la nostra Principessa arrivò a dodici anni. Li aveva già compiuti, quando un giorno gli angeli santi, senza che le si manifestassero, le parlarono e le dissero: «Maria, il termine della vita della tua santa madre Anna, prefissato dall’Altissimo, si compie adesso; sua Maestà ha disposto che sia libera dalla prigione del corpo mortale e le sue sofferenze abbiano felice fine».
715. Colpito da questa nuova e dolorosa notizia, il cuore della pietosa figlia s’intenerì e, prostrandosi alla presenza dell’Altissimo, fece una fervorosa orazione per la buona morte di sua madre sant’Anna e così pregò: «Re dei secoli invisibile ed eterno, Signore immortale e onnipotente, autore di tutto l’universo, benché io sia polvere e cenere e riconosca di aver disgustato la vostra grandezza, non per questo rinuncerò a parlare al mio Signore e ad effondere il mio cuore alla sua presenza, sperando, Dio mio, che non disprezzerete colei che sempre ha confessato il vostro santo nome. Lasciate, Signor mio, che vada in pace la vostra serva, che con fede invitta e speranza ferma ha sempre desiderato adempiere il vostro divino beneplacito. Approdi vittoriosa e trionfante dei suoi nemici al sicuro porto dei santi vostri eletti; la confermi il vostro potente braccio; l’assista, al termine del corso della nostra mortalità, la stessa destra che rese perfetti i suoi passi, e riposi, Padre mio, nella pace della vostra grazia ed amicizia colei che sempre cercò con vero cuore di ottenerla».
716. Il Signore rispose a questa preghiera della sua diletta non con parole, ma con un ammirabile favore che concesse a lei e a sua madre sant’Anna. Quella notte sua Maestà comandò che gli angeli santi di Maria santissima la portassero realmente e personalmente alla presenza della sua madre inferma e che al suo posto restasse uno di loro, prendendo corpo etereo della sua medesima forma. Gli angeli ubbidirono all’ordine divino e portarono la loro e nostra Regina alla casa e nella camera di sua madre sant’Anna. Trovandosi con lei e baciandole la mano, la divina Signora le disse: «Madre mia e mia signora, sia l’Altissimo la vostra luce e fortezza e sia benedetto, perché per la sua benignità non ha voluto che io, povera e bisognosa, restassi senza il beneficio della vostra ultima benedizione. Che io dunque la riceva, madre mia, dalla vostra mano!». Sant’Anna le diede la sua benedizione e con intimo affetto rese grazie al Signore di quel favore come colei che conosceva il mistero della sua figlia e Regina, che ancora ringraziò per l’amore che in tale occasione le aveva manifestato.
717. Subito la nostra Principessa si rivolse alla sua santa madre, la confortò e animò per il transito della morte e, tra le molte altre ragioni d’incomparabile consolazione, le disse ancora queste: «Madre e diletta dell’anima mia, è necessario che per la porta della morte passiamo all’eterna vita che speriamo. Amaro e penoso è il transito, ma fruttuoso, perché accettandolo come divino volere, è l’inizio della tranquillità e della pace eterna e soddisfa nello stesso tempo alle negligenze e ai difetti derivanti alla creatura dal non aver impiegato la vita come avrebbe dovuto. Ricevete, dunque, madre mia, la morte e pagate con essa il debito comune con allegrezza di spirito; partite sicura per andarvene in compagnia dei santi Patriarchi, Profeti, giusti ed amici di Dio, dove con essi attenderete la redenzione che l’Altissimo c’invierà per mezzo della sua salvezza, cioè del nostro Salvatore. La sicurezza di questa speranza sarà il vostro sollievo, finché arrivi il tempo di possedere il bene che tutti aspettiamo».
718. Sant’Anna rispose alla sua figlia santissima con pari amore e conforto degno di tale madre e di tale figlia in quell’occasione, e con amorevolezza materna le disse: «Maria, figlia mia diletta, soddisfate ora a quest’obbligo filiale di non scordarvi di me alla presenza del nostro Signore Dio e creatore, presentandogli il gran bisogno che in quest’ora io ho della sua divina protezione. Considerate ciò che dovete a chi vi concepì e vi portò nove mesi nel suo grembo, vi nutrì al suo petto e sempre vi porta nel cuore. Domandate, figlia mia, al Signore che stenda la mano della sua misericordia infinita su questa inutile creatura, che grazie ad essa fu chiamata all’esistenza, e venga sopra di me la sua benedizione in quest’ora della mia morte, poiché adesso e sempre ho posto tutta la mia confidenza solo nel suo santo nome. Non mi abbandonate, amata mia, prima di chiudermi gli occhi. Voi restate orfana e senza difesa da parte degli uomini, ma vivrete nella protezione dell’Altissimo e spererete nelle sue misericordie antiche. Camminate, figlia del mio cuore, per la strada dei comandamenti del Signore, chiedete a sua Maestà che guidi i vostri affetti e le vostre facoltà e sia egli il maestro che v’insegni la sua santa legge. Non uscite dal tempio prima di prendere marito e questo avvenga col sano consiglio dei sacerdoti del Signore, chiedendo continuamente a Dio che lo decida egli stesso: se sarà sua volontà darvi uno sposo, che sia della tribù di Giuda e della stirpe di Davide. Dei beni del vostro padre Gioacchino e miei, che vi appartengono, farete parte ai poveri: con essi siate larga e caritativa. Custodirete il vostro segreto nell’intimo del vostro cuore e continuamente domanderete all’Onnipotente che per sua misericordia voglia inviare al mondo la sua salvezza e redenzione per mezzo del Messia promesso. Prego e supplico la sua bontà infinita che sia il vostro rifugio e venga sopra di voi, con la mia, la sua benedizione».
719. Tra così alti e divini colloqui, la fortunata madre sant’Anna provò le ultime angosce della morte, o della vita, e reclinata nel trono della grazia, che erano le braccia di sua figlia Maria santissima, rese la sua anima purissima al suo Creatore. Dopo che sua figlia le ebbe chiuso gli occhi, come le era stato richiesto, lasciando il sacro corpo ben composto, i santi angeli tornarono dalla loro regina Maria e la riportarono al suo posto nel tempio. In questa occasione l’Altissimo non impedì la forza dell’amore naturale in modo che la divina Signora non sentisse con gran tenerezza e dolore la morte della sua felice madre e con essa, restando senza tale rifugio, la sua solitudine. Tuttavia questi moti dolorosi furono nella nostra Regina santi e perfettissimi, governati e regolati dalla grazia della sua innocente purezza e prudentissima innocenza, per cui ella lodò l’Altissimo per le misericordie infinite che nella sua santa madre aveva mostrato in vita e in morte; intanto non cessavano i suoi dolci e amorosi lamenti per il fatto che il Signore le si nascondeva.
720. Tuttavia la figlia santissima non poté conoscere tutta la consolazione della sua felice madre nell’averla presente alla sua morte, perché ignorava la sua dignità e il mistero di cui era consapevole la madre, la quale mantenne sempre questo segreto, come l’Altissimo le aveva ordinato. Il fatto che stesse per spirare fra le braccia di colei che era la luce dei suoi occhi, e tale avrebbe dovuto essere per tutto l’universo, bastava a rendere la sua morte più felice di quella di tutti i mortali vissuti fino ad allora. Morì piena non tanto di anni quanto di meriti; la sua anima santissima fu collocata dagli angeli nel seno di Abramo e venerata dai Patriarchi, dai Profeti e da tutti i giusti che vi si trovavano. Quanto alle qualità della santissima madre, era di cuore grande e magnanimo, di chiaro e sublime intelletto, vivace e ad un tempo molto tranquilla e pacifica. Era di media statura, un po’ più bassa di sua figlia Maria santissima. Il suo volto era ovale, l’aspetto sempre uguale e molto composto, il colorito bianco e vermiglio. Infine era madre di colei che divenne Madre di Dio. Tale dignità racchiudeva in sé molte perfezioni. Sant’Anna visse cinquantasei anni, ripartiti in questa maniera: a ventiquattro anni si sposò con san Gioacchino; ne passò altri venti senza prole e nel quarantaquattresimo ebbe Maria santissima. Aggiungendo a questi i dodici dell’età di questa Regina durante i quali sopravvisse, tre in sua compagnia e gli altri nove nel tempio, tutti insieme fanno cinquantasei.
721. Di questa madre grande e ammirabile ho udito dire che alcuni scrittori autorevoli affermano che si sposò tre volte e che in ciascuno dei tre matrimoni fu madre di una del le tre Marie, mentre altri sono d’opinione divergente. A me il Signore ha dato, per sola sua bontà, luce grande circa la vita di questa fortunata santa e non mi è stato mai mostrato che si sia sposata con altri fuorché con san Gioacchino, né che abbia avuto altra figlia al di fuori di Maria madre di Cristo. Può darsi, non essendo necessario alla divina Storia che sto scrivendo, non mi sia stato rivelato se sant’Anna fosse sposata tre volte o se le altre tre Marie che sono dette sorelle di Maria santissima fossero invece cugine, figlie di qualche sorella di sant’Anna. Quando morì il suo sposo Gioacchino, ella aveva quarantotto anni; l’Altissimo la scelse tra tutte le donne affinché fosse madre di colei che sarebbe stata superiore a tutte le creature, inferiore solo a Dio e tuttavia Madre sua. E proprio per avere avuto tale figlia, divenendo per mezzo di lei nonna del Verbo incarnato, con ragione tutte le nazioni possono chiamare più che beata la felicissima sant’Anna.
Insegnamento della regina Maria santissima
722. Figlia mia, la più grande sapienza della creatura sta nell’abbandonarsi tutta nelle mani del suo Creatore, il quale sa molto bene a che fine l’ha formata e come la deve guidare. A lei spetta soltanto di vivere attenta all’ubbidienza e all’amore del suo Signore ed egli è fedelissimo nel prendersi cura di colui che così lo induce ad occuparsi di tutte le sue vicende per concedere esito vittorioso e favorevole a chi confida nella sua parola. Affligge e corregge con le avversità i giusti; li consola e li fa vivere con favori; li anima con le promesse e li intimorisce con le minacce; a volte se ne discosta per sollecitare maggiormente sentimenti d’amore e poi si manifesta loro per premiarli e sostenerli; con questa varietà rende più bella e piacevole la vita degli eletti. Tutto ciò, appunto, è quello che accadeva a me rispetto a quanto hai scritto, visitandomi e preparandomi la sua misericordia in diverse maniere, ora con favori, ora con prove da parte dell’avversario, ora con persecuzioni da parte delle creature, ora con l’abbandono dei miei genitori e di tutti.
723. Tra questa diversità di esercizi, il Signore non si scordava della mia debolezza e al dolore della morte di mia madre sant’Anna unì la consolazione e il sollievo di farmi essere presente ad essa. O anima, quanti beni perdono le creature per non voler giungere a questa sapienza! Si sottraggono ignare alla divina provvidenza che è forte, soave ed efficace, che misura i cieli e le acque, conta i passi, enumera i pensieri e tutto dispone e si abbandonano interamente in balia della loro sollecitudine, che è dura, inefficace e debole, cieca, incerta e precipitosa. Da questo cattivo principio si originano danni irreparabili per la creatura, privandosi essa stessa della divina protezione e degradandosi dalla dignità di avere il sostegno e la tutela del proprio Creatore. Oltre a ciò, se mediante la sapienza carnale e diabolica a cui si dà in preda, le avviene di ottenere qualche volta ciò che va cercando, si giudica fortunata nella sua infelicità e con gusto beve il letale veleno dell’eterna morte con l’ingannevole piacere che essa, così abbandonata e reietta da Dio, consegue.
724. Conosci dunque, figlia mia, questo pericolo e tutta la tua sollecitudine consista nel gettarti sicura nelle braccia della provvidenza del tuo Dio e Signore, il quale, essendo infinito nella sapienza e nel potere, ti ama molto più di quanto tu non ami te stessa e sa e vuole per te maggiori beni di quanto tu sappia desiderare e domandare. Fidati dunque di questa bontà e delle sue promesse che non ammettono inganno; ascolta ciò che dice per mezzo del suo Profeta, chiamando felice il giusto, mentre Dio accetta i suoi desideri e le sue preoccupazioni e se ne occupa per poi rimunerarlo largamente. Mediante questa sicurissima confidenza, giungerai in questa vita mortale a partecipare della beatitudine, per la tranquillità e la pace che godrai nella tua coscienza. E benché ti ritrovi attorniata dalle onde impetuose delle tentazioni ed avversità e ti travolgano i flutti della morte e ti circondino le pene dell’inferno, spera e soffri con pazienza, perché giungerai sicura al porto della grazia e del compiacimento dell’Altissimo.
CAPITOLO 20
L’Altissimo si manifesta alla sua diletta Maria, nostra principessa, con un favore singolare.
725. La nostra divina Principessa vedeva ormai prossimo il chiaro giorno della desiderata visione del sommo Bene. Come in un chiarore che annuncia il giorno imminente, percepiva nelle sue facoltà la forza dei raggi di quella luce divina, che già le si avvicinava. Alla vicinanza dell’invisibile fiamma che illumina e non consuma, si accendeva tutta, e così il suo spirito, ristorato dagli annunci di questo nuovo chiarore, domandava ai suoi angeli: «Amici e signori, mie sentinelle vigilanti e fedelissime, ditemi: a che punto sono della mia notte? E quando arriverà l’alba del mio chiaro giorno, nel quale i miei occhi vedranno il Sole di giustizia, che illumina e dà vita ai miei affetti e al mio spirito?». I santi principi risposero: «Sposa dell’Altissimo, è vicina la vostra bramata verità e luce e non tarderà molto perché già viene». Con questa risposta si aprì alquanto il velo che impediva la vista delle sostanze spirituali e le si manifestarono i santi angeli; li vide, come al solito, nella loro stessa essenza, senza sentire impaccio o dipendenza alcuna dal corpo o dai sensi.
726. Con queste speranze, e con la vista degli spiriti divini, Maria santissima si risollevò alquanto alla vista del suo amato. Ma quella sorta d’amore che cerca l’oggetto nobilissimo della volontà, si soddisfa solo con lui e senza di lui il cuore ferito dai dardi dell’Onnipotente non ha riposo, benché sia con gli stessi angeli e santi. La nostra Principessa, alquanto rianimata e rinfrancata, parlò ai suoi santi angeli e disse loro: «Principi sovrani e luminari della luce inaccessibile, dove abita il mio amato e perché per così lungo tempo non ho meritato di vedervi? In che cosa vi sono dispiaciuta, mancando di corrispondere al vostro volere? Ditemi, signori e maestri miei, in che cosa sono stata negligente, affinché io non sia più abbandonata per colpa mia». Le risposero: «Signora e sposa dell’Onnipotente, noi ubbidiamo alla voce del nostro creatore e ci regoliamo tutti secondo la sua santa volontà. Egli ci comandò che ci nascondessimo alla vostra vista quando vi celò la sua, ma anche che, seppure nascosti, stessimo attenti e solleciti della vostra cura e difesa; così abbiamo fatto, stando in vostra compagnia benché nascosti alla vostra vista».
727. «Ditemi dunque ora – replicò Maria santissima – dove sta il mio Signore, il mio bene, il miò creatore? Ditemi se i miei occhi lo vedranno subito o se per caso l’ho disgustato, perché questa vilissima creatura pianga amaramente la causa della sua pena. Ministri e ambasciatori del supremo Re, abbiate compassione della mia afflizione amorosa e datemi segni del mio amato». Le risposero: «Subito, Signora, vedrete colui che l’anima vostra desidera; alla vostra dolce pena subentri ormai la fiducia, perché il nostro Dio non si nega a chi così sinceramente lo cerca. Grande è, Signora, l’amore della sua bontà verso chi lo accetta e sarà munifico nell’esaudire la vostra accorata richiesta». I santi angeli la chiamavano Signora apertamente sia perché erano sicuri della sua prudentissima umiltà, sia perché erano soliti coprire la forza di questo onorevole titolo aggiungendovi quello di sposa dell’Altissimo, dato che essi erano stati testimoni dello sposalizio che con lei aveva celebrato sua Maestà. Del resto la divina Sapienza aveva disposto che gli angeli, nascondendole fino al tempo opportuno solamente il titolo e la dignità di Madre del Verbo, le prestassero grande riverenza, per cui essi glielo dimostravano in molti modi, benché di nascosto la vene-rassero assai più che palesemente.
728. Tra questi dialoghi e colloqui amorosi, la divina Principessa attendeva l’arrivo del suo Sposo e sommo bene. Quand’ecco i serafini che l’assistevano incominciarono a prepararla con nuova illuminazione delle sue facoltà, pegno sicuro ed esordio del bene che aspettava. Ma siccome questi benefici accendevano ancor più l’ardente fiamma del suo amore senza tuttavia conseguire ancora il suo desiderato fine, crescevano sempre più le sue angosce amorose; in mezzo ad esse, parlando coi serafini, disse loro: «Spiri-ti sovrani, che siete più vicini al mio Bene, specchi limpidissimi in cui, riverberando il suo ritratto, io ero solita contemplarlo con gaudio dell’anima mia, ditemi: dove si trova la luce che v’illumina e vi riempie di bellezza? Ditemi: perché il mio amato indugia così tanto? Ditemi: che cosa impedisce che gli occhi miei lo vedano? Se ciò accade per colpa mia, io correggerò i miei errori; e se così è perché non merito l’adempimento del mio desiderio, mi conformerò al suo volere; se poi si compiace del mio dolore, lo patirò con allegrezza di cuore, ma ditemi: come vivrò io senza la mia stessa vita? Come mi orienterò senza la mia luce?».
729. A questi dolci gemiti i santi serafini risposero: «Signora, il vostro amato non tarda quando per vostro bene ed amore si allontana e indugia, poiché per consolare egli affligge chi più ama, per dargli più gioia lo rattrista e per essere trovato si ritira; vuole che seminiate con lacrime per raccogliere poi con giubilo il dolce frutto del dolore. E se il Bene amato non si nascondesse, non sarebbe cercato con quell’ansietà che nasce dalla sua lontananza, né l’anima rinnoverebbe i suoi affetti, né crescerebbe tanto la dovuta stima del suo tesoro».
730. Le diedero quella illuminazione di cui ho parlato, per purificarle le facoltà, non perché avesse colpe da cui essere purificata, dato che non poté commetterle; ma benché tutti i suoi moti ed atti in quella lontananza del Signore fossero stati meritori e santi, erano necessari questi nuovi doni per pacificarle lo spirito, per attutire nelle sue facoltà l’agitazione causata dalle sofferenze e pene d’amore al vedere che Dio le si era nascosto e per farla passare a quest’altro stato di nuovi e differenti favori. Infatti, per proporzionare le facoltà all’oggetto e al modo di vederlo, era necessario rinnovarle e predisporle a ciò. Tutto questo fecero i santi serafini, come si è detto nel libro secondo al capitolo quattordici, e quindi il Signore le diede l’ultimo ornamento e un’ulteriore qualità per prepararla in sommo grado alla disposizione immediatamente precedente la visione che le voleva manifestare.
731. Questa elevazione graduale andava provocando nelle facoltà della divina Regina gli effetti e gli atti di amore e virtù che lo stesso Signore intendeva produrre e che io non sono in grado di spiegare meglio. A quel punto, dunque, sua Maestà tolse il velo e, dopo essere stato tanto tempo nascosto, si mostrò alla sua sposa unica e diletta, Maria santissima, per mezzo di una visione astrattiva della divinità. Tale visione, pur non essendo immediata, fu tuttavia chiarissima e altissima nel suo genere. Per mezzo di essa il Signore asciugò le lacrime ininterrotte della nostra Regina, premiò i suoi affetti e le sue pene d’amore ed esaudì il suo desiderio, cosicché ella riposò, tutta traboccante di gioia, nelle braccia del suo diletto. In questo abbraccio si rinnovò la gioventù di quest’ardente e fervorosa aquila, per sollevare tanto più il volo alla regione impenetrabile della Divinità. Con le specie, ossia immagini, che dopo questa visione le restarono in modo ammirabile, ella si elevò a un’altezza che nessun’altra creatura può raggiungere o comprendere, al di fuori di Dio.
732. Il giubilo, che la purissima Signora provò in questa visione, era proporzionato sia all’estrema asprezza del dolore per cui passò, sia ai meriti che precedettero tale gaudio. Ma solo io posso dire che dove abbondò il dolore, abbondò anche la consolazione, e che la pazienza, l’umiltà, la fortezza, la costanza, gli affetti e le pene d’amore di Maria per tutta la durata di questa lontananza furono le più sublimi che mai siano state raggiunte da una semplice creatura. Solo la nostra Signora conobbe la finezza di questa sapienza e seppe dare il giusto peso alla privazione della visione del Signore. Ella sola percepì nel modo dovuto la sua lontananza e, sentendone tutto il peso, seppe anche cercarlo con pazienza, patire con umiltà, tollerare con fortezza e santificare tutto ciò col suo ineffabile amore, nonché stimare poi il beneficio e goderne.
733. Una volta sollevata a questa visione, prostrandosi con affetto alla presenza divina, Maria santissima disse a sua Maestà: «Signore e Dio altissimo, incomprensibile e sommo bene dell’anima mia, giacché sollevate dalla polvere questo povero e vile vermicello, ricevete, o Signore, la vostra medesima bontà e gloria, con quella che vi danno i vostri servitori come umile ringraziamento dell’anima mia. E se, come di creatura vile e terrena, le mie opere vi dispiacquero, correggete ora, Signore mio, ciò che in me non vi è gradito. O bontà e sapienza unica ed infinita, purificate questo cuore e rinnovatelo, perché vi sia grato, umile e contrito, cosicché non lo disprezziate. Se non seppi accogliere come dovevo le piccole pene e la morte dei miei genitori, e se in qualche cosa deviai dal vostro beneplacito, ordinate, ve ne prego, altissimo mio Signore, le mie facoltà e le mie opere come Signore onnipotente, come Padre e Sposo unico dell’anima mia».
734. A questa umile orazione l’Altissimo rispose: «Sposa e colomba mia, il dolore della morte dei tuoi genitori e l’afflizione per altre prove è naturale effetto della condizione umana e non è colpa; per l’amore col quale ti rassegnasti in tutto alla disposizione della mia divina volontà, meritasti nuovamente la mia grazia e il mio favore. Io dispenso la vera luce e i suoi effetti con la mia sapienza, come Signore di tutto, e formo successivamente il giorno e la notte; creo il sereno e dono anche alle tempeste il loro tempo, perché il mio potere e la mia gloria si accrescano, l’anima cammini più sicura con la zavorra della conoscenza di sé e mediante le onde violente delle tribolazioni acceleri ulteriormente il viaggio, giunga al porto sicuro della mia amicizia e grazia e, più colma di meriti, m’induca a riceverla con maggior compiacimento. Questo è, mia diletta, l’ordine ammirabile della mia sapienza e per questo mi nascosi in questo tempo dalla tua vista, perché da te voglio ciò che è più santo e più perfetto. Servimi dunque, mia bella, poiché sono tuo sposo e Dio di misericordia infinita e il mio nome è ammirabile nella multiforme varietà delle mie grandi opere».
735. Da questa visione la nostra principessa Maria uscì tutta rinnovata e divinizzata, piena di nuova conoscenza della divinità e degli arcani misteri del Re, proclamando il suo nome, adorandolo e lodandolo con incessanti cantici e sublimi elevazioni del suo pacifico e tranquillissimo spirito. Nella medesima proporzione crescevano in lei l’umiltà e tutte le altre virtù. La sua continua richiesta era sempre quella di ricercare la più perfetta e gradita volontà dell’Altissimo e in tutto e per tutto eseguirla e adempierla. Così passò alcuni giorni, fino a che successe ciò che si dirà nel capitolo seguente.
Insegnamento della Regina del cielo signora nostra
736. Figlia mia, molte volte ti ripeterò la lezione della più grande sapienza per le anime, che consiste nell’ottenere la conoscenza della croce per mezzo dell’amore alle sofferenze, imitandomi nel patirle. E se l’indole dei mortali non fosse tanto grossolana, essi dovrebbero esserne avidi solo per il compiacimento del loro Dio e Signore, il quale in ciò ha loro manifestato la sua volontà, perché il servo fedele e premuroso deve anteporre sempre il compiacimento del suo padrone alla sua medesima comodità. Ma la rozzezza dei mondani è tale che non solo non si lasciano vincolare dal dovere di questa buona corrispondenza verso il loro Padre e Signore, ma neppure dalla sua assicurazione che tutto il loro rimedio consiste nel seguire Cristo sulla via della croce e nel patire, come figli peccatori, col Padre innocente per guadagnare il frutto della redenzione con la conformazione delle membra al loro capo.
737. Ricevi dunque, o carissima, questo insegnamento e scrivilo nel tuo cuore; sappi che come figlia dell’Altissimo, come sposa del mio Figlio santissimo e come mia discepola, quando non avessi altro interesse, devi per tuo ornamento comprare la preziosa gemma del patire, per esser gradita al tuo Signore e sposo. E ti avverto, figlia mia, che fra i doni e i favori della sua mano e i patimenti della sua croce, devi anteporre, privilegiare ed abbracciare la sofferenza piuttosto che la consolazione delle sue carezze, poiché nel preferire i favori e le delizie può incidere l’amore che porti a te stessa, mentre nell’accettare le tribolazioni e le pene può operare solamente l’amore di Cristo. Infatti, se fra i regali del medesimo Signore e le tribolazioni di ogni genere, purché non dovute a colpa, si devono preferire le pene perfino alle gioie spirituali, che stoltezza è mai quella degli uomini di amare così ciecamente i piaceri sensibili e turpi, aborrendo tutto ciò che è patire per Cristo e per la salvezza della propria anima?
738. La tua incessante orazione, figlia mia, sarà il ripetere sempre: «Eccomi, o Signore, che volete fare di me? Saldo è il mio cuore, pronto e non turbato; che volete, Signore, che io faccia per voi?». Queste parole devono però essere sincere e venire veramente dal cuore e devono essere pronunciate con intimo e fervoroso affetto, più che con le labbra. I tuoi pensieri siano alti, la tua intenzione molto retta, pura e nobile; sia quella di ricercare solo e in tutto il maggior compiacimento del Signore, il quale con peso e misura dispensa pene, grazie e favori. Esamina sempre con quali pensieri, con quali azioni ed in quali occasioni puoi offendere o compiacere di più il tuo sposo, affinché tu conosca ciò che in te devi correggere e ciò che devi desiderare. Qualunque disordine, per quanto piccolo, e ciò che è meno puro e perfetto, anche se può apparire lecito e di qualche profitto, troncalo e allontanalo subito da te, perché tutto ciò che non è gradito al Signore devi considerarlo cosa cattiva o almeno per te inutile: nessuna imperfezione ti sembri piccola se dispiace a Dio. Con questo sollecito timore e questa santa sollecitudine, camminerai sicura. E sii certa, carissima figlia mia, che il pensiero umano non giunge a comprendere quanto sia grande la ricompensa che l’altissimo Signore riserva alle anime che vivono con una tale attenzione e sollecitudine.
CAPITOLO 21
L’Altissimo ordina a Maria santissima di sposarsi; la sua risposta a questo comando.
739. A tredici anni e mezzo, età in cui la nostra bellissima principessa, Maria purissima, era già molto cresciuta, ella ebbe un’altra visione astrattiva della Divinità, simile alle altre di questo genere finora riferite. In questa visione possiamo dire che le sia avvenuto quello che narra la Scrittura di Abramo, quando Dio gli ordinò di sacrificare il suo figlio diletto Isacco, unico pegno di tutte le sue speranze. Dio tentò Abramo, provando ed esaminando la sua pronta ubbidienza per coronarla. Similmente, anche della nostra gran Signora possiamo dire che Dio la tentò in questa visione, ordinandole di sposarsi. Da ciò comprenderemo anche quella verità che dice: quanto sono imperscrutabili i giudizi del Signore, e quanto s’innalzano le sue vie e i suoi pensieri sopra i nostri! E davvero, come il cielo dalla terra distavano quelli di Maria santissima da quelli che l’Altissimo le manifestò ordinandole che prendesse marito per avere protezione e compagnia. Ella, infatti, in tutta la sua vita aveva desiderato e deciso di rimanere nubile per quanto dipendeva dalla sua volontà, ripetendo e rinnovando più volte il voto di castità che in precedenza aveva fatto.
740. L’Altissimo aveva celebrato con la divina principessa Maria quel solenne sposalizio, di cui si è riferito sopra, quando fu portata al tempio, confermandolo con l’approvazione del voto di castità che ella fece e con la gloria e la presenza di tutti gli spiriti angelici. La candidissima colomba si era distaccata da ogni relazione umana e la sua attenzione, il suo pensiero, la sua speranza e il suo amore non erano rivolti a creatura alcuna, poiché era tutta convertita e trasformata nell’amore casto e puro di quel sommo Bene che non viene mai meno, sapendo che sarebbe divenuta più casta amandolo, più pura toccandolo e più vergine ricevendolo. Trovandosi dunque in tale disposizione fiduciosa quando il Signore le ordinò di sposarsi, senza manifestarle altro, quale sorpresa provò il cuore innocentissimo di questa divina giovane che viveva già sicura d’avere per sposo solamente lo stesso Dio che glielo comandava? Questa prova fu maggiore di quella di Abramo, poiché egli non amava tanto Isacco quanto Maria santissima amava l’inviolabile castità.
741. Tuttavia, a così impensato comando la prudentissima Vergine sospese il suo giudizio e ne fece uso solo per sperare e credere, meglio di Abramo, nella speranza contro la speranza, per cui rispose al Signore e disse: «Eterno Dio di maestà incomprensibile, creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che è contenuto in essi, voi, Signore, che pesate i venti, e col vostro comando ponete limiti al mare, e alla vostra volontà ogni cosa creata è soggetta, ben potete fare di questo vile verme come più vi piace, senza che io manchi a tutto ciò che vi ho promesso; e se in questo non mi allontano, mio bene e Signore, dal vostro compiacimento, di nuovo asserisco e confermo che voglio essere casta finché avrò vita e voglio voi solo per Signore e sposo. Inoltre, giacché a me, come creatura vostra, spetta e compete solo di ubbidirvi, considerate, mio Sposo, che è vostro compito sollevare la mia debolezza umana da questo impegno, nel quale il vostro santo amore mi pone». In tale circostanza la castissima giovinetta Maria si turbò alquanto, come avvenne poi all’annuncio dell’arcangelo san Gabriele. Tuttavia, sebbene sentisse un po’ di tristezza, questa non le impedì l’esercizio della più eroica ubbidienza che fino ad allora aveva osservato, per cui si consegnò tutta nelle mani del Signore. Sua Maestà le rispose: «Maria, non si turbi il tuo cuore, perché il tuo abbandono confidente mi è gradito e il mio braccio onnipotente non è soggetto a leggi; così sarò io ad occuparmi di ciò che a te più conviene».
742. Con questa sola promessa dell’Altissimo Maria santissima ritornò dalla visione al suo stato ordinario e, tra l’incertezza e la speranza in cui la lasciarono il divino comando e la promessa, restò sempre pensierosa, obbligandola il Signore in questo modo a moltiplicare con lacrime nuovi atti di amore e di confidenza, di fede, di umiltà, di obbedienza, di castità purissima e di altre virtù, che sarebbe impossibile riportare. Mentre la nostra gran Principessa era tutta assorta in questa orazione e presa da queste ansie rassegnate e prudenti, Dio parlò in sogno al sommo sacerdote, che era il santo Simeone, e gli ordinò che disponesse l’occorrente per far sposare Maria, figlia di Gioacchino e di Anna di Nazaret, perché sua Maestà la guardava con speciale cura ed amore. Il santo sacerdote rispose a Dio, chiedendogli che gli manifestasse la sua volontà circa la persona con la quale la giovane avrebbe dovuto sposarsi. Il Signore gli ordinò di radunare gli altri sacerdoti e dottori e di far loro presente che quella giovane era orfana, sola e non voleva sposarsi, ma che, per ottemperare all’usanza secondo cui le primogenite non uscivano dal tempio senza prendere marito, era conveniente che ella facesse altrettanto, sposandosi con chi ritenessero più adatto.
743. Il sacerdote Simeone ubbidì all’ordine divino e, avendo convocato gli altri, comunicò loro la volontà dell’Altissimo. Nello stesso tempo fece loro conoscere quanto sua Maestà si compiacesse di quella vergine, Maria di Nazaret, secondo quanto gli era stato rivelato. Aggiunse che, trovandosi nel tempio priva dei suoi genitori, era loro dovere curarsi delle sue necessità e sceglierle uno sposo degno di una figlia tanto onesta, virtuosa e di costumi così irreprensibili, come ben sapevano tutti coloro che nel tempio l’avevano avvicinata. Oltre alla sua persona, la ricchezza, la nobiltà e le altre qualità erano molto distinte, per cui conveniva considerare molto bene a chi tutto ciò si dovesse consegnare. Aggiunse ancora che Maria di Nazaret non desiderava sposarsi, ma che diversamente non era conveniente per lei uscire dal tempio, perché era orfana e primogenita.
744. Discusso questo problema nell’adunanza dei sacerdoti e dei dottori, e mossi tutti da ispirazione divina, stabilirono che, trattandosi di una questione in cui si desiderava tanto non incorrere in errore e nella quale il medesimo Signore aveva manifestato il suo volere, conveniva ricercare la sua santa volontà anche nel resto e domandargli di manifestare in qualche modo la persona che fosse più adatta come sposo di Maria e che fosse della famiglia e stirpe di Davide, affinché si adempisse la legge. A questo scopo fissarono un giorno preciso, in cui tutti gli uomini liberi e celibi di questa stirpe che si trovavano in Gerusalemme si radunassero nel tempio. Questo giorno fu poi quello stesso in cui la nostra Principessa del cielo compiva quattordici anni. E siccome era necessario informaila di ciò che si era stabilito e domandare il suo consenso, il sacerdote Simeone la chiamò e le manifestò l’intenzione sua e degli altri sacerdoti di darle uno sposo prima che uscisse dal tempio.
745. La prudentissima Vergine, arrossendo per il suo pudore verginale, rispose a] sacerdote con grande modestia e umiltà, e gli disse: «Io, signor mio, per quanto dipende dalla mia volontà, desidero continuare ad osservare castità perfetta per tutto il tempo della mia vita, dedicandomi al mio Dio nel servizio di questo santo tempio, in cambio dei grandi beni che in esso ho ricevuto. Né ho mai avuto intenzione o inclinazione per il matrimonio, giudicandomi inadatta agli impegni che comporta. Questa è la mia aspirazione, però voi, signore, che rappresentate Dio, m’insegnerete quale sarà la sua volontà». Il sacerdote replicò: «Figlia mia, il Signore accetterà i vostri santi desideri, però sappiate che al presente nessuna delle giovani d’Israele rinuncia al matrimonio, finché aspettiamo, secondo le divine profezie, la venuta del Messia; perciò nel nostro popolo si giudica felice e benedetta colei che ha una discendenza. Inoltre, anche nello stato del matrimonio potrete servire Dio con molta santità e perfezione e, affinché abbiate chi vi accompagni o si conformi ai vostri intenti, pregheremo il Signore di volervi indicare egli stesso lo sposo più conforme alla sua divina volontà tra quelli della stirpe di Davide. E voi domandate la stessa cosa pregando incessantemente, affinché l’Altissimo vi guardi benignamente e diriga noi tutti».
746. Questo accadde nove giorni prima della decisione definitiva. In questo tempo la santissima vergine moltiplicò le sue preghiere al Signore con incessanti lacrime e sospiri, chiedendo l’adempimento della sua divina volontà in ciò che nel suo timore le stava tanto a cuore. In uno di questi nove giorni le apparve il Signore e le disse: «Sposa e colomba mia, dilata il tuo cuore afflitto: non si turbi né si rattristi. Io sono attento ai tuoi desideri e alle tue preghiere, tutto governo e dalla mia luce è guidato il sacerdote. Io stesso ti darò uno sposo, il quale non impedisca i tuoi santi desideri, ma anzi con la mia grazia ti aiuti ad adempierli. Io ti cercherò un uomo perfetto, secondo il mio cuore, e lo sceglierò fra i miei servi. Il mio potere è infinito e non ti mancherà la mia protezione e la mia custodia».
747. Maria santissima rispose e disse al Signore: «Sommo bene ed amore dell’anima mia, voi conoscete bene il segreto del mio cuore e i desideri che in esso avete posto dall’istante in cui mi avete dato l’esistenza. Conservatemi dunque, mio sposo, casta e pura, come ho desiderato ardentemente di essere per ispirazione ricevuta da voi stesso e per essere tutta vostra. Non disprezzate i miei sospiri, e non allontanatemi dalla vostra divina presenza. Considerate, mio Signore e padrone, che sono un vermiciattolo vile, debole e spregevole per la mia bassezza e, se venissi meno nello stato del matrimonio, mancherei a voi e ai miei desideri. Determinate dunque la mia sicura riuscita e non ve ne disinteressate per il fatto che io non ho meritato questa grazia. Infatti, anche se io sono polvere inutile, griderò ai piedi della vostra maestà sperando, o Signore, nella vostra misericordia infinita».
748. Inoltre la castissima giovinetta ricorreva ai suoi angeli santi, che sorpassava in santità e purezza; presentava loro molte volte l’ansietà del suo cuore per il nuovo stato che l’attendeva. Le dissero un giorno gli angeli santi: «O sposa dell’Altissimo, non potete certo ignorare né dimenticare questo titolo, né l’amore che vi porta, né che egli è onnipotenza e verità. Per questo, Signora, pacificate il vostro cuore, perché i cieli e la terra scompariranno prima che vengano meno la verità e il compimento delle sue promesse. Qualunque cosa vi succeda, riguarda il vostro sposo; il suo braccio onnipotente, che domina sugli elementi e tutte le creature, può arrestare la forza delle onde impetuose ed impedire la veemenza dei loro effetti, può far si che né il fuoco bruci, né la terra sia pesante. I suoi alti giudizi sono imperscrutabili e santi, i suoi decreti rettissimi e ammirabili e le creature non possono comprenderli, ma devono rispettarli. Se dunque la sua grandezza vuole che lo serviate nel matrimonio, meglio sarà per voi essergli gradita in esso piuttosto che disgustarlo in un altro stato. Sua Maestà senza dubbio farà con voi ciò che è meglio e ciò che è più perfetto e santo; siate dunque sicura delle sue promesse». In seguito a questa esortazione angelica si calmarono alquanto le ansietà della nostra Principessa e di nuovo chiese loro che l’assistessero e custodissero e che presentassero al Signore la sua conformità al volere divino e come ella stesse attendendo ciò che avrebbe ordinato.
Insegnamento che mi diede la Principessa del cielo
749. Figlia mia carissima, altissimi e venerabili sono i giudizi del Signore e le creature non devono investigarli, poiché non possono penetrarli. Sua Altezza mi ordinò di sposarmi, ma non me ne rivelò ancora il mistero; conveniva tuttavia che così facessi, affinché il mondo, ignaro allora del mistero, giudicasse onesta la mia maternità, reputando figlio del mio sposo il Verbo incarnato nel mio grembo. Fu inoltre mezzo opportuno per nasconderlo a Lucifero e ai suoi demoni, assai inferociti e tutti tesi a scaricare il loro smanioso furore su di me. Quando vide che abbracciavo lo stato matrimoniale, restò come accecato, credendo che non fosse compatibile avere per sposo un uomo ed essere madre di Dio. Con questo si tranquillizzò alquanto, dando tregua alla sua malizia. Nel farmi sposare, l’Altissimo ebbe pure altri fini, che in seguito divennero manifesti, anche se allora mi furono nascosti, perché così conveniva.
750. Voglio dirti inoltre, figlia mia, che per me sapere di dover prendere per sposo un uomo fu il maggior dolore che avessi patito sino a quel giorno, dato che il Signore non me ne aveva ancora spiegato il mistero; e se in questa pena non mi avesse confortato la sua virtù divina, lasciandomi qualche speranza benché oscura e indeterminata, avrei perso la vita per il dolore. Però da questo evento apprenderai quale debba essere la rassegnazione della creatura alla volontà dell’Altissimo e come debba piegare il suo scarso intelletto senza voler scrutare i sublimi misteri di Dio. E quando alla creatura si presenta qualche difficoltà o pericolo in ciò che il Signore dispone e ordina, sappia confidare in lui e creda che non la pone in essi per abbandonarvela, ma per tiraila fuori vittoriosa e con trionfo, se da parte sua coopera con la grazia del medesimo Signore. Ma quando l’anima pretende d’indagare i giudizi della sua sapienza e preferisce seguire la propria volontà anziché obbedire, creda e sappia che defrauda la gloria e la grandezza del suo Creatore e perde insieme il proprio merito.
751. Io riconoscevo che l’Altissimo è superiore a tutte le creature e che non ha bisogno del nostro ragionare, ma vuole solamente la sottomissione della volontà, poiché la creatura non può dargli consiglio, ma gli deve soltanto ubbidienza e lode. Quanto a me, sebbene il non saper ciò che mi avrebbe comandato e ordinato nello stato del matrimonio mi affliggesse molto per l’amore che io portavo alla castità, questo dolore e questa pena non suscitarono in me alcuna curiosità d’indagare oltre, anzi servirono a far sì che la mia ubbidienza fosse più eccellente e gradita ai suoi occhi. Conforma a questo esempio la rassegnazione, che devi avere a tutto ciò che comprenderai essere gradito al tuo Signore e sposo, abbandonandoti alla sua protezione e alla fermezza delle sue promesse infallibili. In tutto quello in cui avrai l’approvazione dei suoi sacerdoti e tuoi superiori, lasciati guidare senza resistere ai loro comandi né alle divine ispirazioni.
CAPITOLO 22
Si celebrano le nozze di Maria santissima col santo e castissimo Giuseppe.
752. Nel giorno in cui la nostra principessa Maria compiva quattordici anni, si radunarono gli uomini della tribù di Giuda e della stirpe di Davide, da cui discendeva la celeste Signora, i quali si trovavano allora in Gerusalemme. Fra gli altri fu chiamato Giuseppe nativo di Nazaret, che soggiornava nella stessa città santa, perché era uno di quelli della stirpe regale di Davide. Aveva trentatré anni, una bella figura e un aspetto attraente, ma di incomparabile modestia e serietà; dotato di santissime inclinazioni, era soprattutto castissimo nelle opere e nei pensieri e, fin dal dodicesimo anno d’età, aveva fatto voto di castità. Era parente della vergine Maria; in terzo grado, e di vita purissima, santa ed irreprensibile agli occhi di Dio e degli uomini.
753. Dopo essersi riuniti nel tempio, quegli uomini non sposati pregarono il Signore insieme con i sacerdoti, perché tutti fossero guidati dal suo divino Spirito in ciò che dovevano fare. A quel punto, l’Altissimo ispirò al cuore del sommo sacerdote di far si che a ciascuno dei giovani ivi raccolti si ponesse una verga secca nelle mani e che tutti poi domandassero con viva fede a sua Maestà di rivelare con tale mezzo chi aveva scelto come sposo di Maria. Siccome il buon odore della virtù ed onestà di questa vergine, nonché la fama della sua bellezza, dei suoi beni e della sua condizione sociale, come pure il fatto che fosse la figlia primogenita e unica nella sua casa, era già manifesto a tutti, ciascuno ambiva la buona sorte di averla come sposa. Solo l’umile e rettissimo Giuseppe, tra i presenti, si reputava indegno di un bene così grande; ricordandosi del voto di castità che egli aveva fatto e riproponendosene in cuor suo la perpetua osservanza, si rassegnò alla divina volontà, rimettendosi a ciò che volesse disporre di lui, nutrendo tuttavia venerazione e stima per l’onestissima giovane vergine Maria più di chiunque altro.
754. Mentre facevano questa orazione, tutti quelli là radunati videro fiorire solo la verga in mano a Giuseppe. Nello stesso tempo, una colomba candidissima, scendendo dall’alto circonfusa di ammirabile splendore, si posò sopra il capo del santo. Contemporaneamente Dio gli parlò nell’intimo con queste parole: «Giuseppe, servo mio, Maria sarà la tua sposa: accettala con attenzione e rispetto, perché ella è gradita ai miei occhi, giusta e purissima d’anima e di corpo, e tu farai tutto quello che ti dirà». Essendosi il cielo dichiarato con quel segno, i sacerdoti diedero alla vergine Maria san Giuseppe, come sposo eletto da Dio. Chiamandola per celebrare le nozze, la prescelta uscì fuori come il sole, più bella della luna. Alla presenza di tutti, il suo aspetto apparve superiore a quello di un angelo, di incomparabile bellezza, onestà e grazia, e i sacerdoti la sposarono con il più casto e santo degli uomini, Giuseppe.
755. La divina Principessa, più pura delle stelle del firmamento, in lacrime e seria come una regina, con umiltà ma anche con maestà – poiché Maria riuniva in sé tutte queste perfezioni – prese congedo dai sacerdoti, domandando loro la benedizione, come anche alla maestra, e perdono alle compagne, ringraziando tutti per i benefici ricevuti da loro nel tempio. Fece tutto ciò con la più profonda umiltà, misurando con molta prudenza le parole, perché in tutte le occasioni parlava poco e con molta sapienza. Si allontanò così dal tempio, non senza grande dispiacere di lasciarlo contro la propria intenzione e il proprio desiderio. In compagnia di alcuni dei ministri che tervivano nel tempio nelle cose temporali – laici dei più autorevoli – col suo sposo Giuseppe si avviò a Nazaret città ale della felicissima coppia. Sebbene san Giuseppe fosse nato in quel luogo, seguendo quanto l’Altissimo aveva disposto per mezzo di alcune vicende, era andato a vivere qualche tempo a Gerusalemme, per migliorare la sua condizione come infatti avvenne, divenendo sposo di colei che era stata scelta da Dio stesso per essere sua madre.
756. Arrivati a Nazaret, dove la Principessa del cielo aveva i suoi beni e le case dei suoi fortunati genitori, furono ricevuti e visitati da tutti gli amici e i parenti con grida di giubilo e applausi, come si usa fare in tali occasioni. Avendo santamente adempito all’obbligo naturale dei contatti e delle relazioni, i due santissimi sposi Giuseppe e Maria, liberi da impegni, restarono a casa loro. Secondo l’usanza introdotta fra gli Ebrei, nei primi giorni del matrimonio era previsto che gli sposi si prendessero un po di tempo per verificare, nella convivenza, le abitudini e l’indole di entrambi, in modo da potersi conformare meglio l’uno all’altra.
757. In tali giorni il santo Giuseppe disse alla sua sposa Maria: «Sposa e signora mia, io rendo grazie all’altissimo Dio per il favore di avermi destinato senza merito ad essere vostro sposo, mentre mi giudicavo indegno della vostra compagnia; ma sua Maestà, che quando vuole può sollevare il povero, mi ha usato questa misericordia. Quindi io desidero che voi mi aiutiate, come spero dalla vostra discrezione e virtù, a dargli il contraccambio che gli devo, servendolo con rettitudine di cuore. A tal fine mi riterrete vostro servo, e col vero affetto con cui vi stimo, vi chiedo che vogliate supplire a molta parte del capitale e di altre doti che mi mancano, le quali mi sarebbero utili per essere vostro sposo; ditemi, signora, qual è la vostra volontà perché io l’adempia».
758. La divina sposa ascoltò questo discorso con cuore umile ed affabile severità nel volto, e rispose al santo: «Signor mio, io sono lieta che l’Altissimo, per mettermi in questa condizione, si sia degnato di assegnarmi voi per sposo e signore, e che il servire voi mi sia stato confermato dalla manifestazione della sua divina volontà. Però, se me lo permettete, vi dirò le intenzioni e i pensieri, che a tal fine desidero comunicarvi». L’Altissimo intanto disponeva con la sua grazia il cuore retto e sincero di san Giuseppe e, per mezzo delle parole di Maria santissima, lo infiammò di nuovo di divino amore. Egli così le rispose: «Parlate, signora, il vostro servo vi ascolta». In questa occasione la Signora del mondo era assistita dai mille angeli della sua custodia in forma visibile, come aveva loro richiesto. Ciò era dovuto al fatto che l’Altissimo, affinché la purissima vergine operasse in tutto con maggior grazia e merito, permise che ella sentisse il rispetto e la considerazione con cui doveva parlare al suo sposo, pur lasciandola nella sua naturale ritrosia ed esitazione che sempre aveva avuto a parlare con gli uomini da sola, cosa che fino allora non aveva mai fatto, se non casualmente qualche volta col sommo sacerdote.
759. Gli angeli santi ubbidirono alla loro Regina e l’assistettero, manifestandosi solo alla sua vista. In loro compagnia parlò al suo sposo san Giuseppe, dicendo: «Signore e sposo mio, è giusto che diamo lode e gloria con ogni devozione al nostro Dio e creatore, infinito nella sua bontà e incomprensibile nei suoi giudizi, che con noi poveri ha manifestato la sua grandezza e misericordia, scegliendoci per essere al suo servizio. Io mi considero, fra tutte, la creatura più debitrice a sua Altezza e, anzi, lo sono più di tutte insieme, perché, meritando meno, ho ricevuto dalla sua liberalissima mano più di loro. Nella mia tenera età, costretta dalla forza di questa verità che la luce divina mi comunicò rivelandomi il disinganno di tutto il visibile, mi consacrai a Dio con voto perpetuo d’essere casta nell’anima e nel corpo. Sono sua, e lo riconosco mio sposo e Signore, con volontà immutabile di mantenere la mia promessa di castità. Per adempiere ciò, signor mio, desidero che mi aiutiate, perché nel resto io sarò vostra serva fedele, ed avrò cura della vostra vita quanto durerà la mia. Accettate, signore e sposo mio, questa santa determinazione e confermatela con la vostra, perché come offerta gradita al nostro Dio eterno, egli ci riceva entrambi quale sacrificio di soave odore, e ci conceda di giungere insieme ai beni eterni che speriamo».
760. Il castissimo sposo Giuseppe, pieno d’intimo giubilo per le parole della sua divina sposa, le rispose: «Signora mia, dichiarandomi i vostri pensieri e casti propositi, avete aperto e sollevato il mio cuore, che io non volli manifestarvi prima di conoscere il vostro. Anch’io mi considero, fra gli uomini, debitore al Signore più di tutte le altre creature, perché da molto tempo mi ha chiamato con la sua vera luce, affinché l’amassi con rettitudine di cuore. Voglio, signora, che sappiate che a dodici anni anch’io ho fatto promessa di servire l’Altissimo in castità perpetua. Così ora torno a confermare il medesimo voto, per non invalidare il vostro; anzi, alla presenza di sua Altezza, vi prometto di aiutarvi, per quanto dipende da me, perché in tutta purezza lo serviate e lo amiate secondo il vostro desiderio. Io sarò, con il concorso della grazia, vostro fedelissimo servo e compagno, e vi supplico che accettiate il mio casto affetto e mi riteniate vostro fratello, senza mai dar luogo ad altro lecito amore, fuorché quello che dovete a Dio e poi a me». In questo colloquio l’Altissimo riconfermò nel cuore di san Giuseppe la virtù della castità e l’amore santo e puro che doveva alla sua santissima sposa Maria. Così il santo gliene portava in grado eminentissimo, e la stessa Signora con il suo prudentissimo conversare glielo aumentava dolcemente, elevandogli il cuore.
761. Con la virtù divina con cui il braccio dell’Onnipotente operava nei due santissimi e castissimi sposi, sentirono entrambi incomparabile giubilo e consolazione. La divina Principessa offrì a san Giuseppe di corrispondere al suo desiderio, come colei che era signora delle virtù e, senza difficoltà, praticava in tutto ciò che esse hanno di più sublime ed eccellente. Inoltre l’Altissimo diede a san Giuseppe rinnovata castità e padronanza sulla natura e sulle sue passioni, perché, senza ribellione né istigazione ma con ammirabile e nuova grazia, servisse la sua sposa Maria e, in lei, la volontà e il beneplacito del Signore. Subito distribuirono i beni ereditati da san Gioacchino e da sant’Anna, genitori della santissima Signora. Ella ne offrì una parte al tempio dove era stata, l’altra la distribuì ai poveri e la terza l’assegnò al santo sposo Giuseppe, perché l’amministrasse. Per sé la nostra Regina si riservò solo la cura di servirlo e di lavorare in casa, perché, quanto agli scambi con l’esterno e alla gestione dei beni, degli acquisti o delle vendite, la vergine prudentissima se ne esentò sempre.
762. Nei suoi primi anni, san Giuseppe aveva appreso il mestiere di falegname, come il più onesto e adatto per guadagnarsi da vivere, essendo povero di beni di fortuna. Perciò domandò alla sua santissima sposa se aveva piacere che egli esercitasse quel mestiere per servirla e per guadagnare qualcosa per i poveri, poiché era necessario lavorare senza vivere nell’ozio. La Vergine prudentissima diede a san Giuseppe la sua approvazione, avvertendolo che il Signore non li voleva ricchi, bensì poveri e amanti dei poveri, e che fossero loro rifugio fin dove il loro capitale lo permettesse. Fra i due santi sposi nacque presto una santa contesa, riguardo a chi dei due dovesse prestare ubbidienza all’altro come a superiore. Ma Maria santissima, che fra gli umili era umilissima, vinse in umiltà, né consenù che, essendo l’uomo il capo, si pervertisse l’ordine della natura. Così volle ubbidire in tutto al suo sposo Giuseppe, chiedendogli solamente il consenso per fare l’elemosina ai poveri del Signore; e il santo le diede il permesso di farla.
763. In questi giorni il santo Giuseppe, riconoscendo con nuova luce del cielo le doti della sua sposa Maria, la sua rara prudenza, umiltà, purezza e tutte le sue virtù superiori ad ogni suo pensare ed immaginare, ne restò nuovamente stupito e, con gran giubilo del suo spirito, non cessava con ardenti affetti di lodare il Signore, rendendo-gli ancor più grazie per avergli data tale compagnia e tale sposa superiore ad ogni suo merito. Perché poi quest’opera risultasse in tutto perfettissima, l’Altissimo fece si che la Principessa del cielo infondesse con la sua presenza, nel cuore del suo sposo, un timore ed un rispetto così grande che non è assolutamente possibile spiegare a parole. A provocare ciò in Giuseppe era un certo splendore, come raggi di luce divina, che emanava dal volto della nostra Regina, dal quale traspariva anche una maestà ineffabile che sempre la accompagnava. Le succedeva infatti come a Mosè quando scese dal monte, ma con tanta maggiore intensità, perché si intratteneva con Dio più a lungo e più intimamente.
764. Subito Maria santissima ebbe una visione divina dal Signore, in cui sua Maestà le disse: «Sposa mia dilettissima ed eletta, vedi come io sono fedele nelle mie parole con quelli che mi amano e mi temono. Corrispondi dunque ora alla mia fedeltà, osservando la legge come mia sposa, in santità, purezza e in tutta perfezione. In ciò ti aiuterà la compagnia del mio servo Giuseppe che io ti ho dato. Ubbidisci a lui come devi ed attendi alla sua consolazione, perché tale è la mia volontà». Maria santissima rispose: «Altissimo Signore, io vi lodo e magnifico per i vostri ammirabili consigli e per la vostra provvidenza verso di me, indegna e povera creatura. Il mio desiderio è di ubbidirvi e compiacervi come vostra serva più debitrice a voi di ogni altra creatura. Concedetemi dunque, Signor mio, il vostro favore divino, perché in tutto mi assista e mi governi secondo il vostro maggior compiacimento, affinché, come vostra serva, attenda anche agli obblighi dello stato in cui mi ponete, senza mai vagare fuori dai vostri ordini e dal vostro volere. Datemi la vostra approvazione e benedizione; con essa riuscirò a ubbidire al vostro servo Giuseppe e a servirlo come mi comandate voi, mio creatore e mio Signore».
765. Su questi divini appoggi si fondò la casa e il matrimonio di Maria santissima e di Giuseppe. Dall’8 settembre, data delle nozze, fino al 25 marzo dell’anno seguente, giorno in cui avvenne l’incarnazione del Verbo, i due santi sposi vissero nel modo in cui l’Altissimo li andava rispettivamente predisponendo all’opera per cui li aveva scelti. La divina Signora ordinò poi gli oggetti personali e quelli della sua casa come dirò nei capitoli seguenti.
766. A questo punto però, non posso còntenere oltre il mio affetto senza congratularmi per la fortuna del più felice degli uomini, san Giuseppe. Da dove vi è venuta, o uomo di Dio, tanta beatitudine e tale buona sorte che ha fatto sì che solo di voi, tra i figli di Adamo, si potesse dire che Dio stesso fosse vostro e così solamente vostro da essere ritenuto vostro unico figlio? L’eterno Padre vi dona sua figlia; il divin Figlio vi dona la sua vera Madre e lo Spirito Santo vi consegna e vi affida la sua sposa, ponendovi in sua vece. In tal modo tutta la santissima Trinità vi concede e vi dà in custodia per vostra legittima consorte la sua diletta, unica e fulgida come il sole. Conoscete voi, mio santo, la vostra dignità ed eccellenza? Comprendete che la vostra sposa è la Regina e signora del cielo e della terra, e voi siete depositario dei tesori inestimabili di Dio? Considerate, o uomo divino, il vostro impegno e sappiate che, se gli angeli e i serafini non sono invidiosi, sono però meravigliati ed estatici per la vostra sorte e per il mistero racchiuso nel vostro matrimonio. Ricevete dunque le congratulazioni per tanta felicità in nome di tutto il genere umano. In un certo senso, voi siete l’archivio contenente il registro delle divine misericordie, signore e sposo di colei di cui solo Dio è maggiore, per cui vi ritroverete, fra gli uomini e fra gli stessi ricco e nella prosperità. Ricordatevi però della nostra povertà e miseria, e di me, il più vile verme della terra, che desidero essere vostra fedele devota, beneficata e favorita dalla vostra potente intercessione.
Insegnamento della Regina del cielo
767. Figlia mia, dalla mia esemplare condotta nello stato del matrimonio in cui l’Altissimo mi pose, tu vedi condannati i pretesti che adducono, non essendo perfette, le anime che condividono tale condizione nel mondo. Niente è impossibile a Dio, né a chi con viva fede spera in lui e si rimette in tutto alla sua divina disposizione. Io vivevo in casa del mio sposo con la stessa perfezione con cui servivo nel tempio, perché cambiando stato non mutai l’affetto, né il desiderio e la premura di amare e servire Dio, ma anzi l’aumentai, perché niente mi trattenesse dai miei obblighi di sposa. Fu per questo che ebbi maggiore assistenza dal favore divino che, con la sua mano onnipotente, dispose ed aggiustò tutte le cose in sintonia con i miei desideri. Altrettanto farebbe il Signore con tutte le creature, se da parte loro corrispondessero adeguatamente. Esse invece incolpano lo stato del matrimonio ingannando così se stesse, perché l’impedimento a non essere perfette e sante non è dato dallo stato, ma dai pensieri e dalla sollecitudine vana ed eccessiva a cui si abbandonano, non cercando di piacere al Signore, ma preferendo il loro compiacimento.
768. Se nel mondo non vi è scusa per sottrarsi al dovere di attendere alla perfezione delle virtù, meno ve ne sarà nello stato religioso per gli uffici e i servizi che in esso si svolgono. Non ti pensare mai ostacolata dal tuo ufficio di superiora, perché Dio ti ha posto in tale stato per mezzo dell’obbedienza e non devi mai diffidare della sua assistenza e della sua protezione. Infatti quel giorno egli si fece carico di darti forze ed aiuti, perché tu potessi attendere nello stesso tempo all’obbligo di superiora e a quello particolare della perfezione con cui devi amare il tuo Dio e Signore. Fa’ in modo dunque di vincolarlo col sacrificio della tua volontà, umiliandoti con pazienza in tutto ciò che ordina la sua divina Provvidenza. Se non glielo impedirai, io ti assicuro la sua protezione e che, per esperienza, conoscerai sempre la potenza del suo braccio nel guidarti e nel dirigere perfettamente tutte le tue azioni.
CAPITOLO 23
Spiegazione della seconda parte del capitolo trentunesimo dei Proverbi di Salomone, che il Signore mi diede, a dimostrazione del modo di vivere di Maria santissima nel matrimonto.
769. Nell’inatteso e nuovo stato del matrimonio in cui si trovava, la principessa del cielo Maria, sollevò subito la sua mente purissima al Padre della luce, per conoscere come si dovesse comportare per compiacerlo maggiormente nei nuovi obblighi di tale stato. Perché io potessi dare qualche notizia di ciò che a tale scopo sua Altezza pensò tanto santamente, il Signore mi richiamò alle qualità della donna forte, descritte da Salomone nell’ultimo capitolo dei suoi Proverbi, scorrendo il quale, per quanto possibile, dirò ciò che mi fu dato ad intendere. All’inizio della seconda sezione si legge:
770. Una donna perfetta chi potrà trovarla?. Il suo prezzo viene da lontano e dagli ultimi confini della terra. La domanda in realtà esprime un’esclamazione, se la si intende per la nostra grande e forte donna Maria, ma se la si riferisce a qualunque altra in confronto a lei, esprimerà una negazione, poiché in tutto il resto della natura umana e della legge comune non si può trovare un’altra donna forte come la Principessa del cielo. Tutte le altre furono e saranno deboli, senza poterne eccettuare alcuna che non sia associata al demonio per la colpa. Chi troverà dunque un’altra donna forte? Né i re e gli imperatori, né i principi più potenti della terra, né gli angeli del cielo, né lo stesso potere divino ne troverà una uguale, perché mai ne creerà un’altra come Maria santissima. Ella è l’unica e la sola senza pari, la sola senza uguali, la cui insuperabile dignità solo il braccio dell’Onnipotente ha misurato, poiché egli, dandole il suo Figlio eterno, della sua medesima sostanza, uguale a sé, immenso, increato ed infinito, non le poteva dare di più.
771. Era conveniente che il prezzo di questa donna forte venisse da lontano, poiché sulla terra e fra le creature non lo si poteva trovare. Prezzo si chiama quel valore col quale una cosa si compra o si stima, per cui si sa quanto essa vale quando la si valuta, cioè se ne determina il valore. Il prezzo di questa donna forte Maria fu valutato nel consiglio della santissima Trinità, quando, prima di tutte le altre creature, Dio la riscattò o acquistò per sé, quasi ricevendola dalla stessa natura umana in contraccambio, poiché ciò è implicito nel concetto vero e proprio di acquisto. Il contraccambio e il prezzo che egli diede per Maria fu il Verbo eterno incarnato e – a nostro modo di intendere – una volta che ebbe per sé Maria, il Padre eterno si ritenne soddisfatto. Egli infatti, quando contemplò questa donna forte nella sua mente divina, la stimò e valutò così tanto, che decise di sacrificare il proprio Figlio e di scegliere lei come sua madre. Con questo prezzo l’Altissimo diede tutte le sue qualità, la sua sapienza, bontà, potenza e giustizia ed anche tutti i meriti del suo Figlio incarnato, per acquistare Maria ed associarla a sé, togliendola alla natura umana anticipatamente, perché se questa si fosse tutta perduta, come di fatto avvenne in Adamo, solo Maria, col suo Figlio, restasse preservata, come colei che era apprezzata così da lontano, che tutta la natura creata non arrivò a determinare la sua stima e valutazione. Perciò il suo prezzo e valore venne veramente da lontano.
772. Quest’ultima espressione si riferisce anche ai confini della terra, perché Dio è il principio e l’ultimo fine di ogni cosa creata, da cui tutto proviene e a cui tutto fa ritorno, come i fiumi che si riversano nel mare. Anche il cielo empireo è il fine sensibile e materiale di tutte le altre cose esistenti e, particolarmente, è la sede della Divinità. Da un altro punto di vista, si chiamano confini della terra i termini naturali della vita ed il fine delle virtù, fine che è come l’ultima linea a cui devono indirizzarsi – quasi altrettanti raggi alla circonferenza – tutte le azioni della vita e tutto l’essere degli uomini, perché tutti sono creati per conoscere ed amare il loro Creatore, come fine immediato del vivere e dell’operare. Tale spessore di significato si condensa nel dire che il prezzo di Maria santissima viene dagli ultimi confini, perché la sua grazia, i suoi doni e i suoi meriti vennero e cominciarono dai punti più lontani a cui giunsero gli altri santi, le Vergini, i Confessori, i Martiri, gli Apostoli e i Patriarchi. E in verità tutti questi non arrivarono, alla fine della loro vita, al grado di santità da cui Maria cominciò la sua. Inoltre, sebbene più propriamente sia Cristo suo figlio e Signore nostro il fine delle opere dell’Altissimo, con altrettanta verità si dice che il prezzo di Maria santissima viene dagli ultimi confini, poiché tutta la sua castità, innocenza e santità vennero dal suo Figlio santissimo, come da sorgente esemplare e unico autore.
773. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Senza dubbio il santo Giuseppe fu l’uomo di questa donna forte, poiché l’ebbe per legittima sposa. Certamente poi il suo cuore confidò in lei, sperando che per la sua incomparabile virtù gli sarebbero venuti tutti i veri beni. Ma in modo particolare confidò in lei, quando la vide incinta e ancora ignorava il mistero, perché allora credette e sperò contro ogni speranza, tenendo conto degli indizi che conosceva, senza avere altro conforto che la santità di tale donna e sposa. Benché avesse deciso di lasciarla, non osò mai diffidare della sua onestà e del suo pudore, né separarsi dall’amore santo e puro che legava il suo cuore rettissimo a tale sposa. Non si trovò deluso in cosa alcuna, né povero di beni, poiché se per profitto s’intende ciò che avanza tolto il necessario, tutto fu sovrabbondante per quest’uomo, quando conobbe chi era la sua sposa e ciò che ella possedeva.
774. Questa divina Signora ebbe un altro uomo che confidò in lei, del quale principalmente parlò Salomone, e fu il suo stesso Figlio, vero Dio e vero uomo, che si fidò di questa donna forte sino ad affidarle il suo essere ed il suo onore davanti a tutte le creature. In questa confidenza che egli ebbe in Maria si racchiude la grandezza di entrambi, perché né Dio poté affidarle di più, né ella poté corrispondergli meglio, cosicché non si trovò ingannato, né gli venne a mancare il profitto. Oh, stupenda meraviglia della potenza e della sapienza infinita! Dio confidò in una semplice creatura e in una donna sino a prendere carne umana nel suo grembo e dalla medesima sua sostanza, sino a chiamafia madre con immutabile verità. A sua volta ella lo chiamava figlio, nutrendolo al suo seno ed allevandolo sotto la sua ubbidienza. Egli la rese coadiutrice della redenzione e restaurazione del mondo, depositaria della Divinità, dispensatrice dei suoi tesori infiniti e dei meriti del suo Figlio santissimo, della sua vita, della sua predicazione e morte, dei suoi miracoli e di tutti gli altri misteri! A tal punto confidò in Maria santissima! La mia ammirazione cresce ancor più, sapendo che in questa confidenza non si trovò deluso, perché una donna, una semplice creatura, seppe e poté corrispondere adeguatamente a tutto quanto le si affidò senza venir meno, anzi senza che potesse operare in tutto con maggior fede, speranza, amore, prudenza, umiltà e pienezza di santità. Certo al suo sposo non venne meno il profitto, ma si trovò ricco e nella prosperità, ricolmo di lode e di gloria. Perciò soggiunge:
775. Essa gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Di tale dono si può parlare anche in termini di retribuzione. Di quella che Maria santissima diede si è già parlato, ma qui mi fu anche fatta comprendere quella che a lei diede Cristo, suo uomo e suo vero figlio. Infatti, se l’Altissimo rimunera tutte le opere anche minime fatte per amor suo con retribuzione sovrabbondante e copiosa, non solo di gloria ma anche di grazia in questa vita, quale fu la ricompensa in beni e tesori divini con cui rimunerò le opere della sua medesima Madre? Solo colui che così fece ne è a conoscenza. Tuttavia, dal contraccambio e dalla corrispondenza che osserva la giustizia del Signore, rimunerando con un beneficio ed aiuto più grande chi gli è fedele nel poco, si potrà intuire parte di ciò che nella vita della nostra Regina avveniva tra lei e le potenze divine. Fin dal primo istante, ella cominciò a ricevere un dono di grazia superiore a quello dei più alti serafini, oltre alla preservazione dal peccato originale. Inoltre, corrispondendo adeguatamente a questo beneficio, crebbe in grazia ed operò in conformità con essa, così tutti i passi della sua vita furono senza tiepidezza, negligenza o esitazione alcuna. Perché fa meraviglia che soltanto il suo divin Figlio fosse maggiore di lei e tutte le altre creature le restassero di gran lunga inferiori?
776. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Legittima lode, ben degna della donna forte, è dire che ella si mostra operosa e industriosa nella sua casa, filando lino e lana per indumenti, a vantaggio della sua famiglia bisognosa di queste e di altre cose, che si possono acquistare con tale mezzo. Questo è un sano consiglio che si mette in esecuzione con mani laboriose e non oziose, perché l’oziosità della donna, che vive con le mani in mano, dimostra la sua pigrizia e stoltezza ed altri vizi che non si possono riferire senza vergognarsene. In questa virtù esteriore, Maria santissima fu donna forte e degno modello di tutte le donne, perché non si vide mai oziosa. Infatti lavorava lino e lana sia per il suo sposo e per il proprio figlio, sia per molti poveri che soccorreva col suo lavoro. Ella univa in sommo grado di perfezione le azioni di Marta con quelle di Maria, tuttavia si dedicava con più cura alle attività interiori che a quelle esteriori. Poiché custodiva le immagini delle visioni divine e meditava quanto andava leggendo nelle sacre Scritture, spiritualmente non rimase mai oziosa, né senza lavorare, e non cessò mai di aumentare i doni e le virtù dell’anima. Il testo così prosegue:
777. Ella è simile alle navi di un mercante, fa venire da lontano le provviste. Come questo mondo visibile è un mare inquieto e tempestoso, cosi è naturale che quelli che in esso vivono siano simili a navi, che solcano le sue onde variabili. Tutti lavorano in questa navigazione per portare il loro pane, che è il sostegno e l’alimento della vita. Lo porta più da lontano e con maggior sudore, chi si trova più lontano dall’avere ciò che acquista col suo lavoro, e chi lavora di più guadagna anche di più. Vi è come una specie di contratto fra Dio e l’uomo, cioè che fatichi col sudore della fronte colui che è servo, lavorando la terra e coltivandola, e che il Signore da parte sua lo assista in tutto per mezzo delle cause seconde, concorrendo con esse affinché gli diano pane per il suo sostentamento, ripagandolo così del sudore delle sue fatiche. Ora ciò che avviene nelle cose terrene, si verifica ugualmente in quelle spirituali, essendovi anche in esse come un contratto, cioè che non mangi chi non lavora.
778. Fra tutti i figli di Adamo, Maria santissima fu la nave ricca e prospera del mercante, che portò il suo e nostro pane da lontano. Nessuna fu così sapientemente diligente ed operosa nel prendersi cura della sua famiglia, nessuna così previdente nel procurare quello che con divina prudenza vedeva necessario per la sua povera famiglia e per il soccorso dei poveri. Tutto ciò meritò e guadagnò con la sua fede e la sua sollecitudine prudentissima, portandolo da lontano, perché era molto lontana dalla nostra viziosa natura umana, come anche dalle ricchezze proprie di questa natura. Tutto ciò che in questo fece, acquistò, meritò e distribuì ai poveri, è impossibile calcolailo. Tuttavia, più forte ed ammirabile fu nel portarci il pane spirituale e vivo che scese dal cielo, poiché non solamente lo trasse dal seno del Padre, da dove non sarebbe uscito se non vi fosse stata questa donna forte, ma lo portò e introdusse nel mondo i cui meriti erano tanto lontani da lui, e dove egli non sarebbe venuto, se non fosse stato nella nave di Maria. Benché non potesse, essendo creatura, meritare che Dio venisse nel mondo, nondimeno meritò che afirettasse il passo e che venisse nella nave ricca del suo grembo, perché un’altra minore in meriti non avrebbe potuto accoglierlo. In breve, ella sola fece sì che questo pane divino si vedesse, si comunicasse ed alimentasse coloro che ne erano tanto lontani.
779. Si alza quando ancora è notte e prepara il cibo alla sua famiglia e dà ordini alle sue domestiche. Non è meno lodevole questa qualità della donna forte di privarsi del riposo e della dolce quiete notturna per dedicarsi alla sua famiglia, provvedendo al suo sposo, ai figli, ai parenti e ai domestici secondo il bisoguo e distribuendo, subito dopo, ai suoi servi le occupazioni proprie di ciascuno con quanto per esse è necessario. La fortezza e la prudenza sono due virtù di questa donna forte che non conoscono la notte per darsi in balia del sonno o abbandonarsi alla dimenticanza dei propri obblighi, perché il riposo dal lavoro viene preso non per soddisfare il piacere personale, ma per rimediare alle necessità. La nostra Regina fu davvero ammirabile in questa prudenza economica, e non ebbe né servi né serve, poiché la sua umiltà, che la rendeva desiderosa di ubbidire e di servire in tutte le faccende domestiche, non le permise di affidare a nessun altro l’esercizio di queste virtù. Tuttavia nella cura del suo Figlio santissimo e del suo sposo Giuseppe fu serva vigilantissima; mai vi fu negligenza, né dimenticanza, né ritardo o inavvertenza quanto a ciò che doveva procurare o preparare per loro.
780. Quale lingua potrà spiegare la vigilanza di questa donna forte? Si alzò e rimase in piedi nel buio della notte, cioè nel segreto del suo cuore e, nell’allora nascosto mistero del suo matrimonio, aspettò attenta ciò che le sarebbe stato ordinato per eseguirlo in umiltà e obbedienza. Provvide i suoi domestici e servi, cioè le facoltà e i sensi, di tutto l’alimento necessario, e distribuì a ciascuno il suo legittimo sostentamento, perché il suo spirito, lavorando di giorno nei servizi esterni, non si ritrovasse bisognoso e sprovvisto del necessario. Ordinò alle facoltà, con inviolabile disposizione, che il loro alimento fosse la luce della Divinità, che la loro incessante occupazione consistesse nell’ardente meditazione e contemplazione, giorno e notte, della legge divina, senza lasciare che una qualunque opera od occupazione esteriore la interrompesse. Questo era il modo in cui dirigeva e alimentava i domestici dell’anima.
781. Distribuì anche ai servi, cioè i sensi, le giuste occupazioni e il loro sostentamento e, facendo uso del potere che aveva su di essi, comandò loro che, come servi dello spirito, lo servissero e, benché vivessero nel mondo, ignorassero la sua vanità come se fossero morti ad esso, vivendo solo nella misura necessaria alla natjira e alla grazia. Ordinò loro ancora che non si alimentassero tanto del diletto che viene da ciò che è sensibile, quanto delle elevazioni che l’anima avrebbe comunicato e dispensata loro dalla sua traboccante pienezza. Fissò i limiti a tutti gli atti interiori in modo che ognuno di essi, senza mancanza alcuna, restasse circoscritto alla sfera dell’amore di Dio, servendolo ed obbedendo a lui senza alcuna resistenza, né obiezione o esitazione.
782. Vi fu anche un’altra notte in cui questa donna forte si alzò e si occupò di altri servi. Si alzò nella notte dell’antica legge, oscurata dalle ombre della luce futura. Venne nel mondo al termine di questa notte e a tutti i suoi domestici e servi, cioè a quelli del suo popolo e del rimanente genere umano, ai santi padri e giusti, suoi domestici, nonché ai peccatori, suoi servi, diede e distribuì, con ineffabile provvidenza, l’alimento della grazia e della vita eterna. Lo diede loro in senso così vero e proprio, che esibì come alimento colui che ricevette nel suo grembo verginale e che era divenuto nostro nutrimento dalla sua medesima sostanza e dal suo stesso sangue.
CAPITOLO 24
Segue lo stesso argomento con la spiegazione della parte finale del capitolo trentunesimo dei Proverbi.
783. Nessuna delle qualità della donna forte poté mancare alla nostra Regina, dato che fu anche regina delle virtù e fonte della grazia. Pensa ad un campo e lo compra e con il frutto delle sue mani pianta una vigna. Il campo della più alta perfezione, dove si genera con la massima fertilità quanto vi è di più soave nelle virtù, fu quello a cui pensò la nostra donna forte Maria santissima; meditandolo al chiarore della luce divina, conobbe il tesoro che racchiudeva. Per comprare quindi questo campo, vendette tutto ciò che è terreno, di cui era veramente regina, posponendolo al possesso del campo che acquistò, negandosi l’uso di ciò che poteva possedere. Solo questa Signora poteva venderlo interamente, essendo padrona di tutto, per comprare lo spazioso campo della santità. Ella sola considerò e conobbe adeguatamente, appropriandosene dopo Dio, il campo della Divinità e dei suoi attributi infiniti, che gli altri santi ricevettero solo in parte. Col frutto delle sue mani piantò una vigna, cioè la santa Chiesa, non solamente col darci il suo santissimo Figlio perché la formasse e la edificasse, ma anche divenendo sua coadiutrice e, dopo la sua ascensione, guida e maestra della stessa Chiesa. Piantò la vigna del paradiso celeste, che Lucifero, nella sua inaudita superbia, aveva devastato, ed essa si riempì di nuove piante per la sollecitudine e il frutto di Maria purissima. Piantò la vigna del suo grande e magnanimo cuore con i germogli delle virtù, con la vite fertilissima, Cristo, che di-stillò nel torchio della croce il vino soavissimo dell’amore, di cui si inebriano i suoi servi prediletti e si alimentano i suoi amici.
784. Si cinge con energia i fianchi e spiega la forza delle sue braccia. Il vigore di coloro che sono detti forti ha sede principalmente nelle braccia, con cui si eseguono lavori duri e pesanti. Poiché la maggior difficoltà della creatura terrena sta nel reprimere le proprie passioni ed inclinazioni sottomettendole alla ragione, il testo sacro unisce insieme il cingersi della donna forte con l’impiego della forza del suo braccio. Anche se veramente la nostra Regina non ebbe ardori né moti sregolati da domare nella sua innocentissima persona, non rinunciò a essere più forte nel dominarsi di tutti i figli di Adamo, turbati a causa del peccato. Maggiore fu la virtù e più forte l’amore, cosicché fece opere di mortificazione e di penitenza quando e dove non erano necessarie, come se lo fossero state. Infatti nessun peccatore obbligato a fare penitenza pose tanta forza nel mortificare le sue disordinate passioni, quanta ne impiegò la nostra principessa Maria nel governare e santificare sempre più le sue facoltà e i suoi sensi. Ella castigava il suo castissimo corpo verginale con penitenze incessanti, con veglie, prostrazioni e digiuni. Sempre negava ai suoi sensi il riposo e ciò che era piacevole, non perché questi corressero il pericolo di corrompersi, ma per operare ciò che era più santo e gradito al Signore, senza tiepidezza, omissione o negligenza, dato che ognuna delle sue opere fu eseguita con tutta l’efficacia e la forza della grazia.
785. È soddisfatta, perché il suo traffico va bene, neppure di notte si spegne la sua lucerna. Il Signore, che è fedele e benigno con le sue creature, quando comanda di mortificarci e di fare penitenza – perché il regno dei cieli subisce violenza e si deve acquistare con la forza – a questa stessa violenza contro le nostre inclinazioni unisce in questa vita un senso di pienezza ed una consolazione, che riempiono il nostro cuore d’allegrezza. In questa intima gioia si conosce quanto sia buono trafficare il sommo bene per mezzo della mortificazione, con cui domiamo le nostre inclinazioni e gli altri impulsi terreni, perché subito sentiamo il gaudio della verità cristiana, ed in esso riceviamo un pegno di quello che aspettiamo nella vita eterna. Colui poi che lo traffica di più, di più lo gusta e di più ne guadagna per l’eternità, per cui stima maggiormente il suo trafficarlo.
786. Questa verità, che con l’esperienza conosciamo noi soggetti al peccato, quanto meglio l’avrà conosciuta e gustata la nostra donna forte, Maria santissima! E se in noi, in cui la notte della colpa è così lunga e reiterata, è possibile conservare la luce divina della grazia per mezzo della penitenza e della mortificazione delle passioni, quanto ardente sarà stata tale luce nel cuore di questa purissima creatura! Non l’opprimeva la mediocrità della natura pesante e corrotta, non l’inaspriva la contraddizione dell’incentivo dato dal peccato, non la turbava il rimorso della cattiva coscienza, né il timore delle colpe passate. Oltre a tutto ciò la sua luce sorpassava ogni pensiero umano ed angelico, per cui dovette conoscere molto bene e gustare tanto questo traffico, senza che nella notte dei suoi affanni e dei pericoli della vita si estinguesse la lucerna dell’Agnello che la illuminava 6 .
787. Stende la sua mano alla conocchia e gira il fuso con le dita. La donna forte, che con l’opera e il lavoro delle sue mani accresce le sue virtù e i beni della sua famiglia, si cinge di forza contro le sue passioni, gusta e conosce il traffico della virtù; ma tale donna può anche stendere ed allargare il suo braccio a cose grandi. Ciò fece Maria santissima senza che il suo stato o i suoi obblighi le fossero di ostacolo, poiché, sollevandosi al di sopra di se stessa e di ogni cosa terrena, estese i suoi desideri e le sue opere a quanto vi è di più grande e di più forte nell’amore e nella conoscenza di Dio, al di là di tutta la natura umana e angelica. Quanto più dopo le nozze si andava avvicinando alla dignità e all’ufficio di madre, tanto più andava estendendo il suo cuore ed allargando il braccio delle sue opere sante, fino a collaborare all’opera più ardua e più imponente dell’onnipotenza divina, quale fu l’incarnazione del Verbo. Tuttavia, poiché la determinazione e il proposito di realizzare cose grandi, se non si concretizzano sono solo apparenza senza alcun effetto, il testo dice che ella gira il fuso con le dita. Ciò significa che la nostra Regina eseguì quanto vi è di più grande, arduo e difficoltoso, nel modo in cui comprese e si propose di fare nella sua rettissima intenzione. Così fu vera in tutto, anziché essere solo clamore o apparenza, come sarebbe la donna che se ne stesse con la conocchia ai fianchi, ma oziosa e senza stringere il fuso. Perciò il testo soggiunge:
788. Apre le sue mani al misero, stende la mano al povero. La donna prudente che si preoccupa della casa dimostra grande forza, quando dona generosamente ai poveri, senza abbandonarsi con debolezza d’animo e diffidenza al vile timore che possa mancare il necessario alla sua famiglia. Il mezzo più potente poi, per moltiplicare ciò che si possiede, consiste nel ripartire liberalmente i beni di fortuna con i poveri di Cristo, il quale, anche nella vita presente, sa rendere cento per uno. Pertanto Maria santissima distribuì ai poveri e al tempio i beni ereditati dai suoi genitori, lavorando inoltre con le sue mani per abbondare in questa misericordia, poiché il suo pietoso e liberale amore verso i poveri non restava soddisfatto se non dava loro il frutto delle sue fatiche. Non fa meraviglia che l’avarizia del mondo risenta oggi della mancanza e povertà di beni temporali, dato che gli uomini sono così poveri di pietà e di misericordia verso i bisognosi, dissipando a servizio di una smodata vanità ciò che Dio fece e creò per il sostentamento dei poveri e come mezzo di salvezza dei ricchi.
789. La nostra pietosa Regina e signora non solamente aprì le sue mani al povero, ma anche quelle di Dio che pareva tener chiuse per non mandare il Verbo divino, che i mortali non meritavano. Questa donna forte gli diede mani aperte per tutti i poveri peccatori, afflitti per la miseria della colpa. Poiché questa necessità e povertà, essendo comune a tutti, era di ciascuno, la Scrittura li chiama tutti col nome di povero al singolare, perché l’intero genere umano era per così dire un povero e, quanto a possibilità proprie, era come se fosse stato uno solo. Queste mani di Cristo Signore nostro, aperte per operare la nostra redenzione e per spargere i tesori dei suoi meriti e doni, furono le mani stesse di Maria santissima, poiché erano del suo Figlio; senza la nostra Regina, il povero genere umano non le avrebbe viste aprirsi a suo vantaggio.
790. Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutti i suoi di casa hanno doppia veste. Una volta perduto il sole di giustizia ed il calore della grazia originale, la nostra natura restò sotto la neve gelata della colpa che restringe, impedisce e offusca il bene operare. Da qui nascono la difficoltà nell’esercizio delle virtù, la tiepidezza nelle azioni, l’inavvertenza e la negligenza, l’instabilità ed altri difetti innumerevoli, ed il ritrovarci noi, dopo il peccato, freddi nell’amore verso Dio, senza rifugio e difesa dalle tentazioni. La nostra Regina fu libera da tutti questi impedimenti e danni nella sua casa e nella sua anima, perché tutti i suoi domestici, cioè le sue facoltà e i suoi sensi, erano protetti dal freddo della colpa con doppia veste. Una fu quella della giustizia originale e delle virtù infuse, l’altra quella delle virtù acquisite per se stessa dal primo istante. Furono anche per lei una veste doppia la grazia comune che ebbe come persona speciale, e quella particolarissima che le diede l’Altissimo con la dignità di Madre del Verbo. Quanto al governo temporale della sua casa, non mi trattengo a parlare della sua oculatezza. Infatti nelle altre donne tale virtù può essere lodevole oltre che necessaria, ma nella casa della regina del cielo e della terra Maria santissima, non ci fu bisogno di duplicare le vesti per il suo Figlio santissimo, poiché egli ne aveva una sola, né tanto meno per sé o per il suo sposo san Giuseppe, dal momento che la povertà era il loro maggiore ornamento e riparo.
791. Si fa delle coperte, di lino e di porpora sono le sue vesti. Anche questa metafora dichiara l’ornamento spirituale di questa donna forte. Fece una veste tessuta con forza e di vari colori per coprirsi tutta e per difendersi dalle inclemenze e dai rigori delle piogge; per questo infatti si tessono i panni forti o i feltri, ed altri simili. La veste talare delle virtù e dei doni di Maria fu impenetrabile al rigore delle tentazioni ed alla piena di quel fiume, che vomitò contro di lei l’enorme drago rosso, che san Giovanni vide nell’Apocalisse. Questa veste, oltre ad essere resistente, era anche molto bella per la varietà dei colori, cioè la varietà delle sue virtù bene intessute e non sovrapposte, perché erano fuse insieme nella sua medesima natura, essendo stata formata nella grazia originale. In essa c’erano la porpora della carità, il bianco della castità e purezza, il celeste della speranza, con tutta la varietà dei doni e delle virtù, che da una parte la vestivano e dall’altra l’adornavano ed abbellivano. Fu ornamento di Maria anche quel colore bianco e vermiglio, nel quale la sposa vedeva rappresentate l’umanità e la divinità, indicandole come caratteristiche del suo sposo. Avendo dato al Verbo il vermiglio della sua umanità santissima, egli le diede in contraccambio la divinità, non solamente unendo queste due cose nel suo grembo verginale, ma anche lasciando in sua Madre, più che in tutte le creature insieme, certi aspetti e raggi di divinità.
792. Suo marito è stimato alle porte della città dove siede con gli anziani del paese. Come nei tempi antichi si giudicava alle porte della città, così alle porte della vita eterna si svolge il giudizio particolare di ciascuno e, nell’ultimo giorno, avrà luogo quello generale. Nel giudizio universale avrà posto fra i nobili del regno di Dio san Giuseppe, il secondo uomo di Maria santissima, perché avrà il suo trono fra gli Apostoli per giudicare il mondo; egli godrà di questo pnvilegio come sposo di questa donna forte che è regina di tutti, e come padre putafivo del primo uomo di questa signora, cioè il suo Figlio santissimo, ritenuto e riconosciuto come Signore supremo e giudice vero nel giudizio che fa di ciascuno in particolare, ed in quello che farà degli angeli e di tutti gli uomini in generale. Di questa prerogativa partecipa anche Maria santissima, perché gli diede la carne con cui redense il mondo ed il sangue che versò come prezzo e 4 riscatto degli uomini. Di tutto ciò se ne conoscerà il frutto, quando con grande maestà verrà il giorno del giudizio universale; allora ognuno lo conoscerà e lo proclamerà.
793. Confeziona tele di lino e le vende, dà anche una cintura al cananeo. In questa solerte laboriosità della donna forte sono racchiusi due grandi pregi della nostra Regina: uno è che confezionò una tela di lino puro così ampia, che poté contenere la Parola abbreviata di Dio, lo stesso Verbo eterno; l’altro è che la vendette, non già ad altri, ma allo stesso Signore, il quale le donò in contraccambio il suo medesimo Figlio, perché non si sarebbe trovato, in tutto il mondo creato, prezzo degno per comprare questa tela della purezza e santità di Maria, né chi degnamente potesse essere figlio suo, all’infuori del medesimo Figlio di Dio. Poi consegnò anche, senza venderla ma gratuitamente, una cintura al cananeo, cioè Cam, maledetto da suo padre. Infatti, tutti quelli che parteciparono della prima maledizione, restando con le vesti sciolte, cioè con le passioni sbrigliate e gli appetiti disordinati, poterono riallacciarsi le vesti con la cintura che Maria santissima consegnò loro nel suo Figlio primogenito ed unigenito, e nella sua legge di grazia, allo scopo appunto che si rinnovassero, riformassero e ricingessero. Perciò non avranno scusa i reprobi e i dannati, angeli e uomini, poiché tutti ebbero modo di trattenersi e cingersi nei loro sregolati affetti, come fanno i predestinati valendosi di questa grazia che per mezzo di Maria santissima ebbero gratuitamente, e senza che a loro venisse richiesto alcun prezzo per meritarla o comprarla.
794. Forza e decoro sono il suo vestito e se la ride dell’avvenire. Un altro nuovo ornamento e rivestimento della donna forte è la fortezza unita alla bellezza. La fortezza la rende invincibile nel patire e nell’operare contro le potenze infernali; la bellezza le dà grazia esteriore e decoro ammirabile in tutte le sue azioni. Per queste due eccellenti qualità, la nostra Regina era amabile agli occhi di Dio, degli angeli e del mondo. Non soltanto non aveva colpa né difetto da rimproverarle, ma aveva questa doppia grazia e bellezza, che lo sposo tanto gradì e stimò ripetendole più volte che era tutta bella. Dove non si trovò difetto riprovevole, nemmeno potrà esservi motivo di piangere nell’ultimo giorno, quando nessuno dei mortali ne risulterà privo all’infuori di questa Signora e del suo Figlio santissimo. Tutti saranno e compariranno con delle colpe, commesse in vita, di cui dolersi; e i dannati piangeranno allora per non averle piante prima degnamente. In quel giorno questa donna forte sarà allegra e sorridente nel compiacimento della sua incomparabile felicità, vedendo in esecuzione la giustizia divina contro i protervi e ribelli al suo santissimo Figlio.
795. Apre la bocca con saggezza e sulla sua lingua c’è dottrina di bontà. Eccellente qualità della donna forte è il non aprire la bocca per altra cosa se non per insegnare il timore santo del Signore, e per eseguire qualche opera di clemenza. Questo adempì con somma perfezione la nostra Regina e signora. Aprì la bocca come maestra della divina sapienza, quando disse al sant’arcangelo: «Avvenga di me quello che hai detto ». Parlava sempre come vergine prudentissima ripiena della conoscenza dell’Altissimo, per insegnarla a tutti e per intercedere a favore dei miserabili figli di Eva. Sulla sua lingua stava e sta sempre la legge della clemenza, come in una madre pietosa di misericordia, poiché soltanto la sua intercessione e la sua parola sono la legge inviolabile da cui dipende il nostro rimedio in tutte le necessità, se sapremo indurla ad aprire la bocca e muovere la lingua per domandarlo.
796. Sorveglia l’andamento della casa; il pane che mangia non è frutto di pigrizia. Non è piccola lode della madre di famiglia il considerare ancora attentamente tutte le vie più sicure per aumentare la casa di molti beni. Ora, in questa divina prudenza solo Maria fu quella che diede norma ai mortali, poiché ella sola seppe considerare ed investigare tutte le vie della giustizia, ed i sentieri più corti per giungere con maggiore sicurezza e rapidità alla Divinità. Acquistò questa scienza così altamente che si lasciò indietro tutti i mortali e gli stessi cherubini e serafini. Conobbe e considerò il bene ed il male, il mistero profondo e nascosto della santità, la condizione della fragilità umana, l’astuzia dei nemici, il pericolo del mondo e di tutto ciò che è terreno. Come conobbe tutto, così operò quello che sapeva che si doveva operare, senza mangiare oziosa il pane, e senza ricevere invano la vita o la divina grazia. Per questo meritò ciò che segue:
797. I suoi figli sorgono a proclamarla beata e suo marito a fame l’elogio. Grandi cose e gloriose hanno detto nella Chiesa militante i veri figli di questa donna forte, proclamandola beatissima fra le donne; quelli invece che non si alzano a proclamarla non si ritengano suoi figli, né dotti, né saggi o devoti. Sebbene tutti abbiano parlato ispirati e mossi dal suo uomo, Cristo, e dal suo sposo, lo Spirito Santo, finora pare che il suo Figlio abbia taciuto e non si sia alzato a proclamarla avendo tenuti nascosti tanti eccelsi misteri della sua Madre santissima. Sono così tanti, che mi fu fatto intendere che il Signore li riservò per manifestarli nella Chiesa trionfante dopo il giudizio universale, perché non è conveniente manifestarli adesso al mondo che è indegno e incapace di tali meraviglie. Allora parlerà Cristo, uomo di Maria, manifestando, per la gloria di entrambi e il giubilo dei santi, le prerogative ed eccellenze di questa signora, e in quel giorno le conosceremo. Per ora è sufficiente che con venerazione le crediamo sotto il velo della fede e con la speranza di tanti beni.
798. Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti, ma tu le hai superate tutte!. Tutte le anime che giunsero a conseguire la grazia dell’Altissimo si chiamano sue figlie. Tutti i meriti, i doni e le virtù, che col soccorso di tale grazia poterono guadagnare ed effettivamente guadagnarono, sono ricchezze vere, perché tutte le altre cose terrene hanno ingiustamente usurpato il nome di ricchezza. Molto grande sarà il numero dei predestinati, e soltanto colui che conta il numero delle stelle chiamandole per nome lo conosce. Tuttavia, la sola Maria superò tutte insieme queste creature figlie dell’Altissimo e sue, non solo in ragione della maggiore eccellenza che ha perché è loro madre e tutte sono sue figlie nella grazia e nella gloria, ma anche in ragione dell’altra eccellenza immensamente maggiore che ha, essendo Madre di Dio. In virtù di questa dignità oltrepassa tutta l’eccellenza dei maggiori santi, e così la grazia e la gloria di questa Regina supererà tutta quella che hanno ed avranno tutti i predestinati. In confronto a queste ricchezze e a questi doni della grazia interiore e della gloria che ad essa corrisponde, l’altra grazia esteriore delle donne, che esse tanto apprezzano, è solo futile e vana. Perciò il testo dice ancora:
799. Fallace è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Datele del frutto delle sue mani e le sue stesse opere la lodino alle porte della città. Il mondo stima erroneamente, e chiama col nome di grazia, molte cose visibili che non hanno altra grazia e bellezza fuorché quella che a loro attribuisce l’inganno delle persone ignoranti. Tali sono l’apparenza esteriore nelle buone opere della virtù, il senso di compiacimento prodotto dalle parole dolci ed affabili, il brio nel parlare e nel muoversi, ed ancora chiamano grazia la benevolenza dei potenti e del popolo. Tutto questo è inganno e fallacia, come la bellezza della donna che presto sfiorisce. Solo colei che teme Dio ed insegna a temerlo merita degnamente la lode degli uomini e del Signore. Egli, volendo lodarla, dice di darle del frutto delle sue mani, rimettendosi così, per lo-darla, alle sue grandi opere esibite in pubblico alla vista di tutti, perché esse stesse siano lingue in sua lode. Veramente importa assai poco che gli uomini lodino la donna, se proprio le sue opere la disonorano. A tal fine, l’Altissimo vuole che le opere della sua santissima Madre si manifestino alle porte della sua santa Chiesa, per quanto adesso è possibile e conveniente, riservando a più tardi la sua maggior gloria e lode, affinché duri per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Insegnamento della Regina del cielo
800. Figlia mia, in questo capitolo trovi grandi insegnamenti che ti possono servire di regola. Sebbene tu non abbia scritto tutto quanto contengono, voglio che quello che hai rivelato, ed anche ciò che non rendi noto, resti impresso indelebilmente nell’intimo del tuo cuore, e che con inviolabile legge tu lo attui in te stessa. Per questo è necessario che tu rimanga interiormente raccolta, dimenticando tutto ciò che è visibile e terreno, stando attentissima alla luce divina che ti assiste e protegge le tue facoltà e i tuoi sensi con doppie vesti, perché tu non abbia a sentire freddezza o tiepidezza nella perfezione, e possa resistere ai moti sregolati delle passioni. Tienile a freno e mortificale con la cintura del timore di Dio, ed allontanati da ciò che è apparente e fallace. Solleva la mente a considerare il tuo cammino spirituale, nonché i sentieri che Dio ti ha insegnato per cercarlo nel segreto del tuo cuore, e per ritrovarlo senza pericolo d’inganno. Avendo poi già provato la pienezza che deriva dal tenere l’anima occupata nelle cose celesti, non permettere che per tua negligenza venga meno nella tua mente la luce divina, che ti illumina nelle tenebre. Non mangiare il pane rimanendo oziosa, ma lavora senza dar tregua alla solerzia. Mangerai così il frutto della tua diligenza e, rinvigorita nel Signore, farai opere degne del suo beneplacito e a lui gradite, e correrai dietro il profumo dei suoi unguenti fino a giungere a possederlo eternamente. Amen.